Novelli, Petrolini, Ruggeri e Gandusio alle prese coi copioni
Per l’autore di teatro leggere un copione a un capocomico è stata sempre un’impresa ardua. Al tempo in cui le Compagnie cambiavano spettacolo tutte le sere, e quindi si può dire le prove giornaliere durassero ininterrotte per l’intero triennio, quale capocomico aveva tempo e voglia di leggere una commedia? Capitava, a volte, che l’autore gliene dicesse in sunto la vicenda. E se questa gli garbava, ma proprio doveva garbargli molto, la commedia la si metteva senz’altro in prova, salvo poi, se la commedia «non stava in piedi», come diceva Angelo Musco, non fame più niente. Ma anche questo avveniva di rado, perchè con l’obbligo di dare tante novità in un determinato teatro durante la stagione, non si andava tanto per il sottile. Di qui la caterva di fiaschi, di cui ci parlano le cronache di teatro di Pozza, Simoni, Praga, fino alle soglie della prima guerra mondiale.
Pagine bianche
Di Novelli si diceva non avesse mai letto una commedia. E si raccontava, per celia, che un autore gli aveva inviato dopo tanti rifiuti un copione con le pagine bianche, e con tanto di titolo sulla copertina: «La leggerai?». No, ad onta di quel titolo ammonitore, Novelli non la lesse. Quando l’autore dopo qualche tempo si presentò per chiedergli conto della lettura del suo lavoro, Novelli che era improvvisatore nato sulla scena e fuori, non si perse d’animo e cominciò col dire che i primi due atti, sì, potevano andare, ma al terzo... quel padre... L’autore: «Quale padre?». Novelli pronto: «Volevo dire lo zio...». «Quale zio?». «Il fratello...». «Commendatore, nella mia commedia questi personaggi non ci sono». (Ed aveva ragione perchè, come si è detto, le pagine erano immacolate). Novelli aggrottò la fronte e con un tono ' che non ammetteva repliche, esclamò: «Ecco perchè la sua commedia non va, perchè mancano quei personaggi!».
Naturalmente quando l’autore era di gran nome, delle due l’una: o accettare i tre atti a «scatola chiusa», oppure sobbarcarsi ad ascoltare la lettura. Certo che non tutti i capocomici riluttano alla ascoltazione o alla lettura: Ruggeri, per esempio, oltre all’aver ascoltato, da scritturato nella Compagnia Talli-Gramatica-Calabresi, La figlia di Jorio, in un albergo di Verona, dalla viva voce del poeta, lettura che durò circa tre ore, ascoltò sempre anche le letture di Pirandello, di Possenti, di Lopez, e di altri autori di nome, e lesse, degli sconosciuti, sempre, i lavori che gli venivano inviati, dandone poi il risultato all’interessato per lettera o magari con un telegramma, quanto mai sintetico di accettazione: «Metterò in scena la sua commedia», o di ripulsa: «La sua commedia non è per me».
Estro di Musco
Anche Musco, per la verità, non si sottraeva alla lettura di un copione, fatta dall’autore. E quando la commedia gli piaceva non lesinava i complimenti, massimo fra tutti: «Mi sembra Martoglio!», che era stato l’autore che gli aveva fornito col San Giovanni decollato materia per i primi successi come capo-comico. Non di rado prendeva carta e lapis e schizzava la caricatura del personaggio che avrebbe interpretato. Solo che, alle prove, la commedia accettata subiva tagli, trasformazioni, aggiunte di personaggi e cambiamenti, a cominciare dal titolo. D’ima delle ultime commedie rappresentate, aveva aggiunto tre personaggi e aveva cambiato l’intero terzo atto, e ce lo disse dopo il felice varo, durante una visita fattagli in camerino.
Degli attori comici, forse solo il Musco, in privato, manteneva il brio e la mimica della scena. In genere i comici, in privato non lo sono affatto, alcuni sono persino malinconici. Petrolini, in certi momenti, pur sfornando di continuo epigrammi, bon-mots, «colmi», ecc., diventava addirittura tragico. Di ciò non si rendono conto gli amici, gli ammiratori, che invitano l’artista a una festa, o in casa propria per una cena, con il lieto proposito di passare in compagnia dell'attor comico una brillante e spassosa serata. Se ne accorse quel damerino romano durante una festa a cui era invitato Petrolini, di quanto l’aspettativa fosse fallace, allorché rivolgendosi al grande attore romano, disse: «Petrolini, ci faccia divertire un po’...». In quel mentre il cameriere si avvicinava col piatto degli spaghetti. Petrolini, senza scomporsi, lo prese e lo rovesciò sulla testa dello zerbinotto. Tutti risero. E Petrolini con quella maschera impastata di grottesco e di tragicità: «Eccovi servito!».
Non falsano la regola Eduardo e Peppino De Filippo, che in compagnia non sono affatto divertenti, pur essendo sempre intelligentemente pittoreschi. Sembrerà strano ma i «drammatici» in comitiva sono i più spassosi. Di Zacconi giovane si diceva che fosse fra amici addirittura uno «scugnizzo». E Sainati, che terrorizzava le platee col Grand Guignol, un burlone.
La faccia di Antonio Gantìusio, in privato diventava addirittura funerea. Tanto che egli stesso ha raccontato che quando divisò di darsi al teatro, dopo di aver conseguito la laurea in giurisprudenza, il Sarfatti, l’autore di Minuetto, amico di famiglia gli disse: «Con quella faccia vorresti fare il comico?».
Negli ultimi anni, quando recitava o riposava a Milano, Gandusio verso mezzogiorno prendeva posto a uno dei tavoli di un caffè in Galleria, per sorbirsi l’aperitivo. Ed era lì che autori, importatori di commedie e affini, gli andavano a proporre la loro merce. In quel tempo lo avvicinavo spesso, in quanto avrei dovuto curargli il volume delle Memorie, che disgraziatamente non potè essere completato quando venne a mancare. Il grande attore si apprestava a dare il suo nome a una Compagnia di nuova formazione, e l’impresario di questa Compagnia mi pregò di andargli a leggere una mia commedia. La cosa mi parve non di facile riuscita. E invece Gandusio annuì alla proposta, dopo di avermi chiesto: «Quanto tempo impiegherà? Sa, perchè ieri sera è stato da me un altro autore, e per leggere tre atti ha impiegato più di tre ore, ora io mangio alle otto, se lei ce la fa in due ore, venga alle sei».
"Forse... sì"
Puntuale bussai alle sei alla porta del suo appartamento, dove viveva solo con una governante, che venne ad aprirmi l’uscio. Gandusio era più tetro del solito, in quel salotto contornato da una libreria circolare colma di volumi. Mi parve, tanto il suo volto mi era sembrato di pietra, che si sentisse addirittura male. E azzardai: «Commendatore, le faccio una proposta, leggiamo per oggi solo il primo atto, e se lei crede si debba continuare, domani il secondo, e dopodomani il terzo...». «Accettato — rispose lui — prende un caffè?». «Grazie». E la lettura cominciò. La commedia, secondo me, era comicissima, e infatti poi tale si rivelò alla ribalta nella interpretazione di Be-sozzi, ma a chiusura del copione dopo il primo atto ebbi l’impressione di aver letto una tragedia greca, guardando il volto del commendatore, che si era abbuiato ancora di più. E grande fu la mia sorpresa quando, come d’accordo, e felice di rimandare quello che per me era diventato uno strazio, la lettura del secondo atto, all’indomani, Gandusio, guardando l’orologio (avevo letto con l’acceleratore) mi invitò a continuare. Breve: volle che andassi fino in fondo. Siccome il suo volto sembrava sempre più indignato, pensai che per mera educazione, e senza nemmeno badare a quello che andavo leggendo, mi avesse pregato di continuare fino alla fine. E invece mi sbagliavo, non solo ricordava tutto quanto gli avevo detto, ma si rammaricò che in quella commedia egli non avrebbe dovuto fare la parte del protagonista bensì, come da contratto con l’impresario, una delle parti cosiddette di «favore». Al che io rimasi interdetto, non sapendo di questo preventivo accordo con l’impresario. «Capirà, m’hanno già chiesto di fare una parte di favore in altre due commedie!». Azzardai: «L’avrebbe recitata se, come le spetterebbe di diritto, le avessero lasciato interpretare il personaggio principale?». Gandusio inarcando le sopracciglia, dopo di essersi concentrato per un istante, finalmente emise l’attesissima sentenza: «Forse... sì!».
Rodolfo De Angelis, «Domenica del Corriere», anno LX, n.2, 12 gennaio 1958
Rodolfo De Angelis, «Domenica del Corriere», anno LX, n.2, 12 gennaio 1958 |