Distruggono Mina

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1972 07 09 Epoca Mina intro

Focene, luglio

Se accettasse anche le offerte di Frank Sinatra e Dean Martin - show di quattro mesi nel deserto di Las Vegas e poi, via, una performance televisiva in fila all'altra - ecco: potrebbe guadagnare un miliardo in tre anni. Invece, in settembre, giura su Dio che smetterà, che basta, che schifo, che lacrime.

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Diventa tutta fredda e con le mani ghiacce quando grida che ha trentadue anni - vecchia! -. due bambini di «ragazzi» diversi, un padre ex industriale che le è costato un miliardo di debiti saldati tutti con gli acuti e le tonsille, il fisco dal pugno di ferro che reclama 245 milioni di arretrati pagati solo a metà, una solenne Mercedes ma solo per sdraiarcisi a piedi nudi, ficcata ben giù così da non vedere più facce di nessuno. Sa con franchezza di non avere che un elenco di amori confusi da ripassare desiderare e detestare, una casa-esilio a Lugano, una casa d'affitto per giocarci a carte a Forte dei Marmi, nessuna casa a Roma col marito che, adesso, non è neanche più marito e comunque diceva di non accettare una moglie incalzata da tutti, nel bene e nel male: dai Mina, sei grande grande grande! Mina di chi? Mina per cosa?

E che andava cercando, poi, quel marito esibente con la faccia del bel signorino; cos'hanno voluto da lei gli altri, gli attori, registi, i batteristi, gli artisti dalle mani michelangiolesche, i petti villosi, i rombi delle tre litri, l'assegno falso facile?

«Sono soltanto una provinciale», invoca chiedendo una boccata d’aria pulita o almeno non sospetta. «Ridatemi una vita banale. Posso scendere dalla mia? Posso portare a scuola Massimiliano, preparare il bumba a Benedetta, rammendare la rete dei sentimenti con quel tal giornalista di Roma che - unico -, una volta così lontana da sembrare un secolo, mi diede un tuffo col chiedermi in moglie?».

No, è la risposta brutale. Tu devi cantare e, dunque, canta. I debiti di famiglia, di Stato, d’amore, si pagano solfeggiando. Davvero metti una tigre nel motore. Che la tigre sia una ragazza di Cremona con la voce gonfia di trasalimenti e il motore quello a gran numero di giri di un successa all’italiana. Che succede alla tigre nel vortice del motore arroventato?

La tigre ha continuato ad obbedire. Obbedisce anche stanotte, ore una e trenta di una domenica di luglio, alla ribalta della Bussola, in Versilia, quattro milioni per un’ora di recital. Il mare, che schiuma sepolto nel buio, è subito qui dietro. Il cielo è chiuso fuori. Ci sono solo i flash, tutti in faccia; gli ovali dei riflettori che non mollano la bella presa; venti orchestrali, in smoking, da pagare un milione; gli amplificatori che martellano duemila persone assiepate e disposte a tutto, anche quaranta mila di consumazione, per ascoltare sessanta minuti di Mina, senza bis.

L'impresario, alto e con le lenti d’oro da rettore magnifico, porta fuori la tigre guidandola per mano. Certo, è per cavalleria e per percentuale. Ma anche perché nessuno sa -gli applausi decollano, lei incede smagliante, il gesto largo della femmina doviziosa - che la tigre ha paura. E che senza una mano amica - calda, anche se di maturo signore - fuori non ci sarebbe andata. Se non la tenessero, scapperebbe lungo il mare per correre sulla sabbia bagnata, i capelli sparsi, via il toupé, via una scarpina dopo l’altra, al diavolo il boa di struzzo, tutti seminati nella notte come peccati ripudiati.

1972 07 09 Epoca Mina f2La “tigre” piange Mina durante it suo sofferto ed estenuante show del sabato notte alla «Bussola«delle Focene, in Versilia. Per quattro milioni di lire, canta venti canzoni in un'ora. Poi scappa via in Mercedes senza concedere bis. Ha trentadue anni, due figli e si è appena separata da Virgilio Crocco.

E, invece, il mare resta dov'è. I bagnanti di lusso sono rinserrati tutti attorno a una ragazza madre e a una madre tornata ragazza. Dicono che è per sentirla. Certo. In realtà è anche per guardarla vivere un’ora, goderne i palpiti che il professionismo e l’emozione di esistere le suscitano, pensarla - eccola, infine, fi davanti - infelice e castigata, possessiva e tenerissima, dolce e incauta. Non sarà soltanto un’esibizione. Siamo d’estate, i gentlemen sono affluiti sulla costa per distendersi. Diventerà uno spogliarello immateriale alla faccia del coniuge romano, separato e incontentabile.

Lei è in lungo, inguainata in una tunica nera, pesante come una Minerva in lutto: molto post-maman per le signore, bellezza pingue da giarrettiera ricamata per i signori. Canterà una ventina di canzoni. Sento sussurrare prima dell’attacco, giusto nell'attimo di sospensione: «Che favorita del re di Francia sarebbe stata. Guarda i nei».

La corte è venuta tutta. Sotto la grande stella di canne di Bernardini (la Bussola compie 25 anni di notti in bianco), siedono a grandi cerchi gli ex-giovani leoni del miracolo con la camicia sciancrata tutta tesa nello sforzo di contenerli, i liberi pensatori in barba biblica e sandali francescani, le signore della terza giovinezza con taglio alla pulzella d’Orléans, le spose della Milano manageriale profilate alla Patty Pravo, le brigittine in caftano rumeno, anche i seduttori carichi di gloria, ancora con quel certo cachecol a losanghe. Sono della partita perfino i calciatori e gli zelanti col registratore a batteria. Tutti fumano adagio. Sui toraci maschili abbronzatissimi, risplendono nel buio preziose croci pettorali. La stessa pista da ballo è occupata: c’è un sii in di commenda con gli occhiali. L’opulenza di questa protagonista che canterà d’amore sapendone, li esalta: detestano pubblicamente Pani, beffeggiano gli altri della lista. Perché, finalmente vedono lei in persona e la percorrono con occhi di chi ha pagato il biglietto. Con comodo, come la modella in cornice del Déjeuner sur l’herbe.

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Fatto un gesto imperioso all’orchestra, che va su di tono quasi con rabbia. Mina attacca. Canta in un inglese di Cremona, le esse spampanate, col sole padano dentro: let me see (sciii) the moon. Si regge sulla sua aggressività, quella dei timidi che non vogliono neanche vedere chi sia venuto in sala, ma fare tutto di seguito, un'ora di parole musica sospiri rantoli e invocazioni. Una fatica operaia e, poi. a casa senza voltarsi indietro, subito la doccia, subito la lettura di Topolino. Del resto, che ci farebbe al mare, dopoteatro, una signora sola, con i figli in Svizzera, senza più mariti, senza prospettive che non siano quelle di tornare nell'arena anche sabato prossimo? Non le darebbe sollievo neanche contare il danaro. Mina non vuole sapere quanto guadagna. Le mettono le banconote in mano, si fida. Tanto vanno subito divisi in mazzette: creditori, vanoni, vanoni concordate, menage, quel miliardo di papà da concludere. Tutti tamponamenti di pronto soccorso. Da quattordici anni il motore deve girare in presa diretta.

Mi parlano di lei mentre canta, è un amico fedele, forse l'ultimo. Dice frasi scollate, nel clamore dell'orchestra, della voce e degli scrosci d'applausi che si sommano di continuo: c £ una ragazza tradita, presa in mezzo. Così trepida da implorare appoggi inconsistenti. così orgogliosa da negarlo, così generosa da svenarsi. Ha sempre incontrato uomini impudenti e sbagliati. Certo che fu impudente anche chi le chiese di sposarla per poi volerla subito a casa, a letto presto, cinema il giovedì sera, soggiorno con la TV. Mina, anche, ci starebbe. Ma può permetterselo? Da Sinatra non è voluta andare, neanche in nave. Si disperava immaginando: e come potrei stare senza i bambini? In America potrebbe fare la carriera della Fitzgerald che a 54 anni è grandissima. Ma non partirà mai, non sa staccarsi dai suoi, è terrorizzata da un altro pubblico da conquistare. La parola conquista non le appartiene. Ha il richiamo per il ruolo della conquistata. Ricordo una sera che non voleva più cantare. Diceva: non sono bella, non sono brava, vengono a vedermi come un prodigio da circo. Non è neanche ricchissima. Diciamo qualche centinaio di milioni, sempre con Annibaie alle porte. Ci sarebbe tutto il monda da girare ma rifiuta anche l’aereo. Da tre anni ne ha una paura incontrollabile. Se ci sale, subito implora: succedesse qualcosa, vi scongiuro: promettete di prendervi cura dei mici piccolini».

«E allora?»

«E allora», conclude la voce amica gridando forte conte in aereo per sovrapporsi agli applausi compatti, «vuole chiudere in settembre». Poi, scuotendo la testa: «Ormai, si sente come una tigre inseguita».

S’alza la decima canzone. Il ciuffo fulvo sfiora gli occhi, intensamente bordati di nero. Non un gioiello. Solo anelli da tribù ai lobi, opimi e candidi. L'ansito del seno che riprende fiato, rende l'idea della sforzo. Accigliato, l'impresario scruta da una porticina. La gente ha caldo. Ma la voce che sa alzarsi squillante e anche strisciare, opaca e vetrosa, nelle parole del dolore, porta tutti appresso. Quando Mina impugna il microfono ci si affida, bocca a bocca, come a una telefonala drammatica, proprio da notte brava sul far dell'alba. Quanti sospiri al telefono con Chiari, Pani, Martelli, Crocco, con tutti quelli che si sono fatti sotto; per poi essere ancora qui, inchiodata al circo by night.

Boccheggia, la mano sempre più sullo stomaco. Che donna per rifletterci: così scopertamente femmina senz’altri messaggi che non siano lacrime, attese, congedi, ritorni; così bel suol d’amore in tempi di androgine sofisticate; così artificialmente sguaiata per coprire ogni vuoto di cuore, questa debitrice dello Stato ha dato a piene mani per poi avere freddo.

«E se avesse fatto del teatro impegnato, magari Brecht, sarebbe diversa?», domando all'amico. Risponde secco: «È liberale».

Con un grido altissimo, gli occhi serrati, la bocca contratta, la signora Crocco ha concluso. Era venuta a cantare con la fede nuziale, me ne avvedo ora. Subito centinaia di mani eccitate vorrebbero toccarla, anche le signore. Lei esce con le braccia tese, il trucco disfatto, in un trionfo d’ottoni lucenti, batteristi esaltati, fotografi in azione, l'impresario che le porge paternamente il fazzolettino per detergersi.

L’avrebbe voluto da un altro, che non c’è né si annuncia, il fazzolettino. Da tanti altri. Eppure, da uno che glielo porse - come vasto il passato - si vide ricambiata con un sorriso beffardo. Era la mattina in cui scoprì un dettaglio. Il grande amore aveva firmato assegni a vuoto per ottanta milioni e ci aveva sottoscritto il nome dell’amata imitato bene; un bel Mina Mazzini. Poi, smascherato, andava dicendo; ma cocca, cosa vuoi che sia per te?

Giorgio Torelli, «Epoca», anno XXIII, n.1136, 9 luglio 1972


Epoca
Giorgio Torelli, «Epoca», anno XXIII, n.1136, 9 luglio 1972