Una strada di Roma del «suo» quartiere si chiamerà Ettore Petrolini

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ETTORE PETROLINI (1886-1936). — A tredici anni dalla scomparsa del grande comico, nel giorno che ne ricorda la morte, è stata collocata a Roma, in via Baccina 32, una lapide sulla facciata della casa ove per oltre vent'anni egli dimorò con la sua famiglia. Ecco il testo della lapide: «Qui dimorò Ettore Petrolini — attore e interprete insuperato — legò il proprio nome a quello immortale di Roma — con inimitabile spirito satirico — degnamente rappresentando da solo — la folla anonima che creò Pasquino — nel tredicesimo anniversario della morte — le vecchie e nuove generazioni romane — 29 giugno 1949».

In qualche cinematografo di Roma è stata programmata per soli due giorni un’antologia di vecchi film interpretati da Petrolini: o, per meglio dire, di sue interpretazioni teatrali filmate piuttosto pedissequamente negli ultimi anni della sua vita. Il pubblico dev'essere stato assai scarso se cosi poco è durata la programmazione. I trafiletti di cronaca sono apparsi ancora più miseri e insulsi del solito. Così, nonostante il documento cinematografico. si spegne definitivamente la memoria di un grande interprete del suo tempo e tramonta con lui l’ultima eco di quel tempo.

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Quando Petrolini appare alla ribalta, sia pure soltanto impresso nello schermo, lo spettatore non sa più cosa significhino i suoi ammiccamenti. Prova un senso di freddo, di imbarazzo: può esserci anche un segreto, nell’espressivo, amaro atteggiarsi di quei lineamenti. Ma istintivamente lo spettatore di oggi lo sfugge. Il passato non fa che opprimere. L’attore è così ridotto al silenzio per sempre: proprio perchè con lui questo passato dà un senso di colpa, e lascia libero il rimorso. Chi è senza colpa per quello che è successo allora e da allora in poi. scagli la prima pietra: «tutti sono colpevoli di tutto» (Dostoievskij). L'attore incarna inconsciamente le reazioni estreme dell’epoca . con ferocia e con accanita precisione. Ha in sè ogni virtù dello spettacolo. Il resto è soltanto un mezzo. L’attore è l’uomo all’apice della sua tensione.

1949 07 15 Il Dramma Ettore Petrolini f2L'ultima maschera. Prima di morire disse: «me l'immagino come sarà».

Eppure, noi abbiamo molti debiti di gratitudine verso Petrolini. Non parliamo soltanto della gioia che può aver dato, dei salutare senso del ridicolo di cui ci ha forniti quando già credevamo di essere tenuti a prendere sul serio il mondo nel quale si era gettati a vivere. Ma soprattutto di averci fatto dubitare una volta per sempre che il castello di carte della nostra civiltà fosse veramente sacro, e j valori codificati dalla morale e dalla cultura, nei quali fingevamo di credere, davvero intangibili. Un attore di varietà, canzonettista e macchiettista, aveva rovesciato la scatola, e scoperto il vuoto.

Petrolini si è valso soprattutto della parodia: attraverso il suo «tipo» ha assunto diverse fisionomie — Mustafà, Fortunello, Gastone, Nerone, Sganarello — con le quali individuare i motivi principali degli anni che passavano — motivi interni, apparentemente sommessi, eppure determinanti — e scoprirne la flcelle. Oggi è nello choc, nel trauma sofferto in quegli anni, prima e dopo quella guerra mondiale, che va cercata la ragione del nostro smarrimento, dei complessi che ci opprimono e ci mutilano.

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Petrolini ha dato un aspetto ormai classico e definitivo alle espressioni del varietà: con lui raggiungono una forma compiuta (e in Francia con Yvette Guilbert). Appunto il gioco della loro ironia, ora si rivolge anche a loro stesse, e tutto si morde la coda, continuando a girare indefinitamente. Per il fatto stesso di riassumere soltanto nella sua figura e nel colore della sua voce, tutta la propria arte, senza chiedere altro ad altri, egli è l'interprete dell'attimo nell’attimo, allo stato puro, e perciò dopo l'attimo. inafferrabile.

Quanti ancora ricordano il suo falsetto appena toccato da una lontana emozione, l'assurdo equilibrio dei passi e delle posizioni, l'irrigidirsi amaro dei lineamenti? Non vi era in lui che il superamento di un grande, silenzioso dolore, attraverso la nascosta trappola di una battuta. Ognuno dei suoi spettatori l’ha percepito almeno una volta. E' molto facile che ora non lo ricordi più: eppure in quel momento gli sembrò di toccare il fondo di se stesso, e la testa era invasa dai sangue, come nel pescatore di coralli. Spesso rimangono incrostate all’animo facili canzoni, o motivi di ballabili a cui ci si vergognerebbe di dare un senso vero e proprio, inavvertitamente agiscono e ritornano nella subcoscienza come se in esse avesse parlato addirittura la vita. Si finge di non ascoltarle, si sorride di loro con superiorità.

Eppure proprio ad esse sono legati i veri misteri sentimentali del nostro animo. Petrolini collega i fili sparsi di queste emozioni provate senza poterle confessare. Le fa risorgere lasciando poi soffocare da un amabile cinismo le piene del cuore. Perché non potevamo non essere come i suoi personaggi. Gastone, nelle sue aspirazioni, è come i suoi spettatori: per quanto si cerchi di dar loro corpo, ognuno ha una sua mitomania, spinta fino al delitto, sia pure soltanto intenzionale e troppo meschino (Gastone difatti, nella commedia che Petrolini scrisse in omaggio alla figura da lui creata come numero di varietà, ruba una collana, e finisce in galera).

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Verrà giorno in cui si dovrà ammettere come abbia più contato per i nostri stati d’animo lo spettacolo di cabaret, di tabarin, di music-hall, che non l’opera o il teatro drammatico : anzi che solo nel primo abbiamo avuto il coraggio di essere sinceri con noi stessi. Nello spettacolo d'opera o drammatico, ci siamo invece ammantati e rivestiti di un costume che ci è esterno, ma nel quale abbiamo l'ipocrita bisogno di vederci raffigurati.

Per quanto abbia sempre aspirato ad esserlo, Petrolini, anche quando voleva accostarsi a Molière, non fu mai un attore nell'accezione normale del termine, ma in quello più nascosto e più vero, più legato alle reazioni naturali degli istinti nel nostro spirito : un fatto della coscienza.

Nell'epoca che fu sua, e che è direttamente generatrice della nostra, si apriva un largo mercato di illusioni e di leggende. Venne contrassegnata da un rincorrersi di danze, e su queste danze sembrava prendere ritmo il tempo: tango ed exitation, one-step e shimmy, boston e charleston. Giungono il jazz e gli spirituals da New-Orleans. Dopo la carneficina nelle trincee si hanno rivoluzioni. sommosse, colpi di stato, colpi di mano. Nel giro di pochi anni, sembrava di aver percorso un infinito e chiuso circolo di sentimenti.

Le strofette di Petrolini, nel falso ruolo di dicitore o di macchiettista, gettavano su tutto, con il loro sarcasmo, un'ombra di malinconia : «frou-frou del tabarin - rinneghi la virtù...» che finiva col porre in una lunga prostrazione, legata soltanto all’amore per i propri vizi. Petrolini segna il crollare delle illusioni, lo sfatarsi delle leggende: nel suo accento è personificata la sconfitta morale della sua generazione, colpevole di aver troppo facilmente creduto e di avere altrettanto facilmente abbandonato la sua causa. Questo ripiegamento si prolunga ancora: nè ad esso corrisponde una nuova certezza, che si sia decisi a non abbandonare mai.

Gastone non sa bene perchè vive, e tanto meno come vivere. Si pone davanti a sé un modello, l'eroe del tempo: abito da sera, guanti banchi di cui uno «penzolone», eleganza e raffinato cinismo — naturalmente una raffinatezza che si contenta di poco — idolo delle donne, giocatore, fatalità. E' facile ridere di Petrolini-Gastone: eppure cosa si può sostituire a questo profumo dozzinale, leggermente nauseante, eppure ancora gradevole?

Il resto è stato demolito: Nerone è io stato, Mustafà il commercio. Fortunello la penosa rispettabilità della morale, e via via. una dietro l'altra le strofette «Petrolini è quella cosa che...», dove ogni cosa viene definita e sferzata.

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Se si ritorna con la memoria a quei tempi e a Petrolini che dalia ribalta li apostrofa facendo restare sbigottiti gli spettatori che si vedono costretti a un dialogo pubblico, ci sembra che il suo umorismo abbia fatto, con mille scintillanti improvvisazioni sulla base dei tono abilmente adottato, da tornasole rivelatore. Ha chiarito e messo in luce, con il filtro troppo amabile del suo sorriso e l'aggrottarsi di ogni curva del volto, il perchè della nostra vita perduta, perduta come la falena della canzone, avvelenata e rosa dall’edera sentimentale di un'altra melodia, succhiata dalla «Vipera»... mitica della Fougez: vorremmo poter consumare l'esistenza sapendone davvero il fine, e perciò dandole un comportamento. una ragione d'essere e di svolgersi, una sostanza etica. Se no, il povero Gastone avrebbe tutto il diritto di continuare nelle sue dissipazioni reali e fantasiose, nel voluttuoso sentimentalismo dello scettico blu.

C’è solo un sentimento che consola la nostra esistenza, la carezza e le dà un tenero ed ampio sfondo di serenità: ed è la memoria.

La memoria avvolge ogni immagine e nel suo lento svanire la circonfonde di luce. Per quanto ci rattrista il senso della vanità, nel ricordo cl si stende in una affettuosa nostalgia, ad essa si legano quei pochi oggetti di Petrolini. così densi di ore, e in cui viene raccolto il suo già lontano destino: un frak, i guanti bianchi di Gastone, manifesti multicolori, maschere, un piccolo teatro per marionette, oggetti da museo ormai, cimeli raccolti come dopo una vittoria. Sono stati esposti per qualche settimana a lato di un teatro, in un ambito universitario: ed attorno vi ha fatto sub.to ressa l'orgia della commemorazione, in stile René Clair. Dove trovare più l'eco delle sue canzonette, il piglio delle sue aggressioni fredduristiche, la sua grassa e scoppiettante mimica? Musei, discorsi, esposizioni portano a passeggio una vuota imitatone, un cavo fantoccio.

Quello che amiamo, muore, forse consunto dal nostro sentimento: quello che sentiamo nostro pienamente, si dilegua. Il più disperato sarcasmo di Petrolini era rivolto ai languore che diceva: «ma l'amor mio non muore».

Vito Pandolfi, «Il Dramma», 15 luglio 1949 - Fotografie Gastone Bosio, Roma


Il Dramma

Vito Pandolfi, «Il Dramma», 15 luglio 1949 - Fotografie Gastone Bosio, Roma