Petrolini e Totò filosofi
Diceva Gustavo Flaubert che «l'imbecillità è una fortezza inespugnabile: qualunque cosa v'urti contro invariabilmente si spezza». Imbecilli si nasce imbecilli ai cresce; imbecilli si va all’altro mondo. E tuttavia la vita vi dimostra che no gli imbecilli, molte volte troppe volte, ad aver ragione. I meno dotati sono coloro i quali navigano col vento in poppa. Gli intelligentissimi, novanta volte su cento, sono soltanto dei poveri naufraghi.
Una spiegazione? Difficile darla. Forse la provvidenzialltà di Madre Natura, la quale conferisce il bernoccolo della «praticità» a coloro che non dotò il cervello sopraffino.
«Caporalismo», come sinonimo accettato di ottusaggine, di grossolanità, di zoticume, di balordaggine spinta al parossismo l’ha centrato un comico illustre, che ha fatto sganasciar dalle rìsa tutto il mondo. L'ha centrato in pieno Totò. Totò filosofo dice : «Siamo uomini o caporali!».
Petrolini alla sommità del suo «imbeclllismo», supremamente geniale e lapidatore, aveva issato il «perchè si» di Fortunello, che rispondeva a tutti i «perchè» di questo mondo Petrolini sapeva essere sulla scena supremamente imbecille quando la macchietta, quando il personaggio lo esigevano. Perchè, per saper essere imbecilli a comando, bisogna essere superlativamente intelligenti. Non c’è imbecille autentico che sappia far l'intelligente, mentre è vero il contrario.
Dunque: uomini o caporali, tout court. Ripensiamo ai casi nostri. Avevamo sedici anni, eravamo all'ultimo anno della «grande» guerra e voi, che vete fatto l'imbroglietto alle verità anagrafiche, siete riusciti ad arruolarvi volontario. Il dragoncello, il soldatino semplice lo avete fatto, in guarnigione, pochi giorni. Quant'è bastato perchè un caporale classico, ignorante come una cocuzza, un bel giorno, vedendovi «fuori ordinanza», sapendovi un «fringuellino» studente di liceo, il quale di sua propria volontà era venuto alle armi e aveva chiesto di partir per il fronte con «un altro» squadrone in partenza, vi «schiaffa» in iscuderia. E voi doveste obbedire perchè il caporale era «un vostro superiore e basta!» Al fronte, il capitano comandante lo squadrone (che non aveva cervello) raccoglie gli «studentini» volontari e dice loro: « Non avete mani per fare un buon servizio dì uomini di truppa. Avete il titolo di studio il vostro posto è al Corso Allievi Ufficiali. Sarete ufficiali eccellenti: sareste pessimi dragoni di truppa». Un tenente colonnello contabile vi incontra poi un giorno (mentre eravate a Roma in attesa di nomina a sottotenente), in attillata divisa di allievo e con la «cravache» in mano. Vi chiama vi «cicchetta» in pubblico per la «cravache».
Era, benché, tenente colonnello, un eterno caporale, che perfino non capiva come in Cavalleria si potesse andare... anche a cavallo. E questo, proprio questo vuol dimostrare Totò col suo soggetto che — mi dicono — vi farà conoscere un Totò attore quale mai lo avete veduto, inteso, supposto. Siamo uomini o caporali? E’ vero: a un certo momento tutti vi sarete trovati di fronte a un cervello grosso di caporale, anche fuor delle armi. Il vostro «principale» in ufficio, una testa dura come un macigno, il quale v'ha obbligati a fare cose supremamente imbecilli e dannose addirittura per l'ufficio. E, se voi gli avete detto «Badi, Cavaliere, io credo che,..», quello vi avrà fatti licenziare in quattro e quattr’otto. Un Totò che cerca lavoro perchè la fame lo assilla: e, quando lo trova, un «caporale»' (tutti i suoi antagonisti caporali avran la perspicacia, di un Paolo Stoppa) gli attraversa la strada. E' un timido e disgraziato, questo protagonista «uomo»: è innamorato alla follia di una bella figliola, a cui dà vita Fiorella Mari. e mai saprà dirle che l’ama. S’adatta a far la comparsa e un «caporale» lo perseguita; perfino, per opera di un «caporale», sarà condannato dai tedeschi (un inciso dell’ultima guerra) alla fucilazione. E un Santo lo salva. Tutt'una vita «attraversata » dall'imbecillità prepotente dei caporali e, quando finalmente crede di aver migliorato un po’ il suo destinaccio, trova la forza per decidersi a dichiarare il suo amore alla bella figliola, ecco che che lo ultimo «caporale», un giovanattone di più o meno belle speranze, gliela porta via.
Ho evocato Petrolini : «Peppe er Pollo» o « Chicchignola»? Certo è che una fotografia di Totò, il quale suona la chitarra accanto a colei che ama in «Uomini e caporali», vi dà una maschera di Totò così umana, cosi sofferta e, nel tempo stesso dissimulante per necessità di «pathos» da richiamarvi la maschera del grande Ettore quando, cieco, nel «Cortile» di Fausto Maria Martini, contava una dolorosa serenata alla sua bella : «Ohi Marì, ohi Marì, quanto suonne aggio perso pe’ te !... »
Leone Latino, «La Nuova Gazzetta di Reggio», 28 agosto 1955
Leone Latino, «La Nuova Gazzetta di Reggio», 28 agosto 1955 |