Valeria Moriconi ha scoperto l'America a Roma

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Per una ragazza di provincia che si era fatta onore solo in una filodrammatica, venire da Jesi a Roma a far del cinema era come traversare l’Atlantico ai tempi di Cristoforo Colombo

«Sono sempre stata sicura di me stessa». Per mitigare questa orgogliosa affermazione, Valeria Moriconi non ebbe neanche una sfumatura di sorriso, ma dopo un attimo di riflessione aggiunse, «Perchè conosco i miei limiti, per questo sono sicura delle mie possibilità». Seduta su una poltrona, parlava sfogliando distrattamente le pagine di un copione; indossava un abito tagliato a tunica, molto semplice e assolutamente privo di civetteria, un paio di occhiali accentuavano l'espressione seria del suo sguardo. A vederla così, nella sala di soggiorno del suo appartamento, non faceva pensare a nessuno dei tanti personaggi da lei interpretati in quattro anni di carriera cinematografica.

«Anche quando decisi di diventare attrice, non ebbi incertezze, non dubitai un istante che quella fosse la professione più adatta alle mie capacità». Per Valeria Moriconi il cinema aprì le sue porte senza colpi di scena pubblicitari o pseudo avventurosi. Valeria aveva allora diciannove anni, viveva a Iesi, la piccola città di provincia dove era nata il 15 novembre 1933; si era sposata da un anno, subito dopo aver preso la licenza liceale classica, il marito, poco più anziano di lei, aveva a Iesi uno stabilimento per la lavorazione della lana. «I miei studi non furono mai nulla di eccezionale», ci disse Valeria, «ma dall’età di quattordici anni avevo cominciato a recitare nella filodrammatica di Iesi, e per quattro anni questa fu la mia principale occupazione». Per non mancare le prove e studiare a fondo le sue parti, Valeria rinunciava al mare, alle gite, ai balli; anche per questo probabilmente evitò di diventare una delle miss Adriatico o chissà che altro, «deficienza» questa della quale essa parla con malcelato orgoglio.

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Forte della sua esperienza filodrammatica, e dell’incondizionato appoggio del marito, Valeria decise di fare il grande passo. «Un giorno riempimmo le valigie, montammo in macchina, e venimmo a Roma». Era una fuga, e come tutte le fughe provocò una fitta salve di commenti nella piccola città marchigiana; il fatto che ne fossero protagonisti due giovani regolarmente sposati sembrò irrilevante alle buone lingue di Iesi di fronte alla aspirazione di Valeria a calcare le vie dello schermo.

A Roma i due giovani avevano un solo aggancio, e abbastanza vago, con il mondo del cinema; un cugino che era amico di alcuni registi, e a lui si rivolsero subito per avere una indicazione qualsiasi su come si inizia una carriera cinematografica. Il cugino presentò Valeria ad Alberto Lattuada, che appunto in quei giorni cercava delle attrici per «Gli italiani si voltano».

«Credevo che mi avrebbero fatto prima un provino, ma mi trovai direttamente davanti alla macchina da presa; mi dissero dì comportarmi normalmente, e così feci. Diventai attrice quasi senza accorgermene». Finito questo primo film, Lattuada chiamò ancora Valeria per una parte ne «La spiaggia»; la recitazione qui era più impegnativa, il suo personaggio, una ragazza viziosa negli ambienti balneari, richiese a Valeria una forte dose di applicazione.

Nel 1954 incominciò un periodo di stasi. Mancando partì in film di un certo rilievo, la giovane attrice si adattò all’attesa, accettando nel frattempo piccole interpretazioni in opere senza alcun valore. «Volevo lavorare in ogni modo», era chiaro che Valeria non parlava volentieri di quei film, disse di ricordarne appena i titoli. L’attesa durò un anno circa, e infine la sua costanza trovò la giusta ricompensa. Arrivò con «Gli innamorati» una di quelle parti che Valeria desiderava e la ragazza che pochi ricordavano da «La spiaggia», cominciò a far notare al pubblico il suo nome accanto a quello di altri già più famosi. Ma la sua vita non ne subì particolari scosse, a parte un più intenso ritmo di lavoro; senza curarsi affatto di andare contro una delle tante leggi non scritte della «Hollywood sul Tevere», Valerla Moriconi ignorò tutti i cocktails più o meno mondani, che i creatori di stelle ritengono indispensabili all’ascesa di una attrice alle prime armi. «In quattro anni avrò partecipato forse a tre o quattro riunioni del genere», contava sulle dita cercando di ricordarsi, ma vi rinunziò subito con una alzata di spalle, «sul lavoro accetto consigli da chiunque ne sappia più di me, ma per i momenti di riposo preferisco scegliere da me amicizie e svaghi».

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Le chiedemmo se in base alle sue esperienze poteva dare un giudizio sui rapporti di lavoro nel nostro cinema. «Non saprei esprimere un giudizio preciso, e neanche vorrei, a dire la verità», non era imbarazzata ma aveva Paria di chi vorrebbe cambiare argomento. Poi, puntandoci contro un indice accusatore, disse: «però una cosa posso dire. Ho lavorato negli studios francesi, e ho trovato una serietà che da noi manca completamente. Gli attori arrivano in orario, tutti, e ognuno ha imparato la sua parte. Non come da noi, dove alcuni divi, e dive, terminano un film quasi senza aver letto il copione, recitando con un suggeritore alle spalle die gli dà le battute». Aveva parlato così rapidamente e con tanta foga che dovette appoggiarsi indietro sulla poltrona, tirando un lungo respiro.

In Francia Valeria aveva lavorato a fianco di Gérard Philippe, In «Gli anni che non ritornano», di Yves Allegret; la sua pronuncia francese era risultata tanto ineccepibile che non ci fu bisogno di doppiarla; cosi come aveva recitato direttamente in inglese in un film di produzione italo-americana diretto da Marc Allegret. Restò a Parigi un mese e mezzo, ogni mattina la macchina la portava dall'Hotel Lutetia agli stabilimenti di Neuilly, dove l'attendeva la troupe di Allegret. «Ho un ricordo molto bello di quel breve periodo», avrebbe anche voluto mostrarci delle foto riprese nelle strade di Parigi, ma in casa Moriconi non -esiste quella vecchia istituzione che è l’album di famiglia, «Gérard Philippe è l'attore con cui ho recitato più volentieri».

Il periodo d'oro di Valeria Moriconi non subì flessioni; neanche la crisi del cinema riuscì ad intaccarlo. «So bene che il cinema italiano sta passando un momento difficile», ci teneva a non essere fraintesa, «e non voglio certo dire che sia una prova contraria a questa crisi il fatto che io in soli nove mesi ho lavorato in sei film». Sembra proprio che questa ragazza tanto sicura di se stessa sia immune da ogni forma di vanità provocata dal successo. Quindici giorni fa il settimanale francese «L'Exprèss» pubblicò una fotografia di Valeria Moriconi, una foto dì scena che la ritraeva insieme con un altro attore; ma sotto, come didascalia, un redattore frettoloso, o poco fisionomista, aveva scritto: «Antonella Lualdi e Franco Interlenghi». Quando le mostrammo il giornale Valeria si limitò à sorridere divertita. «Si vede che non sono abbastanza famosa», commentò. «Ma lei crede che dovrei arrabbiarmi più io, o più la Lualdi?».

L’aspirazione forse più viva di Valeria è rimasta però finora inappagata. «Mi piacerebbe tentare il teatro», ci confidò, «ma aspetto l’occasione buona. Se allora mi rendessi conto che quella è la mia strada», sorrise al suono solenne di questa frase, «ebbene, ndh ci penserei due volte a lasciare il cinema». Aggiunse a voce più bassa, «Il cinema con i suoi milioni». Intanto Valeria è decisa ad andare avanti sulla strada che si trova attualmente a percorrere. Vorrebbe magari recitare sotto la guida di Luchino Visconti, il regista che ammira più di ogni altro, o insieme ad Anna Magnani, la sua attrice preferita. «Lei conosce bene la vita di Cristoforo Colombo?», era una domanda inattesa, ma Valeria tirò avanti senza aspettare una risposta, «E’ il personaggio storico che io ho sempre compreso meglio. Credeva fermamente che le sue opinioni fossero giuste e nessuno riuscì a convincerlo del contrario;, e anche se le sue opinioni non erano completamente giuste, riuscì egualmente a raggiungere risultati straordinari. Io al posto suo avrei fatto esattamente come lui».

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A Iesi Valeria e il marito tornano raramente, ma sono solo gli impegni di lavoro a tenere lontana l'attrice da quello che fu in parte il suo trampolino di lancio, con il modesto palcoscenico di una filo-drammatica di giovani. Ormai nessuno trova più nulla da ridire sulla scelta di Valeria, ì risultati si sono incaricati di rispondere alle più nere profezie. «La maggiore emozione della mia vita» disse «credo di averla avuta proprio a Iesi, poco più dì un mese fa». Eira stato annunciato in prima visione «Gli anni che non ritornano», é i cittadini di Iesi avevano pregato Valeria di assistere allo spettacolo. «Avevo da fare in quei giorni, c'era un film in lavorazione, ma decisi egualmente di andare. Eira anche un'occasione per respirare una boccata di aria di casa». Quando entrò nella sala, raccolse un applauso fragoroso; il pubblico levato in piedi le gridava auguri e frasi di saluto. «Proprio come in ima grande festa dì famiglia». Poi le caricarono le braccia di fiori e la condussero fino alla poltrona a lei riservata in prima fila. «E’ vero, tra quella gente che mi sorrideva e applaudiva ce n'erano di quelli che quando ero partita quattro anni prima per Roma, mi avevano gettato la croce addosso. Ma in quel momento li avrei abbracciati tutti, compresi loro. E avevo anche una gran voglia di piangere».

Paolo Pozzesi, «Vie Nuove», anno XI, n.31, 28 luglio 1956


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Paolo Pozzesi, «Vie Nuove», anno XI, n.31, 28 luglio 1956