Storia del Varietà. Per levarmelo dal cuore me lo sposo

Varieta


Questa eroica risoluzione avvinse per sempre la soubrette Maria Donati al comico Armando Fineschi. Era il tempo favoloso dell’operetta, che per quarant'anni trionfò con uno sfarzo e una ricchezza di talenti forse insaporati. Persino la Scala, a un certo momento, sembrò seriamente minacciata.

Quella di scritturare come prima soubrette un' incantatrice di serpenti, la bella Rosa Sax, fu una bizzarra idea del capocomico Raffaele Scognamiglio. Una sera, lo squillante acuto che echeggiava ogni volta che la Sax eseguiva la famosa romanza dell'operetta «Gran Mogol », fu nettamente e sinistramente superato da quello, angoscioso e lacerante, di una ballerina terrorizzata, Fulvia. Oggi, colei che in quella sera del 1899 era la graziosa Fulvia, la tenera ballerina bruna, è la settantenne signora Fulvia che fa l'affittacamere a Roma. Le si rizzano ancora i candidi e scarsi capelli, quando rievoca i particolari di quella drammatica sera. «Rosa Sax proveniva da un circo equestre — mi raccontava la vecchia Fulvia — Quando eseguiva la romanza dell'operetta «Gran Mogol », veniva in scena con un serpente boa intorno al collo e portava il rettile con la stessa sorridente disinvoltura di chi porti una collana di perle. Sovente correvano scommesse fra gli spettatori: alcuni ritenevano per certo che il serpente fosse finto, altri affermavano che aveva tutta l’aria di esser vero. Una sera la Sax volle dimostrare che il boa era vivo e vegeto, e lo fece scivolare sul palcoscenico; io, che ero in quinta, gettai un mio che superava l’acuto di quattro soubrettes messe insieme. Nelle quinte e in sala si diffuse istantaneamente il panico e cominciò un caotico fuggi fuggi, mentre alcune spettatrici svenivano tra le braccia dei mariti pallidissimi.

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Ebbene, due giovani e ignoti maestri di musica, che dovevano poi diventare celebri, salvarono la situazione. Il primo, Carlo Lombardo, al cui nome rimasero legate tante operette, si precipitò verso l’orchestra e gridò «Fermi ai vostri posti! Suonate! ». L'altro, il nostro direttore d'orchestra, Pietro Mascagni, con straordinaria presenza di spirito, gridò il titolo di un pezzo gaio allora in voga; la sua bacchetta ancora umile trinciò l'aria, l’orchestra attaccò, e, come per incanto, gli spettatori che si affollavano pericolosamente verso le uscite si fermarono, poi tornarono ai loro posti, e lo spettacolo continuò ».

Dalla "Norma" al varietà

Già nel 1890, al Teatro Gerbino di Torino, i fratelli Gregoir avevano fatto soldi a palate con due fra le prime operette famose: «La figlia di Madame Angot » e «La Mascotte ». Il successo torinese ebbe un’eco profonda a Milano, dove l’avv. Bergonzoni mise su in tutta fretta una compagnia che portò sul piccolo palcoscenico del “Pezzana” (un teatrino di Porta Genova) «L’augellin beiverde », «L’amore delle tre melarance », «Cenerentola » e altri lavori che oscillavano tra la fiaba e l'operetta. La Compagnia Bergonzoni, con questo repertorio, riportò strepitosi successi.

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All’alba del secolo l’operetta ha già le carte in regola per iniziare la sua trionfale ascesa. Le sorelle Tani, i Gargano, la Spinelli, la Gattini, Tomba, la Urbinati, la Rosselli, Luigi Maresca (nonno della soubrette Marisa Maresca), sono i primi nomi che incontriamo lungo il fiorito sentiero operettistico. Ma non mancavano le belle voci, nè mancavano artisti dotati di temperamento: il secolo ventesimo non ha ancora imparato a camminare quando le platee cominciano a far la conoscenza di altre grandi soubrettes: Pina Ciotti, Giuseppina Calligaris, Emma Veda, Gea della Garisenda, Gisella Pozzi, e tenori come Van-nutelli e Ferrari, che la Scala strappò presto alle scene dell’operetta. Ma è forse a Suvini e Zerboni e a Carlo Lombardo che si debbono i primi sbalorditivi allestimenti scenici. La rivista di oggi; nipotina della vecchia gloriosa operetta, non ha inventato gran che; nel dominio della fantasia e dello sforzo, come in quello delle bizzarrie, non c’è forse niente di nuovo sotto il sole; ma le riviste dovrebbero onestamente dire: «Dall'alto di tutti i trionfi, quarant’anni di operetta ci guardano ».

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Gli ultimi decenni della storia operettistica poggiano su nomi che non si dimenticano: Ines Lidelba, Maria Donati, Nanda Primavera, Nella Regini, Isa Bluette, Angela Ippavitz, Pina Gioana, il da Springher, Mimi Aylmer, e i Trucchi, Orsini, Bertini, Fineschi, Massucci, Riccioli, Navarrini ecc., per non parlare che dei più recenti.

Armando Fineschi debuttò al "Maffei” di Torino in rivista. Ma nel 1913 l’operetta gli apri le braccia ed egli non seppe resistere. Non aveva ancora diciannove anni quando gli fu affidato l’impegnativo ruolo di primo comico assoluto. Maria Donati debuttò a sette anni nella «Norma »; più tardi fece anche lei il suo duro tirocinio in varietà; ma poi fu scritturata come comparsa in una compagnia di operette. Una sera, nel 1915. fu invitata a sostituire la prima soubrette, Gina Da vico, indisposta. Il vecchio adagio latino «Mors tua vita mea » non fu certo smentito in quella occasione: Maria Donati, infatti, riportò un clamoroso successo e divenne prima soubrette in una sera. Passata in un'altra compagnia. s’innamorò pazzamente del comico, Armando Fineschi, che da parte sua, invece, non sembrava troppo infiammato. La Donati, sempre più invaghita, chiese consiglio a un'amica: «Che posso fare per levarmelo dal cuore? ». «Sposalo! », suggerì l'amica. La bella soubrette accettò il consiglio, Fineschi accettò la Donati, e qualche tempo dopo, una delle più felici coppie che abbiano mai calcato le scene, s* inginocchiava all’altare per pronunziare il sacramentale «sì ». Oggi, i coniugi Maria Donati e Armando Fineschi, teneri come trentanni fa, abitano a Roma, in via Salaria.

Anche Guido Riccioli calcò le non facili scene del varietà, prima di conoscere i fasti dell'operetta: nel 1915 fece un «duo » comico con Luciano Molinari; ma nel 1920 fece il suo debutto operettistico all’"Eliseo” di Roma, avendo a fianco Nanda Primavera, una delle poche stelle di prima grandezza che abbia ricoperto sin dal primissimo debutto il ruolo di soubrette assoluta, e non aveva che diciassette anni, «La signorina Mefistofele », «Grand Hotel », «Stenterello », «Don Gill dalle calze verdi », «Tuffolina », «Monelli fiorentini », «Acqua cheta », «Donna perduta », e molti altri furono i successi della coppia Primavera-Riccioli, abruzzese lei, fiorentino lui. Fu Guido Riccioli a scoprire e lanciare sulle scene Alberto Sordi, Rossano Brazzi, Renato Maddalena, » Giulio Marchetti, Nino Fiorenti e tanti altri. Come la Donati e Fineschi, anche Nanda Primavera e Guido Riccioli, un giorno, decisero di far coppia fìssa nella vita come sulla scena, e si sposarono. Vivono a Roma, in via di Porta Pinciana, a tu per tu con Villa Borghese.

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Mancano belle voci

Nel periodo d'oro dell'operetta una signorina di Ferii, Ines Bai deili Fronticelli, agiata, colta e nobile, si mise in testa di studiare canto: contro la volontà della sua famiglia, manco a dirlo. Ma la giovane Ines (aveva allora poco più di vent’anni) era piuttosto volitiva e riuscì a vincere la prima fase della battaglia: frequentò il Conservatorio di Bologna. Fra i suoi austeri familiari, qualcuno cominciava stentatamente a rassegnarsi all'idea che ella diventasse cantante lirica. E, per la verità, i suoi mezzi vocali glielo avrebbero consentito. Ma la ragazza, dotata di una vivacità che appariva in forte contrasto con i principi un tantino rigidi dei suoi familiari, accarezzava ben diverse prospettive: cosi a ventitré anni, ella si decise ad assumere uno pseudonimo: divenne Ines Lidelba e debuttò all’ "Eden" di Milano con «La bella Elena ». Il suo successo addirittura trionfale le apri immediatamente le porte lei maggiori teatri. Per lei Pietri scrisse «Primarosa ». Fra le sue tnterpretazioui si ricordano in modo particolare, oltre alle due precedenti, «Merletti di Burano », «Zarevich », «La principessa della Czarda », «Madame Pompa-dour », «La danza delle libellule », «Cincillà », «Il paese dei campanelli », «La duchessa del Bai Tabarin », «La presidentessa ». Una caratteristica di Ines Lidelba fu la sua fervida simpatia per il pubblico che affollava i posti più popolari. «Se l'applauso proveniente dai palchi e dalle barcacce mi procurava una comprensibile soddisfazione, l'entusiasmo degli studenti e delle sartine che affollavano il loggione mi riempiva ogni sera di gioia ». Si ritirò dalle scene in bellezza, ancor giovane, nel 1932: fu con «La vedova allegra » che, all' "Odeon” di Milano, diede il suo nostalgico addio al teatro. Sposò nel 1938 il conte Esengrini. Oggi vive a Milano, in via Massena.

L’eredità artistica di tante indimenticabili dive della piccola lirica, è stata raccolta da una promettente giovane, Elena Regia, che si sta generosamente prodigando per ricondurre l’operetta all'antico splendore: è forse la sola soubrette, oggi, dotata di mezzi vocali veramente rilevanti.

In fondo, si parla spesso della morte dell'operetta senza dirne le vere cause: la verità è che mancano le belle voci. Quando la lirica non era sovvenzionata, il prestigio della stessa Scala subì un Pauroso scossone: le «voci » si orientavano tutte verso l'operetta. Probabilmente pochi ricordano che vi fu appunto un momento in cui si ventilò persino l'incredibile eventualità di dover trasformare la Scala in un cinematografo. Ma la crisi fu ben presto superata. Il gusto del pubblico già stava cambiando. Allora i cantanti dissero un indifferente «addio» all'operetta e le voltarono le spalle.

Ma quanto è mutevole, questo teatro gaio musicale! E com'è capriccioso! Non trova mai la ma formula, a quanto pare, è stravagante, fa le bizze, nasce macchietta napoletana, diventa canzone, si ammanta di piume e si trasforma in operetta, annega in fiumi di champagne e guizza nella rivista satirica! Questo volubile teatro, com’è diverso dalle sue maggiori sorelle, la prosa e la lirica, serie, costanti, tradizioira-liste fino alla punta dei capelli! Intanto, però, nella multiforme e incostante attività della scena gaia musicale, si distacca la canzone pei vivere una vita sua. indipendente ed emancipata. La canzone continua a trionfare ad opera di autori e interpreti ricchi di temperamento. L’indimenticabile Angelo Ramiro Borella darà al varietà «Come una coppa di champagne », «Follia », «La medaglia di papà », a Sotto i ponti di Parigi », «Tre », «Adagio Biagio », ecc. Ma questo troppo vasto panorama della canzone lo completeremo nella prossima puntata, che concluderà questa storia con una fugace occhiata alla trionfante forma di spettacolo gaio musicale: la rivista.

Vincenzo Rovi, «Tempo», anno XIII, n.9, 3-10 marzo 1951


Tempo
Vincenzo Rovi, «Tempo», anno XIII, n.9, 3-10 marzo 1951