Roberto Rossellini e il figlio di Sonali: un segreto che scotta
«Quel bambino non esiste» smentisce secco Rossellini. Ma molti affermano che è nato a Parigi dove vivrebbe nascosto con la madre
ROMA, agosto
Il volto di Rossellini rimase immobile, nel buio, ma le mani strinsero più forte il volante quando gli feci il nome di Sonali Das Gupta e gli chiesi se il figlio suo e di Sonali era nato. Nessuno osa mai parlare a Rossellini della giovane indiana per la quale egli vive il nuovo e più pericoloso dramma della sua vita e il segreto intorno a lei resta insormontabile. Si sa che da alcuni mesi Sonali vive a Parigi, in un piccolo appartamento il cui indirizzo è sconosciuto fuorché a due o tre persone che non lo diranno mai. Si sa che questa estate Sonali è stata sulla Costa Azzurra, chiusa nella villa di certi signori che la proteggevano come l'ambasciata americana protegge a Budapest il cardinale Mindszenty. Si sa che Rossellini la incontra sempre sebbene non viva con lei. Ma non si sa nulla sul figlio che Sonali portava in grembo al momento di lasciare l'India per seguire Rossellini in Europa. Tempo fa si diffuse la voce che il bimbo era nato, e si trattava di un maschio. Ma nemmeno gli amici di Rossellini, ormai pochissimi, si provarono a chiedergli se la notizia fosse vera. Tentò solo Federico Fellini, con la sua aria distratta e suasiva: «È maschio o femmina, Robbé?». Rossellini scosse le spalle, fissandosi un piede con un risolino enigmatico: «Né maschio né femmina». Fellini ebbe uno scatto: «Come sarebbe a dire, Robbé?». «Sarebbe a dire che non è nulla», replicò Rossellini mutando bruscamente discorso. Lo stesso Federico Fellini mi aveva raccontato l’episodio autorizzandomi a scrivere che lui ci credeva. Ma io non ci credevo e così, a bruciapelo, rivolsi a Rossellini la medesima domanda.
Roma. Roberto Rossellini non è stato capace di mantenere la promessa che si fece dopo la separazione da Ingrid Bergman: non tornare più in Italia, non rivedere più la villa di Santa Marinella.
Passò un minuto lunghissimo, poi la stretta delle mani sul volante si allentò. Rossellini assestò un poco il gran corpo pingue, vestito di bianco come quello di un infermiere, e lentamente si girò a guardarmi con aria sorpresa. Poi scosse la testa e non c’era indignazione, o ira, nella sua voce chiara da maestro di scuola, ma una infinita rassegnazione: «Non c’è». Come Fellini, ribattei: «Cosa vuol dire ”non c’è"?». «Vuol dire che non esiste, che non è mai nato», insistè Rossellini. «Tutti dicono che è nato e che è un maschio», dissi sperando che si arrabbiasse e mi facesse intuire una verità più convincente. «Allora lo chieda a chi lo dice. Sono tutti così bene informati», concluse Rossellini. E la voce da maestro di scuola sembrò affievolirsi in un sospiro di amarezza. «Dicono tante cose di me», proseguì dopo qualche secondo asciugandosi la fronte sudata, «ma non me ne importa più nulla. Ogni mattina e ogni sera compro i giornali per vedere quali altre bugie hanno inventato su me e poi (ci crede?) dimentico perfino di leggerli: li dimentico al caffè o in un ufficio». Dietro di noi, sul sedile, c’erano i quotidiani di Roma con la notizia del divorzio rinviato: la sentenza del tribunale di Roma con la quale si dichiarava nullo il matrimonio contratto dalla Bergman e da Rossellini, era stata impugnata dal pubblico ministero, «Ingrid e Roberto sono ancora marito e moglie», dicevano i titoli. «E quelli?», chiesi indicando i giornali.
Di nuovo Rossellini assestò il gran corpo pingue, ma la voce restò inalterata. Se in India ha imparato qualcosa, questa è l’autocontrollo. Non si lascia mai prendere in castagna, le sue risposte hanno l’abilità di un diplomatico orientale. «Quella è roba per avvocati. Ci pensano loro a dare querela o a fare le smentite. Due settimane fa, ho dato querela a qualcuno. Mi creda: non so nemmeno a chi, né perché. Non sono più un giovanotto che si turba per le calunnie. Sono un uomo tranquillo per il quale contano solo i figlioli. Ho i figli più intelligenti e più belli del mondo, nessuna donna conterà mai per me quanto contano loro. Tutto quello che sopporto, lo sopporto per loro. E non mi costa nessuna fatica: altrimenti sarei mille miglia lontano, in un paese più civile del nostro». Passò un camion e i fari illuminarono, con la violenza di imo schiaffo, il volto di Rossellini che parlava. Imbiancato dalla luce, sembrava il volto di un vecchio ammalato: l’alta fronte incisa di rughe fonde come cicatrici, le guance un po’ flaccide che dondolavano ad ogni sobbalzare dell’automobile, le labbra esangui, chiuse in una piega diffidente ed ostile, il gran naso assottigliato dall’insonnia. («Lavoro venti ore al giorno e nelle quattro che restano sogno di dormire» ). Sul cranio, che ormai va perdendo velocemente i capelli, c’erano radi ciuffi di un grigio che già sfuma nel bianco. «Questa strada», esclamò Rossellini sbandando un poco, «la faccio da dieci anni e non la conosco abbastanza». Andava, infatti, a Santa Marinella: la casa dove i debitori e gli agenti del fisco non hanno ancora messo le mani pignorando i mobili e portandoli via. E guidava una Seicento azzurra presa, si dice, a noleggio: lui che prima possedeva le Buick più lussuose, le Ferrari da corsa e comprava due automobili insieme senza chiederne il prezzo. Ci andava per raggiungere i bambini avuti da Ingrid che a quell’ora si trovava a Parigi insieme alla primogenita Pia Lindstrom e a Lars Schmidt. Robertino, Ingrid e Isabella non amano altre vacanze che
Quelle di Santa Marinella e, all’inizio ell’estate, Rossellini s’era deciso a mandarceli. Per nessuna altra ragione avrebbe accettato di tornare in quel posto che sei mesi fa aveva lasciato con l’addio più solenne di un rito. Quel giorno, dopo aver firmato l’atto di separazione dalla Bergman presso il tribunale di Roma, egli aveva chiamato Fellini e lo aveva pregato di accompagnarlo a Civitavecchia, passando da Santa Marinella. «Vado a Parigi e non torno mai più, ma ho bisogno di avere un amico vicino per dire addio a quel pezzo di strada». Fellini lo aveva accompagnato. Lungo il viaggio, Rossellini gli aveva fatto un discorso che assomigliava a un testamento spirituale. Passando dinanzi a Santa Marinella, dov’è la casa che aveva comprato per Ingrid, s’era messo a piangere come un bambino. Fellini era rimasto sconvolto dall’emozione. «Non lo rivedremo davvero in Italia», aveva detto, anche lui con le lacrime agli occhi. Fu quindi con molta sorpresa che, un giorno di giugno, i giornalisti di Ciampino videro sbarcare da un aereo proveniente da Parigi proprio l’uomo che aveva preso un così drammatico impegno di non farsi più rivedere.
Roma. Roberto Rossellini con alcuni amici in una trattoria. «Il figlio mio e di Sonali», ha detto, «non è mai nato».
IL SUO PROGRAMMA: GIRARE DOCUMENTARI
«M’è costato sacrificio», diceva Rossellini pigiando l’acceleratore sulla strada rinnegata di Santa Marinella e rinviando astutamente ogni allusione a Sonali. «Ormai io vivo volentieri solo a Parigi. Lì non sono curiosi, ti lasciano in pace. E riescono a rispettare la gente senza preoccuparsi dei suoi pasticci privati. In Italia, quando diventi antipatico, ti fanno sentire come un malvivente braccato dai gendarmi». L’idea di recarsi in esilio a Parigi era abbastanza coerente in un personaggio romantico come Rossellini, ma non mancava di saggezza: a Parigi, perfino Sonali avrebbe potuto rifugiarsi senza pericolo d’essere scoperta. «Prendi una donna col lenzuolo in testa e mandala a spasso per Roma: tutti si girano a guardarla sebbene Roma sia piena di indiane. Prendi una donna col lenzuolo in testa e mandala a spasso per Parigi. Nessuno si gira a guardarla», si dice che abbia detto Rossellini a un amico, in tal modo sintetizzando il problema di Sonali e del suo abbigliamento. (Sonali non intende rinunciare al sari). Su consiglio degli avvocati, tuttavia, egli preferì abitare in albergo e insieme ad un figlio. Renzo, il primogenito, diciassettenne, che studia pittura, si stabili con lui al Raphael.
Il Raphael è un albergo costoso, denso inoltre di ricordi e sorprese. Qui Rossellini ritrovò Ingrid Bergman dopo l’incontro di Hollywood e qui decise con lei il divorzio. Qui la Bergman capita ancora e talvolta perfino la Magnani. Ma il padrone dell’albergo è suo amico: il prezzo che Rossellini paga per la cameretta all’ultimo piano è quasi irrisorio. Come se non bastasse, al Raphaèl tutti trattano con simpatia monsieur Rossellini, lo considerano ancora un grand’uomo mentre, in Italia, quasi tutti lo trattano come un genio al tramonto o un filibustiere. L’ondata di impopolarità che ha travolto Rossellini in Italia dal giorno in cui tutti seppero che amava Sonali, è paragonabile solo a quella che lo travolse in America quando si seppe che amava Ingrid Bergman. I suoi amici, ormai, si contano sulle dita di una mano: sono Fellini, lo sceneggiatore Amidei, il produttore Pep-pino Amato, la governante di Santa Marinella. Gli altri lo scansano con sdegno neppure ipocritamente represso. «Se mette piede nella mia casa lo faccio cacciare dal maggiordomo», ha detto di lui una celebre diva. Nei salotti ai Paridi e nelle ville patrizie' dove gli ultimi rampolli di una aristocrazia senza quattrini ospitano le stelline dei fumetti e gli attori comici, si evita perfino di fare il suo nome. La sera, in via Veneto, mentre il vento che viene dal mare accarezza le facce dei cinematografari che siedono al Café de Paris, si raccontano su lui aneddoti orrendi: come volesse imporre Sonali a Ingrid con la scusa che Sonali era di religione diversa, come per lungo tempo abbia continuato a far pagare i conti alla Bergman, come non abbia alcuna intenzione di sposare Sonali che ha dovuto trascinare in Europa solo per non far brutta figura dal momento che Ari Das Gupta l’aveva scacciata. Cose che Rossellini conosce benissimo e non si preoccupa di smentire o tacciare di calunnie. Del resto, perfino la gente che lo riconosce per strada, quando entra in un bar o va a comprare un giornale, lo bersaglia con sorrisini e allusioni maligne: «Ma Sonali, dove l’ha messa?». Anche questo Rossellini lo sa, ma non provoca in lui nessuna reazione rumorosa. È passato il tempo in cui prendeva a cazzotti l’incauto giornalista americano che chiedeva alla Bergman: «Se dovesse scegliere fra la vita di Pia e quella di Roberto, chi salverebbe?». Non ha più la garibaldina spavalderia dei giorni in cui rischiava di farsi arrestare per strappare ai carabinieri una vecchia multata per avere colto funghi in un bosco.
È diventato taciturno, scontroso. Quando parla i suoi discorsi sono sempre contorti, un po’ sibillini: come se, facendoli, egli farneticasse con se stesso anziché rivolgersi ad altri. Parla a volte della fine del mondo, della bomba atomica che distruggerà tutto, di un ambizioso programma cinematografico che comprende una enciclopedia di documentari da girarsi in tutti i paesi del mondo. La prima sarà quella sull'India (India 1958, con la colonna sonora in tre lingue, apparirà sugli schermi ad ottobre); la seconda sarà quella che conta di girare in Brasile: il governo brasiliano lo ha invitato per questo. Il più delle volte, però, non parla affatto e per questo cerca di vedere il meno possibile anche coloro che gli vogliono bene. Il più piccolo incidente basta a fargli voltare le spalle. Giorni fa era solito andare agli studios della Palatino Film. C’era Peppino Amato e gli piaceva mangiare con lui. Peppino è allegro e, appena lo vedeva arrivare, col suo passo strascicato e il suo completo bianco da infermiere, gli correva incontro come un giullare. «Ma, che la punti a fare sta’ comparsa. Stai vechio e brutto, ormai. Manco le giapponesi ti guardano più». Rossellini accettava i suoi scherzi con una smorfia malinconica, sedeva ad un tavolino e a volte, smettendo perfino di fissare gli immensi piedi calzati da un paio di sandali da frate, teneva comizio. Parlava dell’India, dei santoni dell’India, degli elefanti dell’India, tutte cose che per lui hanno il sapore di un piacevole incubo. Parlava della sua enciclopedia cinematografica, del suoi sogni impossibili, del viaggio in Brasile, mentre Amato diventava serio e cercava di convincerlo a girare un autentico film. «Trova un’idea, un’idea sola e ti faccio portare in trionfo, tappo la bocca a quei fessi che ti giudicano un uomo finito». Capitava che Rossellini esitasse. Dopo Europa 51 e Viaggio in Italia, che si risolsero in un fiasco finanziario, ha girato solo due film. Uno si chiamava Paura, l’altro era Giovanna al rogo di cui già aveva curato la regìa teatrale al San Carlo di Napoli. In entrambi recitava la Bergman. Ma nessuno si preoccupò del loro lancio pubblicitario, Rossellini meno di tutti perché a lui queste cose non interessano. E nessuno, praticamente, li vide. Paura fu proiettato a Roma l’anno scorso nel cuore di agosto e tenne il cartellone appena tre giorni. Giovanna al rogo fece press’a poco la medesima fine. «Te voglio aiutà, lasciati aiutà», diceva Peppino Amato. «Si vedrà, si vedrà», ripeteva Rossellini con la voce da maestro di scuola. Forse si sarebbe lasciato convincere se non si fosse accorto che alla Palatino Film lavorava Anna Magnani, impegnata nel film di Castellani. Rossellini non voleva incontrarla. E non tornò più.
Federico Fellini, a sinistra, e Roberto Rossellini, in primo piano. Conversazione in trattoria, a Roma, in questi giorni d’agosto. «Non è vero che io sia solo e infelice», ha detto il regista di Paisà. «Ho chi mi ama. Ho imparato la tolleranza e la saggezza».
IL SUO PASSATO SI CHIAMA INGRID
«Non mi importa di avere popolarità. Non mi importa di avere denaro. Mi importa solo vivere come mi pare e piace», diceva Rossellini avvicinandosi con la Seicento presa a noleggio! alla casa di Santa Marinella. «Io sono come mio padre che costruì mezza Roma e non si piegò mai davanti a nessuno. Morì senza un soldo. Gli assomiglio in tutto e per tutto». Le per- -sone alle quali riferii la frase, più tardi, rabbrividirono di sgomento. È vero che il padre gli assomigliava: era geniale come lui, generoso come lui, ribelle come lui. Ma morì, a cinquantanove anni, di morte nient’affatto naturale: sparandosi al cuore. «Questo parlare del padre mi piace pochissimo», dicono quelli che gli vogliono bene. «Non vorrei che Roberto facesse qualche sciocchezza». Ci pensano molti, suggestionati dallo squallore del suo tramonto e della sua solitudine. L’unico a non pensarci, tutto sommato, è Rossellini. «Non è vero che io sia solo e infelice. Ho chi mi ama. Non è vero che sia soffocato dalle amarezze. Ho imparato la tolleranza e la saggezza», mi disse mentre l’orgoglio gli faceva tremare la voce. «Non rimpiango il passato. L’avvenire mi sembra gradevolissimo».
Si potrebbe anche credergli. Il suo passato si chiama Ingrid Bergman: una donna che amò, ma con la quale incominciò a litigare dopo poche settimane di matrimonio. Ingrid era ordinata, ambiziosa, spavalda dietro il dolce sorriso. Ingrid era una donna del Nord. Il suo avvenire si chiama Sonali, una orientale che dipingono umile, timida, senza ambizioni fuorché quella di servirlo e adorarlo, capace infine di stare chiusa per mesi dentro una casa perché lui lo pretende. «Ora le dico una cosa che non ho mai detto a nessuno», mormorò Rossellini senza mutare espressione al pallido volto di vecchio ammalato. «In India ho trovato finalmente la felicità». Lo fissai stupita: oltretutto, l’allusione a Sonali era chiara. Rossellini si passò lentamente un fazzoletto sul capo per asciugarsi il sudore e poi aggiunse con una occhiata enigmatica: «La felicità è una donna del Sud».
Oriana Fallaci, «L'Europeo», anno XIV, n.32, 10 agosto 1958
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Oriana Fallaci, «L'Europeo», anno XIV, n.32, 10 agosto 1958 - (Fotografie di Duilo Pallottelli) |