Delia Scala, la soubrette dell'era atomica
Delia Scala interpreterà a Parigi un film musicale con Gene Kelly e non sa ancora se accetterà o no di andare a Broadway. La prima volta che Dapporto l'udì cantare decise di licenziarla.
Roma, dicembre
«Broadway», ripetè Delia Scala con voce spenta, lasciando trasparire un vago tormento interiore, «non è la prima volta che mi chiedono di andare a Broadway e Dio sa se mi piacerebbe, ma ho paura: non di Broadway e dell’America, ho paura di me stessa.» Socchiuse gli occhi ancora gonfi di sonno, si rannicchiò meglio nella grande poltrona portandosi le ginocchia fin sotto il mento e rimase un attimo in silenzio, assaporando il tepore del sole pomeridiano che filtrava attraverso i vetri.
Delia Scala insieme con Nino Manfredi nel suo più recente successo, la rivista «Un trapezio per lisistrata » di Giovannini e Garinei
Aveva i capelli pettinati, il viso senza trucco, indossava un golfino rosa con le maniche corte ed una gonna grigia: più che la prima soubrette d'Italia sembrava una studentessa dopo una difficile sessione d’esami. Riaprì gli occhi, sorrise gentile e cercò di spiegarsi meglio.
«Ho un carattere terribile ed ho paura perché qualsiasi cosa faccio, finisco per dedicarmici troppo rinunciando alla mia vita privata, alle ore di sonno, a tutti i miei impegni. Se ci sono in teatro dieci spettatori o quarantamila per me non fa differenza: agli uni e agli altri dò sempre il massimo delle mie possibilità.»
Tacque ancora. Da una grande caraffa si versò un bicchiere di frullato di frutta e ne bevve un lungo sorso. «Vitamine», spiegò con un sorrisetto ironico. Poi riprese: «Sono nata pigra e il mio mestiere non doveva essere quello dell’attrice». Fece una pausa. «Ecco», continuò, «penso che sarei stata una buona moglie, una buona madre, una tranquilla donna di casa : forse non molto brava come cuoca, ma in grado di vivere uria serena esistenza. Invece mi sono innamorata a sedici anni di un uomo che ne aveva il doppio, l’ho sposato subito e, dopo pochi mesi, dovevo accorgermi che tra noi tutto era finito, al punto che non lo potevo più sopportare. Così tornai da mia madre e dovetti cercarmi un lavoro. Un concorso cinematografico mi portò a Roma: tutt’un’altra esistenza.»
Dall'album di Delia Scala. L’attrice ha studiato danza alla Scala per cinque anni e, dopo un matrimonio sfortunato, ha preferito dedicarsi al cinema.
Aveva diciassette anni quando fece il primo film ed appariva talmente spaesata che, quando non lavorava, passava le sue giornate nell’ufficio stampa della Lux Film : non per assicurarsi che le facessero una buona pubblicità, ma solo per chiacchierare con le dattilografe. E tutti i giornalisti che passavano di là finivano per fare la sua conoscenza, perché non c’era altro posto a Roma che Odette Bedogni frequentasse con tanta insistenza. Questo avveniva dodici anni fa, ma a me che la conobbi allora sembra che ben poco di lei sia stato cambiato: giusto il nome ed il colore dei capelli. «Nessuno crede», disse Delia, «che abbia fatto quarantadue film in otto anni, ma potrei elencare tutti i titoli.» C’era ingenuità nella sua frase, non perché le stesse a cuore il suo passato, ma semplicemente per amor di verità.
Del resto sapeva benissimo che, ad eccezione del suo primo film. Anni difficili e di pochi altri, aveva interpretalo tutti filmetti di media levatura, spesso realizzati a preventivo bloccato, da registi senza grandi pretese. Tutti filmetti che abbiamo frettolosamente dimenticato, ma che rappresentavano la principale produzione italiana del dopoguerra e che segnano pure, con la loro mediocrità, un periodo ben definito della nostra vita.
«Se non ero nata per fare l’attrice», riprese Delia Scala dopo aver vuotato il suo bicchiere di vitamine, «tanto meno sembravo nata per fare la soubrette: a recitazione e a danza potevo passare, ma per cantare ero assolutamente negata. Lo dissi subito, ma nessuno sembrò darmi retta. Finché, il giorno della prima riunione di compagnia di Giove in doppiopetto, Gomi Kramer si accorse di una cosa : non avevo nella voce più di una nota e mezza. Il che mi dava la possibilità di intendermi con i miei simili, ma sembrava precludermi ogni avvenire sui palcoscenici di rivista.» Delia sorrise di nuovo, posò il bicchiere, si accese una sigaretta, tenendo ancora un po' gli occhi bassi, come pensando a qualcosa che voleva dirmi : «Dirò una cosa che non ho mai raccontato prima: dopo aver provato con me il primo duetto Carlo Dapporto decise di protestarmi. Tra l’altro aveva scritturato anche Lucy D’Albert e non aveva preoccupazioni per la riuscita dello spettacolo. Si rivolse a Garinei e Giovannini, disse delle cose antipatiche sulle attrici del cinema che arrivano al teatro senza la minima preparazione e chiese la mia testa. Gii risposero picche. Così rimasi e feci di tutto per conquistarmi la stima e la simpatia di Dapporto. Dieci giorni dopo avevo vinto la mia battaglia e due anni dopo avrei avuto la sua capitolazione definitiva: dopo vent’anni di eapocomicato, Dapporto mi offrì metà della sua ditta se fossi rimasta in compagnia con lui».
Dall'album di Delia Scala: l'attrice in uno dei primi film da lei girati
L’idea di fare la rivista non era stata di Delia Scala : sua madre, anzi, si era mostrata sempre contraria a questa forma di spettacolo che riteneva scombinato, insalubre, difficile e poco ‘serio. Era entusiasta del cinema e non voleva che la figlia lo abbandonasse: e Delia, che sempre le aveva dato retta, si guardava bene dal disobbedire. Così il primo incontro con il teatro avvenne per caso, per una recita di beneficenza pro-alluvionati, organizzata da Garinei e Giovannini. Delia Scala stava interpretando L’eroe sono io con Rascel e il comico le chiese di fare uno sketch al suo fianco. Si travestì da Shirley Tempie, con i riccioli lunghi e le calze corte, e ballò un charleston : il successo fu tale che il numero fu ripetuto tre volte e molti impresari offrirono a Delia un vantaggioso «lasciapassare» per la rivista. Ma l'attrice alzò le spalle, sorrise e tornò tranquilla ai riflettori di Cinecittà.
Da quel momento, tuttavia, il mondo della rivista non la perse d’occhio e le offerte, sporadiche, camuffate, apparentemente disinteressate, continuarono a pioverle addosso. Lo stesso Mario Riva, che la voleva nella sua compagnia, si assunse l'incarico di convincere prima la madre. Giunse a prometterle di sposarla, giurò che gli attori di rivista hanno sempre goduto una salute di ferro, dimostrò con statistiche addomesticate che ogni donna dovrebbe fare qualche anno di rivista per raggiungere una piena maturità. Tutto questo non servì a fargli scritturare; Delia Scala, ma servì a spianare la strada ad altri. Nell’estate del 1954, infatti, all’Hotel Ast'or di : Viareggio avvenne un’asta di particolare interesse per Delia Scala: da una parte Garinei e Giovannini che, per Trinca, le offrivano la compagnia Dapporto, dall’altra Gisa Geert e Sirri che offrivano Walter Chiari. Per un paio d’ore Delia Scala andò avanti e indietro dalla hall al bar dell’al bergo, ascoltando le offerte degl uni e degli altri, finché non si deci se per Trinca che superò di dieci mila lire il giorno quella di Sirri.
Delia Scala pensò di dedicarsi al cinema dopo aver vinto un concorso. Da Milano si trasferì a Roma ma, dopo Anni difficili, interpretò solo pellicole di modeste ambizioni. In otto anni di lavoro, tuttavia. Delio Scala ha lavorato in quarantadue film
Semplice, modesta, precisa i attenta, cocciuta, Delia Scala si gettò anima e corpo i nella sua nuova avventura, i cinque anni di danza classica che aveva fatto da bambina le diedero coraggio nei primi terribili giorni, quando tornava a casa quasi sempre in lacrime, convinta di non riuscirci. Ma a poco a poco si impadronì del palcoscenico, delle battute, dei motivi, cercando di trarre dalla sua ugola arida una voce aggraziata e gentile. La sera della prima tutta la compagnia puntava sul suo successo e Delia Scala conquistò il pubblico d’impeto, senza risparmiarsi, senza concedersi tregua, senza perdere una sola occasione.
E, quello che è più importante, lanciò un nuovissimo genere di soubrette, fuori dai canoni dello spettacolo di varietà. Delia Scala aveva creato la soubrette dell'era atomica, che leggeva la Sagan, piaceva alla gioventù bruciata, strizzava l’occhio all'esistenzialismo, aveva un debole per la caccia subacquea e ballava il rock and roti. Era più graziosa che bella, più sbarazzina che fatale, più spregiudicata che vamp, più sportiva che viziosa. E addio piume ondeggianti, addio costumi di lamé, addio pose lascive, addio occhiate maliarde, addio doppi sensi, addio bianche scalinate da gran finale : Delia Scala entrava in scena come un’acrobata, faceva le capriole in passerella, dava ai suoi personaggi un umorismo inconfondibile. Era la prima soubrette che riusciva simpatica anche alle donne.
«Ogni nuovo debutto» riprese Delia Scala versandosi un altro bicchiere di vitamine «mi porta via un anno di vita. Negli ultimi quattro anni ho fatto Giove in doppiopetto, Il ciclone Bettina, L'adorabile Giulio e Un trapezio per Li sislrata. Da quattro anni la mia giornata comincia alle tre del pomeriggio, quando mi alzo, e si con conclude alle quattro del mattino quando finisco di cenare ; e da quattro anni comincio a lavorare ai primi di agosto per finire ai primi di giugno dell’anno seguente: un lavoro snervante, definitivo, senza riposo, sicché quando arrivo a fine stagione non mi reggo più in piedi, non ho più forza o volontà di fare altro.»
La prima rivista musicale interpretata di Delia Scala fu “Giove in doppiopetto" di Garinei e Giovannini. Quando la sentì cantare alle prove Carlo Dapporto decise che Delia non avrebbe mai potuto lavorare nel suo spettacolo e ne propose il licenziamento. Con quella rivista, invece, Delia Scala si impose come la più moderna soubrette del teatro italiano.
Si distese pigra, indolente, puntando la schiena contro il bracciolo della poltrona: appoggiò il capo di traverso sull'avambraccio coi una bambina che si accinga a mire, né serena né contrariata, ripetè che sua madre era la migliore madre del cinema e del teatro italiano: non aveva mai scocciato un regista perchè valorizzasse figlia, ma non sbagliava mai un giudizio su un suo lavoro, al punto che persino i «due leoni» (Delia chiama con questo affettuoso appellativo, che tuttavia può prestarsi a diverse interpretazioni, Garinei e Giovannini) ci tenevano ad un suo parere. Mi disse che suo fratello, per starle accanto come suo segretario di fiducia, aveva sacrificato la propria vita. Disse che una signorina tentava invano di farle imparare l’inglese da diversi mesi. E tornò, come in principio; a parlare di Broadway.
«Già due anni fa io e Walter dovevamo andarci con II ciclone Bettina, ma all’ultimo momento lui non volle muoversi da Roma e rinunciai anch’io: la commedia andò in scena senza di noi ed ebbe successo. Da parte sua la Metro mi offri di fare Teresa, il film che interpretò la Pierangeli e, due anni fa, di interpretare con Danny Kaye Il principe del circo, un altro film che ha interpretato la Pierangeli : ma tutte e due le volte non sapevo l’inglese e dovetti rinunciare.
Ora Hollywood è tornata alla carica per la terza volta, per un film-rivista con Gene Kelly da girare a Parigi nel marzo prossimo. E per la seconda volta gli impresari di Broadway sembrano interessati al mio debutto con Un trapezio per Lisistrata. Come se ciò non bastasse la televisione mi ha offerto, sempre con Garinei e Giovannini, un Delia Scala show che, con sottotitoli, verrebbe diffuso anche dalle stazioni televisive americane. Ma che posso fare se non ho tempo, se non riesco a fare due o tre cose insieme, perché voglio mettere in ciascuna il meglio di me stessa?» La sola idea di tutte queste proposte sembrava avvilirla, rattristarla. Come se il peso del lavoro di Broadway e della televisione e della rivista dell’anno prossimo fosse già sulle sue spalle. Per la prima volta lasciò vedere che la sua indole pigra si ribellava alla imposizione di un’attività quotidiana cosi esasperante. Ma fu un attimo e, come una luce di dentro, le tornò un sorriso sicuro, sbarazzino sulle labbra. Ecco, la paura sembrava passata, Delia Scala era già pronta a riprendere la sua corsa quotidiana. Di un matrimonio infelice e di un amore sfortunato, le sue tappe più decisive della sua vita, non restava che una vaghissima amarezza, avvertibile solo in qualche sfumatura del suo discorso. Per il resto Delia Scala era Delia Scala dalla punta dei piedi alla cima dei capelli: una ragazza limpida, forte, buona. Non so se a questo punto abbia intuito il mio pensiero. È un fatto che, con un sorrisetto ironico, riempì nuovamente il bicchiere e disse: «Se non avessi queste vitamine!».
Giorgio Salvioni, «Epoca», anno IX, n.428, 14 dicembre 1958
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Giorgio Salvioni, «Epoca», anno IX, n.428, 14 dicembre 1958 |