Macario porta la spada

Macario



1946 09 15 L Europeo Macario intro

Mangia riso in bianco, prende cafiaspirina, porta cappellini tondi con le penne, e legge attentamente i racconti di Dino Buzzati.

Pioveva forte. Un ragazzo magro, il portiere de] palcoscenico dell’Odeon, leggeva a un tavolo « Le origini della tragedia » di Nietzsche interrompendosi ogni tanto per ricevere le tuberose gocciolanti mandate alla signorina Barzizza o per togliere di mano l’ombrello alle ballerine che entravano coi capelli bagnati o con cappuccetti a punta di tela cerata. A un tratto il ragazzo si alzò in piedi e fece un saluto speciale: arrivava starnutando un signore non tanto alto, con l’impermeabile abbottonato e una faccia qualunque. Era Macario, non assomigliava a nessuna delle sue fotografie; ma, vedendolo, mi venne in mente uno dei tanti piemontesi che s’incontrano a Varazze d’estate: una faccia mesta da padre di famiglia che all’occasione sa fare anche qualche gioco di prestigio. Macario aveva la febbre, aveva in corpo sei pastiglie di cafiaspirina, e nelle narici dieci gocce d’un sulfamidico.

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Starnutando si sedè al tavolo di toilette dei suo camerino (alle parati pendevano tuniche di velluto nero e di « tweed » a quadretti, nell’angolo c’era un mazzo di spade di latta). « Mi sono alzato adesso », disse « ho mangiato soltanto un riso in bianco »; e qui, guardandomi per la prima volta, mi sorrise con un sorriso da bambino, come se volesse scusarsi d’avere la febbre: ed ecco che non mi sembrava più il solito sguardo piemontese di Varazze.

Quindi staccò da un chiodo un cappellino rotondo, tipo tirolese, e si animò d’improvviso : aveva pensato a una nuova guarnizione di piume. Bianche, corallo, verdi scure come il feltro? Se ne fece portare un mazzetto dalla guardarobiera e si mise a guarnire il cappello con gesti da modista esperta. Macario ha meni da signora, piccole e ben curate. Scelse tre piume color bronzo, ricurve in punta. « Per Amleto vanno benissimo » decretò e cominciò’ a truccarsi.

Dopo il primo strato di cerone n. 8 (una crema color zafferano) dimenticò d’avere la febbre, e stava già meglio quando ebbe due pomelli color fuoco, il labbro inferiore rosa geranio e un tocco di carminio sotto il naso. Era già una maschera, era l’arguto e finto tonto Gianduia, sembrava la testa d'un birillo ben dipinto, e compiaciuto roteò gli occhi più volte. S’infilò la casacca di velluto nero, si mise la parrucca rossa (s’incollò il ricciolo con vera colla armena). Intanto entrava il re Claudio, ex-attore di prosa, Orazio in azzurro e argento (« sembri un guappo di Trastevere », gli disse Macario e lo minacciò con la spada) lo splendido Orazio dalle gambe snelle. Infine Macario mi presentò il suo bambino Chicchi, di tre anni e mezzo, che guardava serio da una fotografia, un bambino straordinario che fa già brillanti giochi di parole e reciterà col padre nel suo prossimo film.

Notai che mentre tutti all’entrata parlavano seriamente con Macario, chiedendogli come si sentiva e suggerendogli diversi metodi di cura, quando fu truccato, le stesse persone gli si rivolgevano soltanto in tono di scherzo: era già Macario-Amleto, quello che faceva ridere tutti, compresi gli attori che ogni tanto in scena perdono il filo perchè non possono star seri. Ma luì rispondeva sempre serio, senza fare mai dello spirito: seriamente mi disse che gli piace soprattutto il manzo a lesso; e tra i libri moderni « I sette messaggeri » di Dino Buzzati. Seriamente mi disse prima d'andare in scena : « E’ uno spettacolo coi baffi all’insù, fine, all’inglese, giudicherà lei; e si avviò sul palcoscenico masticando parole non dette e forbendosi le labbra. E’ una sua vecchia abitudine: sembra che succhi caramelle molto grosse.

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Entrò dondolando sulla scene e sulla scena sorrise col suo sorriso furbo ed ingenuo ad un tempo: i milanesi lo accolsero come al solito, battendo le mani, ed agitandosi sul sedili. La follia d’Amleto non fu più una tragica e tetra follia, ma fu una pazzia allegra, un seguito di stramberie, di arbitri di trovate. « Dimmi una frase d’amore » mormora Ofelia e Macario tutto serio risponde: «Giuseppe». Nell'intervallo Macario ebbe molte visite: il suo avvocato che gli portò una buona notizia. Remigio Paone che gli fece i complimenti, altri amici, qualche seccatore; una fu gentile con tutti e s'interessò della ballerina che poco prima aveva avuti un attacco di fegato. Solo una volta la sua voce suonò adirata da dietro la tenda dove era andato a cambiarsi la maglia. « Chi fischia? », gridò e mise fuòri un viso più interrogativo del solito. Quando si accorse che ero stata io, mi spiegò gentilmente che in camerino e in palcoscenico non si deve mai fischiare, perchè porta male, e i presenti mi guardarono con sospetto.

Camillo Cederna, «L'Europeo», anno II, n.37, 15 settembre 1946


Europeo
Camillo Cederna, «L'Europeo», anno II, n.37, 15 settembre 1946