Cent'anni dalla nascita di Eduardo Scarpetta
Il primo ottobre, a Napoli, per iniziativa del quotidiano «Il Giornale», è stato celebrato il centenario della nascita di Eduardo Scarpetta, con una rappresentazione di Miseria e nobiltà che tra le moltissime commedie scritte dal famoso attore, è quella che storicamente inquadra un periodo particolarmente fecondo di idee del teatro napoletano. La celebrazione ha assunto, teatralmente, l‘ impegno di un fatto nazionale per la partecipazione di Eduardo De Filippo allo spettacolo, come attore e come regista. Era la prima volta che Eduardo interpretava la celebre «maschera» di Felice Sosciammocca.
E' bastato che «Il Giornale», nel centenario della nascita di Eduardo Scarpetta, si rendesse promotore di una solenne celebrazione di lui, con lo scoprimento di una lapide (la cui iscrizione è stata dettata da Ernesto Grassi) ed una rappresentazione di Miseria e nobiltà, perchè da ospiti parte affluissero i consensi calorosissimi. Gli attori hanno dato l'esempio e, primo di tutti Eduardo De Filippo che, con una nobile lettera, inviata a Carlo Zaghi, direttore de «Il Giornale», si è offerto di interpretare il ruolo famoso di Felice Sciosciammocca in Miseria e nobiltà, e di curare la regia dello spettacolo. Nel giorno stesso in cui sono stati messi in vendita i biglietti per questa rappresentazione il botteghino ha dovuto registrare il «tutto esaurito». E la sera in cui essa ha avuto luogo la sala era gremita come non si era mai visto in questo dopoguerra.
Tutto questo ha dimostrato che Eduardo Scarpetta è riuscito finora a vincere il tempo. Sono trascorsi ventitré anni dalla mattina di dicembre in cui un carro monumentale, seguito da una folla immensa, lo accompagnò all’estrema dimora, ed il ricordo di lui è più vivo che mai. E’ il ricordo di un uomo che aveva donato per cinquant'anni agli spettatori ore di letizia indimenticabile, che aveva la commedia nel sangue e, dopo averla fissata sulla carta, la riplasmava sulla scena per un prodigioso istinto di attore del quale era creativo ogni gesto, ogni espressione del volto e persino il silenzio, riuscendo egli talvolta a suscitare il riso, a comunicare con il suo pubblico, ancora prima di avere aperto bocca.
Chi ebbe la ventura di vederlo recitare, sia pure una volta sola, non ha potuto dimenticarlo ed inoltre ha sentito di tanto in tanto il bisogno di ricordarlo ai giovani. Anche per questo Eduardo Scarpetta è ancora oggi a Napoli personaggio attuale. Si ricordano le sue battute, si ricordano le sue polemiche, si ricordano i casi divertenti o patetici della sua vita. In certo senso egli è entrato un po’ nella leggenda di Napoli. Credo che in ogni casa di questa città, negli anni trascorsi dalla data della sua morte, qualcuno abbia commemorato almeno una volta senza saperlo Eduardo Scarpetta. E così, circa tre decenni non hanno scalfito la immensa popolarità di cui egli godette. E questo è prodigio grande ed è una grande vittoria per il Teatro.
Come è noto, egli fu non soltanto attore inimitabile ed autore acclamato, ma anche un innovatore fortunato. Durò trent'anni la polemica tra Eduardo Scarpetta e quegli scrittori i quali sostenevano che il di lui teatro non avesse il diritto di essere considerato napoletano, perchè composto di opere che erano soltanto la traduzione in dialetto di modelli francesi. Oggi tutto questo è lontano. E, qualsiasi giudizio si voglia dare del teatro di Scarpetta, non si può disconoscere all’intera sua personalità di attore-autore il merito di aver rinnovata una tradizione gloriosa che, partendo dalla farsa cavaiola, aveva accentrato il meglio di sé sulla scena del «San Carlino». Pulcinella sopravviveva ormai stancamente a se stesso, anche se sorretto dall’arte grandissima di Antonio Petito; si era fatto sempre più lontano dalla realtà e dalla sensibilità di una Napoli nella quale la borghesia era divenuta una classe determinante. Ed accanto alla maschera declinante, Edoardo Scarpetta fece sorgere il suo Felice Sosciammocca, dotato di irresistibile comicità ed interprete e simbolo di quei mutamenti sociali che a Napoli si andavano verificando.
Nel fare questo Eduardo Scarpetta non voltò le spalle alla tradizione popolare nella quale la sua arte affondava le radici, non spezzò i legami che lo univano ai comici del «San Carlino», come i grandi attori goldoniani non avevano spezzato i legami che avevano con la Commedia dell'Arte.
I suoi contemporanei scrissero che in lui non si poteva disgiungere l’attore dall’autore. E fu questo un modo di troncare la polemica sul teatro dialettale in quanto arte; polemica che, insieme al processo intentatogli da D’Annunzio per la parodia innocente Il figlio di Jorio, diede le maggiori amarezze ad Eduardo Scarpetta. Avevano partecipato a questa polemica Di Giacomo, Verdinois, Petriccione, Bovio, Saverio Procida e tanti altri, tutti schierati contro il creatore di Felice Sosciammocca. Croce non vi aveva partecipato, ma aveva scritto a Scarpetta: «Credo di aver detto altre volte che io reputo vane le dispute sul cosiddetto teatro dialettale d’arte. Per me non esistono "teatri", ma solo individui dotati di genialità artistica e questi, secondo i loro temperamenti, faranno arte comica o arte tragica, faranno ridere o faranno piangere. Gli altri, quelli non dotati da natura, faranno ridere o piangere su se stessi. Quando gli artisti veri spariscono decade il loro "teatro"». Queste parole, solo qualche anno fa, furono ritenute profetiche da Maria Scarpetta che, oltre ad essere autrice di talento ed acuta intenditrice di teatro, conosceva Eduardo Scarpetta, commediografo e uomo, assai meglio di ogni altro, per essere sua figlia.
«Dopo la morte di Scarpetta — scrive Maria Scarpetta in Felice Sosciammocca mio padre — il suo "teatro" cominciò a decadere ed a morire, se pure mio fratello Vincenzo si sforzasse di continuare e serbare fedelmente, come un soldato che sa di andare al sacrificio, una tradizione destinata a dissolversi.
«Ma dal solco profondo tracciato dal linguaggio dello scomparso sono germogliati quei frutti prepotenti di genialità che sono i De Filippo. Eduardo, raccogliendo da Scarpetta come legittima eredità la fiaccola di Petito, ha dato fuoco ad un nuovo potente rogo, proprio in tempo perchè la fiammella definitiva non si spegnesse. E poiché il teatro napoletano, con la sua tecnica, la sua poesia ed il suo linguaggio, è quasi tutto generosamente disseminato in ogni parte del mondo teatrale, questo rogo assicura al Teatro, per almeno altri cento anni, il calore e la luce».
Sono parole assai belle e piene di verità, ma oggi abbiamo dovuto constatare che, per il gusto di un pubblico popolare, non è ancora decaduta anche quella parte del repertorio di Scarpetta che non è di invenzione originale, come dimostra il successo delle recite scarpettiane dirette da Vittorio Viviani, che quest’anno dai primi di settembre, per più di un mese, hanno fatto gremire ogni sera il vasto teatro all’aperto sorto per Piedigrotta nella Villa Comunale di Napoli. E, a chi usi un metro criticamente valido, questa Miseria e nobiltà che Eduardo De Filippo ha messo mirabilmente in scena per la rappresentazione commemorativa, non può non apparire una "rande commedia. Ferdinando Martini scrisse che il primo atto di essa avrebbe potuto firmarlo Molière. Oggi, a più di sessant'anni dalla nascita di Miseria e nobiltà, tale affermazione può non apparire esagerata. Ed inoltre gli altri due atti del lavoro sono sorretti da una fantasia comica che non conosce stanchezza, condotti con un magistrale senso del teatro. E l’intera commedia, agli occhi di sensibili spettatori di oggi, acquista particolare significato per quel tema ricorrente della fame dei suoi personaggi che è come il lievito amaro della umanità dei tre atti e della loro travolgente comicità.
Il lavoro porta la data di nascita del 1887. Eduardo De Filippo ha voluto ambientarlo nell’epoca attuale per dimostrarne meglio la validità umana, artistica e scenica. L’ardito esperimento ha dato risultati felicissimi. Miseria e nobiltà, snellita in qualche sua scena un po’ ridondante, liberata di qualche battuta soverchiamente insistita, è apparsa opera prodigiosamente viva nella verità dei suoi personaggi e nella sua teatralità. La regìa di De Filippo è risultata ispirata, fedele, e creativa nei punti in cui il testo si limita a dare dei suggerimenti alla fantasia. Al principio del secondo atto quando Eduardo si è presentato al pubblico come «Principe di Casador», è stato applaudito prima che aprisse bocca. Il «montgomery» di pelo di cammello che indossava, il basco che s’era adattato sul capo, ed i baffoni che gli spiovevano ai due lati della bocca, facevano di lui la caricatura addirittura sarcastica di uno spiantato blasonato dei nostri giorni. E non si poteva guardarlo senza ridere.
Eduardo De Filippo è entrato, in questa occasione, per la prima volta nel famoso personaggio di Felice Sosciammocca. Fu ripetutamente scritto che tale personaggio era morto con Scarpetta. Questa rappresentazione ci ha dimostrato invece che è finita con l’attore la sua interpretazione di quel personaggio, ma non il personaggio stesso, ancora vivo e vitale. Sosciammocca può rinascere come ogni grande personaggio, purché un vero attore gli presti la sua arte. Eduardo De Filippo, nel sostenere il ruolo del protagonista di Miseria e nobiltà, ha offerto certamente una delle prove più degne di ricordo della sua carriera di interprete illustre. Recitando con una sobrietà, una incisività, una intensità esemplari, egli ha ottenuto effetti di una comicità irresistibile ed ha sottolineato come meglio non si poteva la umanità del personaggio scarpettiano. Al suo fianco Titina De Filippo è stata nella parte di «Concetta» quella grandissima attrice che è, magistralmente animando e definendo il ruolo affidatole dal fratello; Enzo Turco ha caratterizzato la figura di «Pasquale» assai bene e la Palumbo ha fatto un po’ numero a sé, prestando al tempestoso personaggio di «Luisella» il suo magnifico temperamento, con uno slancio ed una schiettezza che l’hanno fatto applaudire a scena aperta. Anche gli altri, dal Girard al Pennetti, dal Veglia a Jole Fierro, dal Siletti al piccolo Stefano Brandi, sono apparsi in stato di grazia sulla scena. Eredi, chi più e chi meno, di una grande tradizione, si trovavano a loro agio, recitando Scarpetta, come chi dopo un lungo distacco ritorni ad una realtà familiare ed amata. Il pubblico imponente che ha assistito alla indimenticabile rappresentazione ha applaudito con entusiasmo alla fine di ogni atto e, più volte, a scena aperta. In prima fila tra gli spettatori che battevano le mani con maggior calore era Valentine Tessier, l’interprete francese di Filume* na Marturano. Il notevolissimo ricavato dello spettacolo, al quale Remigio Paone ha voluto aggiungere con generoso slancio centomila lire, è stato devoluto interamente da «Il Giornale» a beneficio degli attori poveri. Davvero Eduardo Scarpetta non poteva avere più degna commemorazione.
■ Ernesto Grassi, critico drammatico e commediografo, condirettore del giornale «Roma» di Napoli, ha dettato le parole che sono state incise sulla lapide collocata sulla facciata dello stabile in via Vittoria Colonna 4, dove Eduardo Scarpetta visse e morì. L’epigrafe è questa: «Qui Eduardo Scarpetta — rinnovatore del teatro napolitano — attor comico eccelso — ispirato dal mimo antico — si appartò innanzi tempo — irridendo al trionfo — sola compagna d’arte — la gloria. — Nel centenario della nascita 1855-1953. Ad iniziativa del quotidiano "Il Giornale"».
■ Eduardo De Filippo, acclamato e festeggiato con tutti i suoi compagni, alla fine dello spettacolo, vista l’insistenza del pubblico nel chiamarlo alla ribalta, ha detto con commozione ed estrema semplicità, queste parole: «Noi tutti: attori, critici, letterati e pubblico, abbiamo commemorato Eduardo Scarpetta, rara e complessa figura del mondo teatrale, che ancora si staglia nitida ed incisa sull'eterno schermo dell'arte nostra. Essa, cent’anni fa, per il potere assoluto di madre natura, fu proiettata miracolosamente sulla terra napoletana. Miracoloso davvero era il suo apparire in palcoscenico. Miracolosa davvero fu In sua forza intellettiva, con cui riuscì a trasformare il pensiero altrui. L’ineguagliabile senso umano del suo essere, il suo tormento interno, riempirono di amarezza e di cuore i testi più freddi, più superficiali, più inconsistenti. Questa forza divenne umorismo, umana commedia, tragica farsa. La vitalità del testo di Miseria e nobiltà (suo componimento originale) ci dice nettamente che noi stasera ci siamo stretti intorno ad un Maestro sia della mimica scenica che della penna. E’ toccato a me parlarvi di Lui. Ne sento onore».
Federico Frascani, «Il Dramma», 15 novembre 1953
Federico Frascani, «Il Dramma», 15 novembre 1953 |