Lea Padovani sul tetto che scotta
E’ stata rappresentata per la prima volta in Italia, dalla Compagnia Cervi - Padovani - Ferzetti con la regia del francese Rouleau, la “tragedia moderna” di Tennessee Williams a cui gli americani, nel 1955, hanno attribuito il Premio Pulitzer
Tradotto alla lettera, il titolo americano dei tre atti di Tennessee Williams, che la Compagnia di Gino Cervi ha presentato in questi giorni al Teatro Manzoni di Milano, sarebbe stato La gatta sul tetto di lamiera arroventata. Un titolo così lungo e complesso che difficilmente una locandina lo avrebbe sopportato. E allora, nella versione italiana, lasciata nel sottinteso la lamiera e fidando sul bel effetto dell’a-litterazione, il titolo è stato semplificato in La gatta sul tetto che scotta.
Con questi suoi tre atti Tennessee Williams ha vinto nel 1955 in America il Premio Pulitzer. E già il lavoro è stato rappresentato con successo sulle scene inglesi e su quelle francesi. Per il pubblico italiano, che dell’autore americano ricorda soprattutto Zoo di vetro e Quel tram che si chiama desiderio, l’edizione scenica offerta dalla Compagnia di Cervi, che si è affidata per la regia a un francese, Raymond Rouleau, costituisce una assoluta primizia. E come tale è stata salutata e festeggiata.
Gli amorosi furori di una donna che il marito non cura, la vita niente affatto lieta di una famiglia, il cancro, l’aridità dei sensi che comprime o che maschera i sussulti del cuore, l’alcool come risorsa contro la solitudine e contro la disperazione, il sospetto di un amore che è, deviato per una strada sbagliata, la goffa ingordigia di una imminente eredità, sono gli ingredienti su cui è costruita questa tragedia ”dei tempi moderni”. Che si sviluppa, nella più aristotelica unità di tempo e di luogo, sullo sfondo di un compleanno festeggiato dalla torta e dalle candeline, ma devastato, oltre che dai motivi che abbiamo elencati, dai fuochi di artifizio e dal frastuono e dalle impertinenze di una tribù di bambini incredibilmente maleducati.
L'AMBIENTE in cui i tre atti si svolgono è sempre il medesimo: la camera da letto e da soggiorno di Brick e Margaret. E’ qui che Lea Padovani nella parte di Margaret grida al marito la sua disperazione (a sinistra), ed è qui che si ha la tremenda rivelazione (a destra) della malattia che condanna irreparabilmente "papà Pollitt”. Insieme alla Padovani sono Vittorina Benvenuti, al centro, nella parte della madre e Irene Aloisi nella parte di Mae la moglie del fratello di Brick.
L’azione è nella casa del signor Pollitt, in una piantagione di cotone sul delta del Mississippi di cui il signor Pollitt è il fondatore e il proprietario. E il compleanno che si festeggia è appunto il suo: il sessantacinquesimo. Il ricco, e apparentemente vigoroso, piantatore ha due figli: il maggiore, Cooper, che fa l’avvocato a Mentì ma che per il compleanno del padre è venuto alla piantagione con la moglie Mae e con i loro cinque indemoniati figli; e il minore Brick che assieme alla moglie Margaret vive nella casa del padre. Ed è attorno a Brick che la tragedia si addensa e per lui, per la sua sorte e per quella della sua compagna, che alla fine esplode, anche se il folgorato non sarà lui, ma il padre. Perchè tra Brick e la moglie le cose vanno nel più desolato dei modi. Non vi è più amore nel cuore del giovane e i suoi sensi sono spenti in un modo che pare irreparabile. Brick si trascina da un bicchiere all’altro e affoga nell’alcool una sua cupa disperazione, passa il giorno in attesa che il bere faccia il deserto nei suoi pensieri e dissolva i fantasmi che gli occupano l’animo, respingendo gelido, implacabile, la moglie che, notte e giorno, gli è attorno con le sue premure. Margaret infatti è innamorata di Brick: lo ama con tutto il trasporto di una moglie devota e con tutta la violenza dei suoi sensi compressi e mortificati. Lo circonda di tenerezze, ma lo perseguita anche con le furibonde esplosioni della sua passione delusa. E' lei ”la gatta sul tetto che scotta”: e come una gatta fa le fusa, ma miagola anche e soffia e si prevede che finirà per saltare in faccia a qualcuno. Si apprenderà dal tormentato dialogo tra i coniugi che Brick ha cominciato a bere e a trascurare la moglie il giorno che è morto Skipper, suo amico del cuore e suo inseparabile compagno di imprese sportive. Skipper e Brick si volevano così bene da addormentarsi con la mano nella mano, quando viaggiavano insieme per le loro gare. Ma il giorno che Margaret, trovatasi sola con l’amico del marito, di cui era legittimamente gelosa, e gettatogli in faccia un suo fosco sospetto, lo aveva sfidato a una prova di virilità, questa prova non era riuscita. E Skipper, che non aveva potuto fare a meno di informare Brick, tanto se ne era angosciato da morirne. Per Brick, Margaret ha la colpa di aver insudiciato la sua vita e provocato la morte dell’amico.
Gabriele Ferzetti (Brick) e Lea Padovani in un momento culminante del loro tormentato angoscioso dialogo
Intanto che nella loro stanza i due giovani coniugi si straziano di parole, si svolge per il resto della casa la festa per il compleanno del signor Pollitt. Il figlio Cooper, con la numerosa famiglia, non è venuto però alla piantagione solamente per far festa al padre. E’ venuto soprattutto (anche questo lo si apprende dalle parole di Margaret) perchè sa che il padre ha un cancro. A lui, al vecchio, diranno che non è vero, che anzi gli esami clinici sono stati tutti negati-
vi; ma è stato scelto proprio quel giorno per dare, alla fine della festa, la luttuosa notizia alla madre, ancora ignara, e per discutere come si sarebbe divisa, "a babbo morto”, la proprietà. E invece sarà Brick, in un tempestoso confronto con il padre che cerca di scavare in lui per scoprire la ragione del suo tormentoso ubriacarsi e per comunicargli un poco della sua prepotente vitalità di uomo di campagna, a gettargli in faccia la verità. Il disastro ora è completo: papà Pollitt sa di dover morire, Cooper e la sua famiglia guatano biechi la eredità, Brick continua a bere e Margaret a smaniare. Eppure. sarà proprio da lei, da Margaret che scaturirà a un certo punto la salvezza. Perchè la "gatta” annuncerà al vecchio che anche lei come la cognata darà continuità alla famiglia; gli dirà che aspetta un bimbo da Brick. E Brick, contro ogni aspettativa, avvallerà la menzogna e Papà Pollitt se ne andrà consolato e gli ingordi parenti sgombreranno scornati. Mentre cala la tela il pubblico sarà autorizzato a supporre che la pietosa menzogna di Margaret possa divenire realtà.
LE IMPLORAZIONI della donna innamorata, le sue affannose carezze non riescono a scuotere il marito dalla tetra apatia. Brick ha una gamba fratturata perchè, nell’esaltazione dell’alcool, ha tentato di provare a se stesso, saltando gli ostacoli in un campo sportivo, che la sua efficienza di ginnasta non è diminuita. À destra, è in scena anche Gino Cervi: il padre di Brick. Per la prima volta ”La gatta” fu rappresentata a Broadway nel 1955, con Barbara Bel Geddes.
E’ questa la faraginosa vicenda, la sempre opinabile tragedia "moderna” di Tennessee Williams. E tuttavia in questi personaggi che nel testo sono deserti di ogni altra cosa che non siano le parole, gli attori hanno saputo insinuare un brivido e un sospetto di umanità. Agli isterismi di Margaret, dove non si capisce se abbia più forza la passione per il marito o il terrore di vedersi esclusa dalla sua parte di piantagione, Lea Padovani ha saputo dare un calore, una vita sottintesa, un compresso furore da far credere più di una volta che la sua fosse davvero una tragedia dell’amore. E Gabriele Ferzetti è stato un Brick dalla recitazione così drammaticamente rotta e trattenuta, così ricca di mezzi toni, da illudere che la sua potesse anche essere una disperazione per la verità e per la solitudine. Cervi ha dato al padre, alla sua vitale grossolanità, accenti fortemente persuasivi: tanto da apparire come un vigoroso eroe dei sani istinti e del sano buon senso. Nella parte della madre Vittorina Benvenuti ha messo un misto di grottesco e di patetico che il testo ignora, e Irene Aloisi e Arturo Dominici, cognata e fratello di Brick, hanno recitato senza un errore la loro impostura e la loro ingordigia di speculatori dell’eredità.
Franco Vegliani, «Tempo», anno XX, n.5, 30 gennaio 1958
![]() |
Franco Vegliani, «Tempo», anno XX, n.5, 30 gennaio 1958 |