Che cosa vuoi, Rita?

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La giovanissima cantante si trova a un punto cruciale della sua carriera. Dopo essere esplosa come ‘‘boom’’ discografico, si sta orientando verso spettacoli cantati - recitati tipo il discusso “Gian Burrasca”. In questa intervista Rita Pavone parla con franchezza dei suoi progetti, delle sue aspirazioni, dei suoi errori.

Arriva a turbogetto, seguita da sua madre, che arranca, non riuscendo a stare al suo passo. È in ritardo, lo sa, e si scusa borbottando: «Non sto bene, ho mangiato un piatto enorme di verdure miste e adesso ce le ho tutte qui» (accenna con la mano lo stomaco). Si rivolge a un cameriere e ordina una limonata calda. Poi ci guarda con un’espressione da «vittima» e, alzando le braccia come una che si arrende, dice: «Eccomi qua, sparate pure!».

Il luogo: il bar di un grande albergo milanese. L'ora: le otto di sera. Il giorno: un sabato. Lei è Rita Pavone, con un paio di calzoni attillatissimi (le sembrano cuciti addosso), con un pullover azzurro di lana e un buffo berretto di pelliccia, che porta a sghimbescio sulla celebre zazzera. E noi siamo lì per intervistarla, per parlare con lei di lei, del suo «passato», dei suoi progetti per il futuro. Per fare il punto sul «fenomeno» Pavone che, dopo il formidabile «boom» di due anni fa, dopo la celebrità raggiunta in un baleno, sembra ora perdere qualche colpo, accusare qualche battuta a vuoto.

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«Rita», chiediamo a titolo d'esordio, «di' la verità: sei soddisfatta del tuo 1964?»

Una scrollata di spalle un sorso di limonata per pensarci su, un arricciare di naso e poi via a rispondere, con la sua parlata mezzo romana e mezzo piemontese:

«Ragazzi, vediamo di chiarire una cosa. Lo so che si dice che la Pavone è in crisi, che è finita e roba del genere. Ma guardate che io, l'anno scorso, in Italia, ci sono stata pochino. E non a caso. Era un anno e mezzo che imperversavo, in TV, alla radio. Tutti mi conoscevano, tutti avevano un mio disco. Queste cose, è inevitabile, in Italia si pagano. E allora, prima che il pubblico si accorgesse di averne una zuppa di me, sono “emigrata", sono andata oltre frontiera, a piazzare le mie canzoni in Brasile, in Argentina, negli Stati Uniti.»

«Ed è andato tutto bene?»

Con un occhio socchiuso e la testa reclinata da una parte, Rita ci guarda con l'aria di pensare: è qui che li volevo. Infatti ribatte:

«Proprio per chiudere la bocca ai miei accusatori mi sono portata delle prove dai miei viaggi all'estero. Venitemi a trovare ad Ariccia e vi mostrerò i miei cimeli. Ritagli di giornali brasiliani con titoli enormi che dicono: “Rita batte i Beatles’’, un martellino portachiavi con scritto su “L'ho rubato a Rita”, che è stato messo in vendita ed è andato a ruba dopo che ho lanciato alla TV brasiliana la canzone Datemi un martello’, e infine», qui Rita assume un tono di trionfo, «la prova più concreta: il filmino del mio arrivo all'aeroporto di Rio de Janeiro. C'erano settemila persone ad aspettarmi e un nugolo di poliziotti a tenerle a bada, per non farmi linciare. Un anno non sprecato il mio '64, direi. E adesso c'è il '65.»

«Con il Gian Burrasca televisivo, sei proprio convinta di averlo cominciato bene, il 1965?»

Rita non avverte il tono polemico della domanda. Dà una sbirciata all'orologio e avverte: «Guardate che alle 9, caschi il mondo, il Gian Burrasca me lo voglio vedere».

1965 02 07 Bolero Rita Pavone f2Rita Pavone fotografata con la sua famiglia. Da sinistra: il fratello Carlo, la madre signora Maria, e il padre Giovanni. La giovane cantante piemontese (compirà i vent’anni il prossimo agosto) è in procinto di partire per una lunga « tournée » in Sudamerica, Australia e Giappone. Prima di partire registrerà alla TV uno show tutto suo.

«Dunque sei soddisfatta del Gian Burrasca?»

«Sì, perché ci sono io. O Dio, come dizione lo so di non valere un gran che. Da buona piemontese ho tutte le o chiuse, e poi parlo troppo in fretta. Sapeste quante volte Lina Wertmuller, la regista, mi ha urlato durante le prove: “Rita tutto bene, ma famme capì una parola, una parola sola...!”.»

«Quindi, indipendentemente dal successo di Gian Burrasca, hai proprio intenzione di continuare sulla strada di cantante-attrice?» «Eh sì, mi piacerebbe tanto diventare una soubrette. Ma non di quelle che mostrano le gambe e cantano un ta-ta-ta in qualche modo. Una soubrette tipo Delia Scala, ecco cosa mi piacerebbe diventare.»

«Però s’era parlato anche di cinema. Il film con Mel Ferrer lo fai o non lo fai?» «È tutto in alto mare, non so. Comunque, il cinema è una carta ancora tutta da giocare, per me.»

«Hai parlato di teatro e di cinema, ma con le canzoni proprio l’hai fatta finita?»

«Eh no. In marzo parto per una lunga tournée: Stati Uniti, Argentina, Brasile, Australia e Giappone. Ne avrò sino alle soglie dell'estate e sarà un periodo tutto dedicato alle canzoni!»

«Senti, Rita. Sinora abbiamo parlato della tua carriera e tu hai detto che, nel '64, non hai commesso sbagli. Sei convinta di ciò anche guardando le cose da un punto di vista sentimentale?»

Stavolta Rita non ha esitazioni. Senza dimenticarsi di guardare l'orologio, per vedere se l’ora del suo Gian Burrasca incombe, ribatte sbuffando:

«Già, Nettinho. È vero: durante la tournée in Brasile avevo preso una cottarella per Nettinho. Una cosa di sguardi da lontano e di strette di mano furtive. C’era mia mamma a far da “carabiniere". Poi io ho fatto i capricci perché lui, che laggiù è un idolo, venisse in Italia con me. Ed è successo il finimondo. All’aeroporto di Roma, quando arrivammo, c’erano i giornalisti e fotografi che già parlavano di matrimonio. A Nettinho, poveraccio, a momenti gli prendeva una sincope. A un certo punto s'è sentito tanto responsabile della cosa che è andato da mio padre a chiedergli la mia mano. Col risultato che a momenti mio padre lo prendeva a calci... Peccato. Fu una cosa nata male.»

«E adesso è finita...»

«Macché. Lui mi scrive un giorno sì e un giorno no lettere lunghe cinque pagine. Rita, amore mio... comincia sempre così!»

«Però, sembra che adesso Nettinho si sia fidanzato con una ragazza del suo Paese...»

Rita non sembra impressionata dalla nostra obiezione:

«Non so mica bene com'è questa storia. Per me deve essere stato qualche impresario a inventare la notizia. Siccome eravamo d’accordo che, dopo la mia nuova tournée in Brasile, lui sarebbe tornato in Italia con me, qualcuno deve essere corso ai ripari. Nettinho, laggiù, è una miniera d’oro! Comunque in aprile Nettinho io lo rivedo. Se vi interesserà ancora, vi dirò come è andata a finire...»

Dopo la parentesi «Nettinho», che l'ha evidentemente appassionata, Rita ricomincia a dar segni d’impazienza. Dalla saletta della televisione si sente la musichetta di Carosello. È ora di accelerare. Domande brevi e risposte secche. Rita, riconoscente, sta al gioco.

«Ricevi ancora molte lettere?»

«Sì, circa tremila al giorno. Anzi, per favore, scrivete sul vostro giornale che, anche se in ritardo, risponderò a tutti. Grazie.»

«Cosa fai dei soldi che guadagni?»

«Io non vedo mai una lira. Sono sempre a bolletta. Se devo comprarmi un rossetto, o il Topolino, bisogna che chieda i quattrini a mia mamma. I soldi sono tutti vincolati in banca, e a me sta bene così. Dei soldi non so, né voglio occuparmene.» «Stai per compiere venti anni: non pensi che sarebbe ora di abbandonare quei calzoni stretti stretti e di presentarti al pubblico vestita come una signorina?» «Ditelo a mio padre. E lui che non vuole che vada in palcoscenico con le gonne. E un siciliano e dice che non vuole che sua figlia mostri le gambe. Lo so che mi criticano perché non porto vestiti “veri”, un po' scollati. Ma sapete che rispondo? Mi fate ridere. Sono tutt’ossi. Peso soltanto 43 chili...»

1965 02 07 Bolero Rita Pavone f3Rita Pavone « intervista » Teddy Reno, suo scopritore e manager, durante lo spettacolo presentato a Milano nelle scorse settimane. In questi giorni Rita si trova ad Ariccia, presso Roma, dove studia l'inglese e segue i lavori di costruzione della sua nuova casa, una villa modernissima di ventun locali.

«Cosa ne pensi del Festival di Sanremo?»

«Formidabile, ma pericolosissimo. Per andarci, un cantante deve avere a tutti i costi una canzone bellissima.»

«Un pronostico per quest’anno?»

«E una parola. Una cantante che mi piace è Iva Zanicchi, un altro tipo interessante è Giordano Colombo. Poi ci sono un sacco di stranieri eccezionali. Timi Yuro, Dusty Springfield...»

«Cosa ne dici del matrimonio segreto di Celentano?»

«Non dico niente. Quando mi sposerò io lo farò alla luce del sole, anche a costo di essere stritolata dalla folla. Voglio un abito bianco, i paggettini a reggermi lo strascico e l'Ave Maria di Schubert. Il mio matrimonio sarà bellissimo: tutto una lacrima, come si usa quando si sposa l’unica figlia della casa.»

«Qual è la cosa che non è ancora stata scritta sul tuo conto?»

«Nessuno ha scritto il mio nome per intero: mi chiamo Rita Filomena Ori Pavone. Filomena è il nome di una nonna. Ori me lo hanno dato in onore di una mia madrina africana, e significa press'a poco “raggio di luna”.»

A questo punto, dalla saletta della TV giungono le note di Viva la pappa col pomodoro, la canzone-sigla di Gian Burrasca. E Rita Filomena Ori Pavone non è più capace di star seduta. Salta come un grillo dalla poltrona, grida ciao ci vediamo e si va a sedere a due spanne dal video. Attenta e compunta, non si accorge neanche che noi ce ne andiamo.

Gigi Vesigna, «Bolero Film», anno XIX, n.926, 7 febbraio 1965


Bolero Film
Gigi Vesigna, «Bolero Film», anno XIX, n.926, 7 febbraio 1965