Viviani e i "gialli"

Raffaele-Viviani


Il genere poliziesco — come certe classi zoologiche — non ammette sottospecie. E mal si oppone colui il quale si basa sul numero dei colpi di rivoltella per dedurre affinità con gli esemplari tipici, coi classici del «giallo». In molti casi il colpo di rivoltella non è che l’epifenomeno, il contingente, l’episodico che non scalfisce la sostanza delle intenzioni.

Le quali intenzioni — nel caso della «Sera del sabato» di Giannini — lontanissime dal gratuito determinismo di Van Dine o di Wallace — paiono orientate a una remota meta bozzettistica — quella, per intenderci, che tanta letteratura spicciola dedicava quarant'anni fa ai problemi dell'emigrazione, fiancheggiando le squallide relazioni ministeriali, col giulebbe giornalistico dei «quadretti di colore ».

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Il miscuglio di generoso e di perfido, di patetico e truculento che la nostra memoria affida alla zoppicante Musa di Edmondo De Amicis — abbiamo ritrovato nelle vicende del Bar americano su cui si stende l’ala protettrice di Toni Savarese, ex-trafficante di alcole, ex-gangster, attualmente padrone di stabili e «guappo» innamorato.

Per chi non lo sappia c'è una fondamentale differenza fra il gangster e il guappo. Il primo è l'azione, l'altro il pensiero; il primo è la mano, l’altro il cuore, il gangster è pragmatista, il guappo è idealista.

Quello che nell'uno è aggressività cieca diventa nell'altro, scrupolo e nostalgia. Li c'è il freddo e metallico futuro, qui il passato con i suoi «chi e ricordi parrocchiali. Gangster si diventa; guappo si nasce.

La differenza delle due «Wèltanschaungeh» è così stridente che perfino il loro blasone vede l’impiego — come per gli Incas contro Pizarro,— di mezzi e armi sproporzionate.

Cosi l’idealismo ottocentesco del guappo parve destinato a franare contro le nuove realtà della Tecnica; nel finale della «Sera del sabato» in cui la Mauser automatica del gangster fa la pelle al povero Viviani, romanticamente catafratto da uno di quei coltelli che in gergo camorristico passano col nomignolo di «leccasapone».

Sentir recitare Viviani in mezzo a tutti questi attori di «lingua» è stato un piacere insieme strano e squisito. Non ricordo quale verso d'Orazio sostiene che la rustica salvia dia sapore ai contorni. Nella «Sera del sabato» accadeva che i contorni dessero il sapore alla rustica salvia. Anzi possiamo dire d'avere mangiato un piattone di salvia, con contorni di «lingua».

Quest'America, questi sceriffi inamidati e contegnosi, queste dispute di dollari e d'alcole avevano — con la presenza del guappo — assunte intenzioni d'amena caricatura. A un certo punto un colpo di rivoltella nel silenzio pomeridiano ci sembrò — svincolato dalle sue lugubri ripercussioni sulla trama — un mortaretto che preludiasse i tamburelli e putipù di Piedigrotta.

Oltre al Calò, alla brava Petrucci, alla Brignone, ci ha fatto eccellente impressione — per una rara efficacia e misura — la recitazione del Di Luca -— in una parte caratterizzata di livornese.

Il pubblico dimostrò le sue nette preferenze ai reietti ma non lesinò gli applausi anche ai molti reprobi.

Una ovazione a scena aperta suscitò l'arresto d’un fellone, ma qui la platea — fuor da meriti teatrali e da polemiche letterarie —-ci parve — ancora una volta — voler sancire il trionfo del «contenuto» sulla «sforma».

Enrico Fulchignoni, «Tempo», anno IV, n.62, 1 agosto 1940


Tempo
Enrico Fulchignoni, «Tempo», anno IV, n.62, 1 agosto 1940