Valeria Moriconi, dal bikini a Shaw

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«Il mio vero nome è Valeria Abbruzzetti». Sottolinea, come per dimostrare l’impossibilità di trasportarlo sui cartelloni:» Due ”bi”. due "zeta ", due "ti"». «Moriconi l'ho preso da mio marito», continua servendosi una porzione di carne cruda. E" seduta a un tavolo tondo, apparecchiato con tovaglia ricamata. Franco Enriquez ha pranzato più in fretta perchè dev’essere a teatro prima di lei. Valeria invece indugia, chiamando ogni tanto, col tono della perfetta padroncina di casa: «Firmina, per favore!». e dall'invisibile cucina appare una donna di mezz'età, dall'aria linda e — più che premurosa — protettiva: ma anche con quel qualcosa di timido di chi, nato in provincia, non riesce mai ad abituarsi alla città.

Anche nel l'appartamento, che dà in una piazzetta della vecchia Roma, aleggia un'atmosfera fuori del tempo. I mobili sono belli, ma tenuti senza il fanatismo dei neo-convertiti all'antiquariato; ci sono libri dappertutto, anche sui ripiani dei comò. Si avverte che gli abitatori preferiscono viverci secondo i loro principi di comodità anziché d'estetica. Invece che l'appartamento provvisorio di un’attrice e di un regista, lo si direbbe di notabili di provincia che se lo tramandano di generazione in generazione.

Il bisogno di vivere in case confortevoli e belle (questa è d'un'attrice che vive a Roma, assente per il momento), senza dover ricorrere all’impersonalità degli alberghi, sia pure per poche settimane, è il cordone ombelicale che tiene ancora legata Valeria Moriconi alla nativa Jesi, da cui parti, anni or sono, in un gesto di ribellione che aveva molti punti in comune con la Nora di «Casa di bambola»: unica differenza, il marito che la comprende e abbandona con lei la cittadina marchigiana.

I primi sintomi del «tralignamento», come lo definisce lei, dalle tradizioni notarili della famiglia, lo diede manifestando l'intenzione di iscriversi alla facoltà di scienze naturali, il che voleva dire, dopo il liceo classico, un bel po' di greco e latino buttato via. Però era un'inclinazione che aveva sempre avuta: da bambina aveva fabbricato delle gabbiette speciali per i ragni che catturava e ai quali portava mosche da divorar vive. Finito il liceo, si sposò con un giovane-bene di Jesi, Aldo Moriconi, industriale, proprietario di un lanificio.

Per un anno fece la moglie, eseguendo tutto quello che famiglia, parenti, benpensanti cittadini, giornali femminili richiedevano dal suo ruolo. Anche la confettura di frutta e le ciliegine sotto spirito. Credeva di farlo per naturale vocazione, invece si accorse che si trattava di una recita, e faticosa ogni giorno di più. Andò da suo marito e gli disse con semplicità: «Sai, Aldo, vorrei fare l'attrice».

Fatto più unico che raro — sono parole della stessa Valeria — il marito non diede in smanie, non la giudicò pazza, non si appellò ai suoceri perchè facessero tornare la ragione nella testa della loro figliola. Neanche le agitò davanti agli occhi lo spauracchio del - che cosa dirà la gente». Comprese i motivi della giovane moglie, tanto meglio perchè anche lui aveva altre aspirazioni che non mandare avanti il lanificio. Vennero a Roma, lei per diventare attrice, lui per fare il pittore. Entrambi ci sono riusciti ma dopo i primi passi, si sono separati, amichevolmente. «Debbo molto a mio marito -, continua a ripetere ancora oggi Valeria Moriconi. E si che a quel periodo, quando manifestò i suoi strabilianti propositi, fare l'attrice per lei non era ancora un modo di essere, ma piuttosto una parola con la quale riassumeva soprattutto l'intenzione di rompere con un ambiente convenzionale, immoto. - Allora non avevo ancora il sacro fuoco dell'arte». confessa Valeria.

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Adesso il «sacro fuoco dell'arte» c'è, e nessun dubbio che a infonderglielo sia stato il regista Franco Enriquez, con il quale ha recitato tanti e tanti lavori, alla televisione e in teatro, da non poterli contare più. Aveva cominciato invece col cinema. Il primo fu ¦ Gli italiani si voltano». Bruna e alta, una bella figura, viso intenso con grandi labbra sensuali, occhi nerissimi e un nasetto minuscolo che rompe capricciosamente la regolarità dei lineamenti. Valeria aveva tutta la presenza richiesta per i film vietati ai minori di sedici anni. Difatti, subito dopo, fu scritturata per «La spiaggia» di Lattuada. ed è persino superfluo precisare che tutte le sue apparizioni avvennero in costume da bagno, e piuttosto ridotto. Un film d'impegno fu «Jovanka e le altre». ma già allora Valeria aveva cominciato a muovere i suoi passi in teatro.

In questi pochi anni, non senza una gran forza di volontà e una profonda dedizione. Valeria Mariconi è riuscita a diventare l'attrice giovane più popolare d'Italia. Un contratto la lega da due anni allo Stabile di Torino. A Roma si trova appunto per una tournée della compagnia e contemporaneamente gira, sempre sotto la direzione di Franco Enriquez. la «Santa Giovanna» di Shaw che verrà trasmessa in televisione. Detto per inciso, la commedia che la tiene impegnata ogni sera è «Come vi piace» di Shakespeare. Non sono molte le attrici che collezionano in una sola giornata due autori del peso e della diversità di Shaw e Shakespeare. Curiosamente, in entrambi i lavori Valeria Moriconi dovrà indossare panni maschili. «E con un bel paio di baffetti in "Come vi piace"», dice divertitissima.

Le piacciono i personaggi solidi, dalla psicologia ben definita, che perseguono uno scopo o un'inclinazione senza perdersi per strada nei mille meandri dell'irrazionale. del dubbio, del forse che si forse che no. Lei ed Enriquez avevano avvicinato Marta Abba per avere i diritti di uno dei più pirandelliani drammi di Pirandello: «Come tu mi vuoi» (hanno poi finito per metterla in scena la Pro-clemer e Albertazzi), ma Valeria non si sentì di entrare nei panni di una donna che prima è una e poi diventa un'altra e ancora torna ad essere quella primitiva, lasciando a bella posta se stessa, gli attori che la circondano e il pubblico nel l'incertezza sulla sua vera identità. Anche per Giovanna d'Arco, dice che non le sarebbe mai riuscito d'essere la santa mistica, spirituale del film di Dreyer trasmesso recentemente alla televisione. E' molto più vicina a quella di Shaw perchè discute, dice le sue ragioni ai potenti della terra e molto meno assai all'Onnipotente.

Quando Valeria Moriconi non è così fortunata da trovare appartamenti amicali che le si aprono durante i suoi forzati vagabondaggi, il suo punto fermo rimane il camerino. E dice, quasi con sollievo: ¦ Noi attori di teatro abbiamo questo di bello, che in qualsiasi posto il camerino diventa la nostra casa. Se non ci fosse questo, sarebbe una tragedia». Per evitare la quale. Valeria si sposta da una città all’altra con la domestica Firmina dietro, che è di Jesi, la sua città. E fa e disfa bauli con i libri del tempo di Jesi. Ouando destate i teatri chiudono, è sempre nelle Marche che Valeria va a passare le vacanze. Le piace la gente perchè è onesta e schietta, i posti perchè sono quelli dov è nata e vissuta. Ouando si è in pace con se stessi e gli altri, quando si è ottenuto tutto quello che si voleva col prezzo del merito e della fatica, i ritorni diventano dolci e piacevoli. Soprattutto quando non c'è più nessuno a pretendere la confezione di marmellate come metro di giudizio di un'intera personalità.

Giovanni Gatti, «Noi Donne», 1966


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Giovanni Gatti, «Noi Donne», 1966