Giovanna Ralli: i miei film sono il mio specchio

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Giovanna Ralli, diciotto anni di attività, non è stanca di fare l’attrice. “Al cinema ho dedicato tutto - dice - per il cinema sono cresciuta e trasformata".

Roma, ottobre

«Ho 35 anni e lavoro da 18. Non sono diventata una star ma sono una professionista. La star dura cinque-dieci anni. Io vorrei lavorare fino a sessanta, se la salute me lo permette. La star nasce e si impone avendo qualcuno alle spalle, poi declina. Io mi sono sempre mossa da sola nell'ambiente del cinema, non ho avuto nè produttori nè press-agents per lanciarmi, ma le mie quotazioni sono andate crescendo dal primo film ad oggi».

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Nonostante lavori nel cinema da tanti anni, abbia interpretato una cinquantina di film, vinto alcuni premi intemazionali, non è frequente che la Ralli dia interviste. «Parlare di me è imbarazzante. Non so cosa dire», si scusa. A questo incontro si è preparata con uno stato d’animo oscillante fra la preoccupazione e la emozione. A convincerla c’è stata l’occasione del film che interpreta in questi giorni, ”Una prostituta al servizio del pubblico e in regola con le leggi dello Stato” diretto da Italo Zingarelli. E’ una storia che presenta in chiave allegramente feroce il mondo della prostituzione e della malavita, con il suo codice morale, il gergo, le usanze e le particolari connessioni che si stabiliscono con il mondo esterno: medici, clienti, polizia, avvocati. Il personaggio della Ralli è quello di una prostituta moderna, una ragazza che ha scelto deliberatamente il suo mestiere, ha conquistato un prestigio professionale, è ricercata, ben pagata, quasi ricca, e difende la sua posizione con serenità e consapevolezza, accettando come un corollario indispensabile lo sfruttamento cui la società la sottopone. Con questo ruolo l'attrice ritorna al personaggio della popolana belloccia e impudente, umile e sentimentale, chiacchierona e aggressiva, che appartiene alla realtà della vita romana e che le portò fortuna agli esordi della sua carriera.

«Il lavoro — dice — è la cosa più importante che ho. Il lavoro mi fa vivere, mi fa leggere di più, migliorare interiormente, conoscere di più la vita, capire più prontamente gli altri, compreso il regista quando mi parla e chiede un certo atteggiamento per quel certo personaggio. Sono assetata di personaggi e non chiedo che di poterli interpretare bene. Io li vivo i personaggi, non li interpreto. Gli altri imparano a memoria le battute e le ripetono, magari benissimo. Io invece ci credo. Quando cominciai a lavorare. De Sica — che fu uno dei miei primi partner — lo capì e me lo disse: "'Giovanna, tu non devi fare altro che credere in quello che dici, tutto allora riesce più facile e anche più efficace”».

La sua carriera ha ”influenzato” in qualche modo la sua vita?

«Certo. Sono cresciuta con i ruoli che ho interpretato, mi sono evoluta e trasformata così come si andava sviluppando ed orientando la mia carriera. In principio ero soltanto me stessa allo stato originale: la romana tutto luccichio di occhi e di denti, rissosa e gioviale, dei film dialettali ”di costume” con Sordi, Mastroianni, Arena, De Sica. Poi è venuto Rossellini e — con ”Il generale Della Rovere” e ”Era notte a Roma” — sono diventata più matura e consapevole. Dopo il ’60 ho cominciato ad affrontare una realtà più attuale e complessa, da ”La vita agra” a ”La fuga”, ed ho scoperto inquietudini e conflitti nuovi, anche fisicamente mi sono trasformata, mentre cambiavano i miei gusti, le inclinazioni, il modo di vestire e persino di truccarmi».

Ai nuovi ruoli che le offrivano e alle nuove forme di espressione che le venivano richieste, lei ha mai opposto qualche resistenza, qualche diffidenza?

«No, perchè mi incuriosiva il processo di cui io ero spettatrice e protagonista nello stesso tempo. Quando Gherardi venne qui a studiare con me l’aspetto da dare al personaggio di Piera de ”La fuga”, questa giovane donna dalla psicologia contorta e morbosa che poi interpretai, fu una esperienza bellissima: lui intuiva che tutto poteva essere cambiato in me e io lo aiutavo, lo stimolavo, non mi stancavo mai di provare acconciature e movenze. Finché uscì quella pettinatura tirata e austera, quel trucco chiaro e sofisticato, che mi trasformò letteralmente.

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Questa sua "disponibilità” a diventare il personaggio previsto da un copione e da un regista, se le è preziosa sul lavoro non è invece negativa nella vita, dove nessuno le suggerisce le battute da dire ma è lei a dover pensare, scegliere e decidere con la sua testa?

«Infatti sono più brava sul set che nella vita. E’ più facile recitare bene che sapere chiaramente quello che si vuole giorno per giorno. Oggi io stessa non so più ciò che vorrei. Fino a qualche tempo fa era più facile: il matrimonio mi sembrava la soluzione più naturale e desiderabile per una donna, avere dei figli una legittima vocazione, creare una famiglia e vivere per questa una prospettiva logica e serena. Sono stata molto unita ai miei. Invidio le mie sorelle che hanno realizzato questo tipo di vita. Adoro i nipotini che mi hanno dato — fino ad ora sono sette, ma il numero aumenta ogni anno — però, ormai, non sono più sicura se una quieta esistenza borghese mi renderebbe felice».

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Ragiona troppo

Il matrimonio non necessariamente si riduce ad un rapporto piatto e pianificato. I figli sempre più raramente sostengono il ruolo di 'gioia e conforto” per i genitori. Insomma lei rifiuta ”il” matrimonio o "un” certo tipo di rapporto matrimoniale?

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«lo credo molto nell’amore. Credo anche nel matrimonio. Però alla mia età si ragiona molto, forse troppo. A diciotto anni ho avuto il grande amore, e allora non ho avuto il coraggio o la spregiudicatezza di andare via di casa per vivere con l’uomo che amavo e che non era libero, quindi non poteva sposarmi. Poi ho avuto altri amori, alcuni più, altri meno importanti. Però ogni volta ho soppesato i prò e i contro di una decisione definitiva. Anche adesso ho una storia, che è importante e dura già da tre anni. Siamo molto affiatati, non ci annoiamo, ma continuo ancora a pensarci su. La verità è che sono autonoma e autosufficiente. Amo la casa. Mi piace leggere. Non sono triste. Sono diventata abbastanza egoista da temere di dividere la mia vita con un’altra persona e di dover fare quindi delle concessioni a scapito della mia libertà. Insomma. non so bene cosa fare: anche così io sto benissimo».

Sandro Villa, «Tempo», anno XXXII, n.42, 17 ottobre 1970


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Sandro Villa, «Tempo», anno XXXII, n.42, 17 ottobre 1970