Anna Fougez si gode il sole
La celebre "diva" del nostro Varietà, che dal 1915 al 1940 fece fremere le platee con le sue canzoni appassionate, straccia oggi ogni proposta di tornare al teatro e passa ore ed ore nel giardino della sua villetta a ricordare i passati trionfi.
Santa Marinella, novembre
Succede ancora, a volte, che la voce di Anna ritorni. Specie se è notte, cade tra i lampioni della via dal balcone di un palazzo antico si fa strada, profonda, tra i fìtti cespugli di un giardino. È allora che qualche uomo dalle tempie brizzolate che si trovi a passare, colonnello a riposo o vecchio viveur del tempo tra Fiume e la Marcia su Roma, crede di sognare. «Addio mia bella signora...»: quel canto risveglia in lui un sentimento assopito da molti anni e. tra le ciglia improvvisamente inumidite, riporta uno scintillio di lustrini. Anna Fougez. possibile? Eppure non c'è dubbio: le sue canzoni, il suo timbro un po’ roco e ancora sensuale. Non sembra di vederla agitare i braccialetti, nascondere dietro il ventaglio di piume, lo sguardo degli occhi bistrati, o aderire a una colonna di falso travertino con un movimento quasi felino, avvolgente, del corpo velato di seta nera? Pur di seguire quella voce vien voglia di scalare il muro, a quel signore che forse, come tanti altri, al tempo in cui Anna furoreggiava al Trianon o alla Sala Umberto le aveva scritto: Se non mi amerai, sento che mi ucciderò».
Ma no, signor colonnello, sarebbe proprio inutile. A parte il fatto che Anna resterebbe un po’ piccata nel ritrovare viva una persona che aveva annunciato così decisamente di volersi uccidere per lei, essa non si farebbe trovare. È solo nel corso di qualche serata intima con il suo fedele Thano o in casa di persone che le sono devote e attraggono la sua confidenza come il principe Roland Brancaccio, che ella si decide a farsi accompagnare da un pianoforte o da una chitarra. Allora il suo volto si rianima, lo sguardo le ritorna denso e appassionato, la voce, come d’incanto, ripercorre i toni che fecero delirare.
Ma per tutte le persone che non facciano parte di un ristretto cerchio di amici, Anna Fougez, oggi, è irreperibile. Ottenere un appuntamento da lei è quasi più lungo e laborioso che essere ammessi all’udienza privata di un ministro. Perché? Al pubblico Anna Fougez ha lasciato quell’immagine di grande stella del varietà, su cui calò il sipario del teatro Politeama di Napoli nel giugno 1940, pochi giorni prima che la guerra scoppiasse. Il resto, quello che è seguito ai quattro anni paralizzanti del conflitto. essa ha voluto e vuole tenerlo per sé. «Ha saputo sparire in bellezza», dicono gli intenditori. La diva è cosciente di questa verità. Quando, così raramente, si decide a ricevere qualcuno, si prende sempre ventiquatt’ore di tempo. Non sappiamo se, come Norma Desmond nel film di Billy Wilder Anna Fougez ricorra alle creme e ai massaggi. Ma certo è che, prima di andare incontro ai visitatori, nella sua camera dalle tende abbassate, essa cerca a lungo, davanti allo specchio, di ricomporre sui propri tratti l’impronta della bellezza.
Il «viale del tramonto» di Anna Fougez è una piccola strada alberata, non lontana dalla stazione di Santa Marinella. Chiedete al barista. sull'angolo; ne approfitterà per raccontarvi che la signora Fougez viene spesso a prendere il caffè da lui e poi vi indicherà il cancello. Un cancello privo di targa, che si apre con una semplice spinta della mano. Un cane minuscolo, dopo aver abbaiato ferocemente, scapperà impaurito non appena entrerete. Più che un giardino, è una foresta vergine: platani e fichi d’india, tra i quali sono immersi, letteralmente, due edifici. Anna e René Thano abitavano fino a un anno fa quello più grande, «la Villa»; ma ora hanno preferito rifugiarsi nell’altro. Da un garage e da un piccolo magazzino hanno saputo ricavare un graziosissimo chalet.
Prima che la signora Fougez si presenti, è René Thano che ci riceve, davanti al grande caminetto. Questo parigino, che ha sangue spagnolo e greco nelle vene, e fu dal 1929 il fedelissimo partner di Anna, parla benissimo l'italiano, ma con un accento curioso molle, un po’ genovese, con quello che il doppiaggio italiano mette in bocca a Fernandel. Il nome di «lei», lo pronuncia in modo ancor più lieve, rapido, come se avessero paura di sciuparlo. Ci racconta di quando conobbe Anna, di quando cominciò a lavorare con lei. Tra le braccia del giovane ed elegante ballerino francese, la bellezza di Anna risaltava maggiormente. Sulle palpebre di lei il fascino del bistro aveva raggiunto ia sua apoteosi. Le vipere, i pugnali, i profumi e i sospiri delle sue canzoni facevano fremere nella platea.
Mentre René parla, ci pare che le fotografie di Anna, tutt’intomo alla piccola hall, prendano vita. Ci avviciniamo per guardarle, una per una: sempre quelle sopracciglia troppo sottili, quei costumi ora raggianti di aigrettes, ora cupi, quei tratti impressi come su un velluto, quella bocca infine, così poco accentuata, che da un sorriso stanco e languente lascia appena intravedere i denti bianchissimi.
I capelli di Anna erano neri. Adesso sono rossi. È entrata in silenzio, con un passo cosi morbido da far pensare che il suo piede sia ancora abituato ai tacchi altissimi La sua stretta di mano è calorosa; come lo sguardo e il sorriso. La chanteuse fatale, enigmatica, crudele con gli ammiratori, ha lasciato il posto a una donna senza rimpianti, che dalla celebrità di ieri attinge ogni giorno una felicità senza scosse. Il tempo, che è passato sul suo volto, scavandolo come l'acqua di un torrente scava la pietra, ha arricchito di umanità la sua espressione. Certo, ad Anna piace guardare le sue vecchie fotografie, ricordare le frasi dei suoi molti spasimanti, rileggere le loro lettere, infine, parlare di sé. A otto anni fuggì di casa (Anna e tarantina, ma viveva a Napoli) per unirsi a una compagnia di guitti. A tredici già guadagnava venti lire al giorno come «divetta eccentrica, canto e danze a trasformazione». Quando ne ebbe 15, Petrolini si accorse di lei, la volle al suo fianco in un duetto e poi commentò la sua arte e la sua bellezza con queste parole: «L’oro è sempre oro». Già due anni dopo, Anna era l’acclamatissima «sciantosa» del teatro Trianon in via Frattina. La guerra era scoppiata da poco: Anna scendeva tra le poltrone della platea, sfiorava con le sue celebri piume le piume dei bersaglieri, strappava sospiri, lacrime, promesse di eterno amore. Era la donna che i soldati, tornati al fronte, sognavano nelle trincee fangose; per lei l'aristocrazia si azzimava, si profumava, spendeva capitali; ogni sera il suo camerino era pieno di fiori. Mentre racconta, le sue narici fremono leggermente, come se ancora ne aspirassero l’odore. Vipera... chi non cantava Vipera? Perfino i fascisti, quando fu la loro volta di occupare i palchi e le poltrone di centro, sapevano le parole di Vipera meglio di quelle di Giovinezza. Era ormai la bellezza del secolo, scrivevano i giornali: L’artista profondamente nostra, che discopre la sua sensibilità nell’atteggiamento improvviso, nel sorriso bianchissimo, nel portamento, nella delicatezza di una piuma, nella morbidezza di una stoffa gettata sul corpo efebico». Quando René Thano arrivò da Parigi, col suo aiuto Anna lanciò sui palcoscenici quelle che furono le prime grandi riviste italiane. Donne ventagli e fiori, Tempo Italico e Si vede tutto. Per realizzarle, non esitò a impegnare di tasca sua un milione e mezzo idi quel tempo); fontane luminose da cui sprizzava acqua vera, cieli di velluto brulicanti di stelle, e Anna che, con un diadema di centoventi aigrettes azzurre sul capo, veniva giù da una scalea di quarantotto gradini. Lei stessa disegnò i costumi: vesti fatte di violette, di spuma di trine o di cieli stellati.
Anche quando gli anni cominciarono a portare profonde trasformazioni nei gusti, bastava il nome di Anna Fougez per fare il «tutto esaurito» in qualsiasi teatro. Anna potè ancora per molto tempo bistrarsi gli occhi quando nessuna donna lo faceva più, portare velette fuori moda e grandi cappelli piumati. Ma non sarà certo lei a commentare con disprezzo i mutamenti portati dal tempo alla moda e agli spettacoli. Specie al cinema si diverte come una bambina: ride, dà col gomito piccoli colpi d’intesa nel fianco di René. Quando può, va a vedere anche due spettacoli in una sola serata. Del resto, come passare il tempo a Santa Marinella? Cinema, appunto e carte. Adesso c’è la canasta; durante la guerra erano il poker ed il ramino. Dal 1940 al 1944, Anna e René vissero chiusi nella loro villetta in compagnia di una cameriera e di sette cani. Avevano portato nella casa tutti i loro averi: i mobili delle abitazioni di Roma e di Napoli, i costumi, i paraventi, le parrucche. Ogni giorno gli aeroplani, i mitragliamenti, le bombe, il rifugio. Anna si era fatta pallida; al posto dei fiori, nel giardino, spuntavano i cavoli e l’insalata. Quando tutto fu finito, corse fino al mare a respirare l’azzurro, il gusto acre e puro della salsedine. L’aria era piena di canti. Anna si appoggiò al braccio di Thano e, d’improvviso, mentre la schiuma le schizzava sul volto, cominciò a cantare anche lei : «Anna Fougez, signor io vi presento qua...». Tornò a casa a precipizio. Aprì gli immensi armadi costruiti apposta perché i costumi vi stessero senza pericolo di sciuparsi; sfilò dalle stampelle i vestiti di lamé d’oro, tirò fuori i cappelli con l'asprì, scosse la naftalina dalle piume grezze. Portò tutto davanti allo specchio. In quel momento il campanello suonò. Era un telegramma : Remigio Paone la invitava a tornare sulle scene. Anna sorrise. Prima di riporle, accarezzò a lungo le piume. Poi richiuse gli armadi e prese un foglio di carta per rispondere a Paone che era tanto commossa, ma che non poteva accettare.
Ora la Fougez ha ripreso a venire in città. Dapporto. Sordi, Taranto, Rascel, Billi e Riva, Wanda Osiris, vecchi e nuovi amici la accolgono con affetto; il principe Roland Brancaccio le apre le porte del suo palazzo e l'accompagna al piano. Ma le proposte di scrittura che le arrivano ancora oggi. Anna le straccia metodicamente. Nelle quiete mattine della buona stagione siede sotto un albero, fuori dello chalet, a leggere o a fare un solitario. Il rumore del mare le giunge appena, mischiato, tra le fronde, a quello del vento. Di tanto in tanto chiude gli occhi e sorride. È contenta così: il sole, il suo giardino, il pechinese che le gioca ai piedi. Sul palcoscenico non avrebbe avuto tempo per tutto questo; sul palcoscenico Anna Fougez è rimasta finché ha sentito di incarnare, con la sua figura flessuosa e cupa sotto il grande cappello, il sogno di tutta una generazione.
Barbara Candi, «Epoca», anno V, n.24, 1 novembre 1954
Barbara Candi, «Epoca», anno V, n.24, 1 novembre 1954 |