Orson Welles: chi è

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Orson Welles ha cominciato presto. Nel 1917 aveva due anni e già recitava, dicono, con infantile prepotenza. A cinque anni allestiva rappresentazioni shakespeariane in un suo teatrino di marionette. A undici girava l'Europa — pedone e solitario — finché, in Irlanda, fu accolto dai «Gate Players». Poi rientrò a Broadway, diciottenne pericolosamente maturo, risoluto a far esplodere per edificazione dei connazionali le fragorose cartucce di cui era colmo il suo bagaglio di terrorista intellettuale. Cominciò con una sparata in minore, tanto per farcisi la mano: una Macbeth interpretata esclusivamente da attori negri che sollevò nugoli di polvere e fece volare parecchi calcinacci negli ambienti teatrali newyorchesi. Continuò con altre messinscene piriche, Faust, Giulio Cesare. Casa Cuorinfranto, ma a Broadway avevano imparato ad abbassare la testa quando sentivano Varia attraversata dal nome di Orson Welles. Il quale, un bel giorno, era passato alla Radio dove, per un certo tempo, si comportò con contenuta vivacità. Presentò egregiamente The Fall of the City, il notissimo radiodramma di Archibald Mc Leish, scrisse qualche scena pressoché inoffensiva. Ma non sembra che fosse soddisfatto. Sentiva di avviarsi per una strada che, in fondo, gli avrebbe riservato soltanto una più o meno comoda poltrona foderata di velluto conformista. E il conformismo non gli piaceva, per la «contraddizion che noi consente» perchè gli piaceva lo scandalo e la dinamite.

Così pensò e mise in onda la radiocronaca della calata degli invasori marziani onde riuscì a portare il terrore su milioni di americani, i quali, a mano a mano che ascoltavano dalla tragica voce di Welles i particolari della catastrofe, baciavano i piccoli figli e la legittima sposa e saltavano dalla finestra, ovvero inghiottivano veronal. Per morire prima che arrivassero le tremende creature che Welles annunziava sempre più vicine, sempre più vicine... Qualcuno, davvero, ci rimise la pelle. Qualcun’altro, pezzetti di pelle. Altri ancora, numerosissimi, ebbero compromesso l’equilibrio dei propri nervi. Tutti provarono la più completa, la più folle paura della loro vita.

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Alla fine — ma a Chicago giravano già le squadre volontarie anti-invasione — Welles spiegò seraficamente che si trattava soltanto di una trasmissione pubblicitaria.

Poi scomparve per qualche tempo, mentre le vicinanze della C. B. S. erano perlustrate da pattuglie di cittadini scuri in faccia, muniti di bastoni. In casi del genere basta, però aspettare che la gente si smonti. Infatti, quando Orson Welles ormai popolarissimo si presentò al «Mercury Theatre» come produttore scenografo regista ed attore, il pubblico americano incapace di tenergli il broncio, pur ritenendolo un uomo pericolosamente geniale, andò in massa a vedere la sua faccia. Senza abbandonare il Teatro e la Radio, Welles passò poi al Cinema e sarebbe strano che non l’avesse fatto.

Nel 1941 — aveva ventisei anni — creò Citizen Kane. Creò, nel senso che ne scrisse il soggetto, ne allestì le scene, lo diresse e lo interpretò. Suscitò Vira di Hearst, il «Big» della stampa americana, e lo ridusse alla ragione. Fece riparlare di sè — stavolta senza intervento di squadre di sicurezza e senza spreco di cerotti — tutta l’America. Sposò Rita Hayworth, a Gilda» la bomba atomica, per intenderci, e l’America ebbe altro argomento di conversazione.

Nella vasta opera di Orson Welles. Columbus Day è interessante, senza essere eccezionale: costituisce uno dei pochissimi tentativi di attualizzare un personaggio storico per farlo interprete di quella moderna inquietudine della quale lui, Welles, è una delle figure rappresentative. In tono minore, data anche la limitata estensione della produzione, ripete qui i momenti caratteristici del suo imprevedibile stile di artista e di uomo: recitando la parte di «Orson Welles» nell’azione radiofonica si muove nei secoli con una singolare disinvoltura. Scherza con la Bambina di scuola, cita Whitmann, intervista in Joe l’eterno homo americanus, legge un messaggio di Henry Wallace, ogni cosa legata all'altra da mia bizzarra sensibilità nazionalistica che riesce a far dimenticare nell’intelligenza del gioco dialettico o, quanto meno, a presentare come una nuova curiosità di a quel matto di Welles».

La radioscena fu presentata in occasione della «Giornata di Colombo» del 1942 col titolo originale Admiral of the Ocean Sea. Le intenzioni propagandistiche che ci sono vanno addebitate al tempo in cui l’unità dell'emisfero occidentale era questione essenziale per l’economia della guerra alleata: furono numerose, allora, le trasmissioni in lingua spagnola e portoghese effettuate per neutralizzare o controbilanciare la propaganda fascista che tentava di separare il Sud dal Nord America sottolineando le differenze fra l’uno e l’altro continente.

Gigi Cane, «Il Dramma», 1 settembre 1947


Il Dramma
Gigi Cane, «Il Dramma», 1 settembre 1947