Esplosione della Rivista

Rivista


La fine della guerra ha fatto esplodere la rivista. Umiliata per lungo tempo da una censura che non brillava per intelligenza, costretta al più avvilente conformismo politico, essa ha ritrovato nel dopoguerra, caotico e spensierato, il suo clima ideale. La rivista (quella azzeccata, beninteso) rappresenta oggi il migliore affare teatrale. Gli autori specializzati (sono pochi) vengono conttsi dagli impresari a colpi di biglietti da un milione. Aldo de Benedetti, autore con Michele Galdieri di «Eravamo sette sorelle», ha confidato recentemente ad un amico che intascherà, per la sua gioconda fatica, tre milioni in sei mesi: quasi mezzo milione per ogni «sorella». Ma le riviste veramente indovinate si contano sulle dita di una mano sola; e spesso, di questa mano, quattro dita sono sufficienti.

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Il genere di spettacolo implica una grande esposizione di capitali e il superamento di notevoli difficoltà organizzative. Ci vogliono le belle ragazze, e le belle ragazze scarseggiano, non si trovano che in borsa nera.

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Fino al 1943, le ballerine erano quasi tutte tedesche od ungheresi. Fedeli ad un'antica tradizione coreografica ed allenate ad una rigida disciplina, esse calavano in Italia negli scompartimenti di terza classe, capeggiate da severe ed occhialute direttrici.

I milanesi non hanno ancora dimenticato la schiera delle leggiadre «schwarzine». Alcune di esse si trovano ancora fra noi, regolarmente coniugate con ricchi e romantici signori lombardi che vollero offrirsi a domicilio una rosea porzione del famoso balletto.

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Dopo l'8 settembre, tedesche ed ungheresi vennero rimpatriate dai nazisti e adibite al «servizio del lavoro». La nostra rivista, già minata dai mali ai quali abbiamo accennato, minacciò di spegnersi definitivamente. Il prodigo sentimentalismo delle truppe
americane tolse infatti dalla circolazione le poche ballerine superstiti. Per molti mesi, sui nostri palcoscenici, non si videro che vecchie ragazze impegnate in sforzi «artistici» assolutamente inadeguati alle loro possibilità fisiche.

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Con il graduale rimpatrio dei possessori di dollari-carta, si ritorna ora rapidamente alla normalità. La rivista esibisce di nuovo i suoi rari «fiori di bellezza».

E la serra, dopo la crisi paurosa, si rifà olezzante.

I compensi che percepiscono le ballerine sono discreti, ma non eccezionali. Le ragazze di prima fila, sulle quali si appuntano gli sguardi ghiotti degli spettatori di «poltronissima» percepiscono un minimo di 800 lire giornaliere e un massimo di 1000: prima della guerra, ne guadagnavano 35. Le altre, quelle che «fanno numero», si accontentano di una paga che oscilla fra le 500 e le 600 lire: due pacchetti scarsi di sigarette americane.

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Le paghe delle dive sono, invece, astronomiche. Lucy d’Albert chiede fra le 10 e le 12 mila lire al giorno, ottenendole quasi sempre. I guadagni di Wanda Osiris sono difficilmente calcolabili. essendo l’attrice interessata all’andamento della sua Compagnia. In qualche caso, le «professioniste» del genere sono direttamente minacciate dalle «dilettanti». Quando Elsa Merlini accettò di comparire al «Valle» di Roma, al fianco di Umberto Meinati e di Vittorio de Sica, in una rivista che non ottenne successo, pretese 15.000 lire giornaliere.

La sera della «prima», piovvero dal loggione dei manifestini a stampa nei quali era denunciata la strepitosa paga della bizzarra attrice. Ma la Merlini non si scompose. Continuò a ballare ed a cantare come se veramente sentisse di meritare le 15.000 lire al giorno che l’impresario le versava. senza alcuna esitazione.

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Mino Caudana, «Tempo», anno VI, n.5, 23 febbraio 1946


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Mino Caudana, «Tempo», anno VI, n.5, 23 febbraio 1946