Virna di ferro
Dolce e fragile soltanto in apparenza la giovane attrice è una donna forte e risoluta. Fino dall’infanzia sapeva ciò che voleva: ora ha avuto tutto ma ha perduto il sonno e la pace.
Roma, novembre
Virna Lisi ha venticinque anni e un minuscolo neo sull'angolo della bocca. Questo neo è enormemente importante, per chi parla con Virna Lisi. Senza questo neo ci si perderebbe in una bellezza perfetta, cosi perfetta da non avere più alcun rapporto con la realtà, cosi astratta da non richiamare più nulla, neppure l'ammirazione. Fortunatamente, invece, c'è il neo: piccolissimo, grazioso, settecentesco, ma sempre un neo, come possono averlo tutti.
Del resto, tutto il resto, può averlo soltanto lei. Soltanto Virna Lisi può essere diventata attrice nel modo e col successo di Virna Lisi, può aver incontrato un marito come il suo, può aver avuto puntualmente, ogni giorno, tutto ciò che ogni donna del mondo deve limitarsi a sognare, per tutta la vita, come un'armonia irraggiungibile. Esistono donne giovani e belle. Esistono donne ricche. Esistono donne innamorate, ma infelici perché non hanno figli. Esistono donne che hanno figli, ma non sono innamorate. Oppure non sono amate. Molte hanno questa o quella fortuna: lei, Virna Lisi, le ha tutte, non le manca assolutamente niente, è arrivata alla perfezione. In questa perfezione non c'è più neppure il neo, il piccolissimo neo che trattiene il suo sorriso nel mondo di tutti.
Ma può esistere un caso umano così straordinario? E, posto che esista realmente, questa donna che dovrebbe essere incredibilmente felice è almeno soddisfatta? O invidia coloro che possono ancora desiderare qualcosa? Oppure, semplicemente, si annoia da morire?
La storia di Virna Lisi, per diciassette anni su venticinque, è stata una storia del tutto comune. «Sono nata ad Ancona, l’otto novembre del 1937. Dopo un anno e mezzo nacque Esperia, mia sorella. Dopo tre anni Ubaldo, mio fratello. La mia era una casa modesta, come tante altre. Mio padre aveva delle rappresentanze di liquori. Mia madre stava in casa a sbrigare le faccende e badava a noi bambini. Il primo ricordo preciso che ho della mia esistenza è la sirena di un allarme aereo. Una grande paura. Poi, la confusione di un trasloco. Mio padre venne richiamato poco dopo l’inizio della guerra, e prima di partire ci portò a San Marcello, un piccolo paese delle Marche dove eravamo al sicuro dai bombardamenti. A me dissero che papà sarebbe tornato presto, come quando andava via per lavoro, ma io non capivo perché si fosse vestito in quel modo e perché la mamma piangesse tanto. Allora scappai in camera mia, a piangere senza che nessuno mi vedesse: soprattutto ero certa di essere stata ingannata, e me ne sentivo profondamente offesa.
«Ma non sarebbe stato che il primo dolore, il primo di una serie. Senza il papà, la nostra vita era triste e anche difficile. Io ho avuto fame. Ho avuto una lunga e maledetta fame, e senza capire perché non ci fosse più da mangiare, visto che prima ce n’era. In quegli anni mia madre fece dei miracoli, che nessuno di noi. naturalmente, poteva capire o misurare. Noi avevamo soltanto fame e non potevamo che protestare presso di lei, perché i bambini hanno tutti i diritti, compreso quello di essere crudeli. Quando andai a scuola per la prima volta, mia madre mi disse che dovevo ubbidire al maestro, come se fosse stato il papà: e che il papà avrebbe saputo presto se mi ero comportata bene o male. A scuola fui molto ubbidiente, solo per questo motivo. Così passarono quegli anni strani e difficili: poi sentii dire che erano arrivati gli americani, che la guerra era finita, e un giorno tornò a casa mio padre. Mia madre non disse niente, lo abbracciò e si mise a Piangere. Allora mi sentii esclusa una seconda volta e me ne andai ancora in camera mia, naturalmente a piangere. Poco dopo Partimmo per Roma. Papà aveva stretto nuove amicizie e contava di avere migliori prospettive per il suo lavoro. Così ci trasferimmo a Roma, in un appartamento di viale Medaglie d’Oro.»
In casa Pieralisi (Lisi è un nome d'arte ricavato da questo cognome) la vita procede da quel giorno come se il tempo non fosse passato. Roma, in questi anni del primissimo dopoguerra, è diventata la capitale più gaia, più movimentata, più curiosa d’Europa: molti usi e costumi sono passati di moda, ed altri hanno preso il loro posto, come è successo alle targhe delle strade e alle statue della tramontata grandezza. Ma in casa Pieralisi, tanto più adesso che le bambine stanno crescendo, non si fanno compromessi. Alla domenica si va in chiesa, al venerdì si mangia pesce, tutte le mattine si va a scuola, tutti i pomeriggi si fanno i compiti, tutte le sere si va a letto presto. Il signor Pieralisi è un padre affettuoso, ma intransigente. La sua è una famiglia all'antica: tale è stata, tale deve rimanere.
Il carattere di Virna, quello a cui deve tutta la sua fortuna, si forma in questi anni e in questa disciplina. È un carattere forte, positivo, che accetta lealmente di ubbidire ma non rinuncia : sa aspettare il suo momento, e intanto sa precisare quello che vuole. La prima cosa che vuole è evadere, e questo è del tutto normale, specialmente in una ragazza. «Ma io non avevo alcun risentimento contro i miei», dice Virna. «Le altre vorrebbero semplicemente fuggire da casa per fare di testa loro, e sono sempre cariche di amarezza. Dicono, e lo dicono tante volte che alla fine ci credono, che nessuno le comprende. Penso che nessun padre sia stato più severo del nostro, e tuttavia ci ha sempre compreso: è stato così, anzi, perché sapeva che avevamo bisogno che fosse così. Ciò non toglie che io volessi vivere per mio conto, che desiderassi fare qualche cosa di mio. Frequentavo le scuole commerciali, e non giocavo mal fino a che non avevo finito i compiti, specialmente quelli di lingue. Sapevo che, con la conoscenza delle lingue, avrei potuto più facilmente realizzare quello che allora mi sembrava il massimo delle aspirazioni: diventare hostess. Però non ne parlavo con nessuno, e tanto meno in casa. Studiavo e basta: quello era il mio dovere.
«A quattordici anni», riprende Virna, «una mattina mi accorsi improvvisamente di essere molto bella. Non ci avevo mai pensato. Fu la mattina in cui indossai per la prima volta un soprabito marrone, in principe di Galles. Mia madre mi aveva pettinato con tutti i capelli sciolti e mi aveva messo due fiocchetti azzurri, uno di qua e uno di là. Salii sul tram come se fosse stata diversa da ogni altra mattina: ma ero diversa. C’erano dei ragazzi, e mi guardavano in un altro modo. A scuola, diventando tutto rosso, un mio compagno mi disse che voleva vedermi, ma non insieme con gli altri: lui solo, perché doveva parlarmi di cose molto importanti. A quell’età, credo che ogni ragazza conosca un giorno simile e che ne sia smisuratamente felice. Io non ero né felice né infelice, la cosa mi riguardava e non mi riguardava. Tornai a casa e mi misi a studiare la lezione di francese. Nel primo pomeriggio telefonò il mio compagno: mi fece molta pena, ma restai a casa a studiare. Io non ero la prima della classe, anzi nutrivo una decisa antipatia per tutti i primi della classe: però volevo riuscire, meglio che fosse possibile e nel tempo più breve possibile. Allora non potevo neppure immaginare che cosa stava maturando, proprio per me.»
Un giorno, infatti, accade il prodigio. A casa di Virna è arrivato il cantante Giacomo Rondinella, un amico del padre che torna a Roma dopo molto tempo. Rondinella rimane incantato dalla bellezza di Virna e immediatamente propone al padre di introdurla nel mondo del cinema, con la certezza che farà fortuna. Rondinella ha un nome piuttosto noto, e molte conoscenze: può essere l’inizio di una carriera magnifica. Il signor Pieralisi, come era prevedibile, reagisce duramente.
Il mondo del cinema è per lui, necessariamente, corruzione e rovina. Una ragazza, e per giunta una bella ragazza, non può entrarvi senza pagare l’ingresso, ed è un prezzo troppo alto. Il signor Pieralisi dice di no, assolutamente di no. Ma l’amico insiste. Anche la madre di Virna insiste. Comincia, nella vecchia casa, una lunga battaglia diplomatica che terminerà, sotto precise condizioni. con la resa del signor Pieralisi. La prima di queste condizioni è che Virna effettivamente sia tagliata per il cinema. «Se deve essere un lavoro», dice il signor Pieralisi, «deve essere un lavoro serio. Se no, niente.» Accompagnata dalla madre e dal padre, Virna affronta così il suo provino. Già gli operatori, mentre la ir (uadrano, sono entusiasti. Rondinella è raggiante, sente di avere scoperto una nuova stella.
«Mi dissero», racconta Virna, «di attendere una settimana. Però, dopo due giorni, venni a sapere che il provino era riuscito perfettamente e che mi avevano già affidato una piccola parte in un film, Napoli canta. Allora ebbi l'impressione precisa che quella sarebbe stata la mia strada e che con la scuola era ormai finita. Era venuto il momento di regalare certi piccoli conti che avevo in sospeso. Cominciai con lo sbattere la cartella sulla testa di una mia compagna, la creatura più antipatica che avessi mai conosciuto. Questo avvenne durante una lezione, e non dimenticherò mai la faccia del professore che continuava a ripetere: “Ma come, Pieralisi? Ma proprio lei?”. I buon uomo non poteva crederci, nessuno poteva crederci. Per tre giorni scandalizzai l’istituto, e la di rettrice mandò a chiamare mia madre, dicendo che dovevo essere impazzita. In realtà non ero impazzita: mi stavo solo prendendo qualche giorno di libertà dopo tanti anni di costrizione. Fra poco avrei cominciato a lavorare, in un mondo del tutto sconosciuto.
Quello che sapevo era che sarebbe stato un lavoro serio, nel quale avrei dovuto impegnarmi fino in fondo, con tutta me stessa.» Alla vigilia del debutto di Virna come attrice, in casa Pieralisi è il caos. Il padre e il fratellino, come tutti i maschi nelle circostanze decisive per le sorti delle famiglie, sono terribilmente ingombranti e vengono allontanati da qualunque stanza nella quale si trovino. La madre, che sente d'istinto di avere in qualche modo perduto sua figlia, ha gli occhi rossi. Con improvvisa paura avverte la responsabilità che si è presa nell'avviarla su quella strada che adesso le appare piena di vertiginosi pericoli. Virna si consuma in una attesa tanto più logorante quanto più le sembra necessario apparire tranquilla.
«L'unica ancora capace di connettere», racconta Virna, «era mia nonna. Era seduta alla macchina da cucire e stava preparando, ad una velocità indescrivibile, il corredo che mi era necessario. Per il mio primo film avrei dovuto indossare soltanto delle gonne e delle camicette: per mia nonna era stata un po' una delusione, perché si aspettava che un’attrice, anche agli inizi, dovesse avere un guardaroba maestoso e, soprattutto, sfoggiare piume e gioielli. Nonostante questo accettò bravamente la situazione e si impegnò a farmi le camicette più estrose e più graziose che si potessero immaginare. In seguito avrei avuto tanti vestiti, per recitare e per me stessa: tanti, ricchi ed elegantissimi, ma nessuno mi sarebbe stato più caro di quelle camicette.»
Il film, nei suoi limiti naturalmente, è un successo. I talent scouts che girano per le case di produzione in cerca di volti nuovi come i loro colleghi sportivi girano per gli stadi in cerca di fenomeni si accorgono immediatamente della ragazzina dai lineamenti incantevoli che sta recitando, senza che nessuno le abbia insegnato neppure a camminare, con molti errori, con molta approssimazione, ma con un formidabile intuito della scena. Virna non beve, non si vanta, non parla male di nessuno, non si monta la testa. Lavora. Finito il lavoro, quando gli ultimi vecchi leoni del cinematografo calano sugli studi in cerca di ragazze da invitare a cena, Virna saluta gentilmente e toma a casa. Quasi tutte le sere c’è suo padre ad aspettarla. Se no, c’è sua madre, oppure la sorella. È un caso eccezionale, quasi senza precedenti. La gente del cinema, appunto perché abituata a vederne di tutti i colori, se ne meraviglia. «Ma dove crede di andare, quella, con tutte le arie che si dà?», dicono i delusi. Ma Virna non si dà arie. Quando la si conosce, anche per poco tempo, è impossibile non ammetterlo.
È così che, a poco a poco, le porte inaccessibili del cinema si aprono alla giovanissima attrice: un film dopo l’altro, un'affermazione dopo l'altra. «Ebbi una quantità di soddisfazioni insperate, specialmente nel 1956, con La donna del giorno. Per la lavorazione di questo film andai a Milano, una città che mi piace più di ogni altra. A Milano decisi di passare al teatro. Fu il tempo dei Giacobini, con Strehler. Anche in questo campo ero del tutto nuova: e non avevo, d’altra parte, un'esperienza di cinema così approfondita da poter affrontare la prova con una certa sicurezza. Si può pensare, allora, che io sia terribilmente presuntuosa. Ma non è vero. Cerco di capire quello che vogliono da me, l’autore, il personaggio, il regista, il pubblico: e mi impegno, mi impegno con tutta me stessa. Questa soltanto è la ragione del mio successo. Io poi non credo che un attore debba dedicarsi esclusivamente ad un mezzo di espressione. Tutti sono validi, enuno riserva possibilità dierse. Per questo ho tentato anche l'ultima strada, la televisione: fu due anni dopo. nel '58.»
Da quel momento gli impegni di Virna Lisi si moltiplicano in modo impressionante: nel cinema, nel teatro, alla televisione, senza incertezze. Quando affronta la prova decisiva di La romagnola, nel dramma di Squarzina, ha già interpretato diciotto film, cinque lavori teatrali e dieci romanzi sceneggiati. È a questo punto, nel febbraio del '59, che accade una cosa imprevedibile. Virna, la ragazza di ghiaccio, conosce un giovane architetto, Franco Pesci. È bello, intelligente, ricco, simpatico. serio, innamorato: se una madre affettuosa e uno scrittore di romanzi per signorine dovessero immaginare il marito perfetto, il marito che esiste soltanto nella fantasia, non potrebbero aggiungere nulla alla realtà vivente che è lui. Franco Pesci. «Un uomo solido, positivo, un uomo sicuro e affascinante», confida Virna. «L’unico che potesse farmi pensare al matrimonio.»
Ci pensa quattordici mesi. Il 25 aprile del 1960, nella chiesetta di San Cesareo sull'Appia Antica, Virna Pieralisi diventa la signora Pesci. Da quel giorno milioni di donne seguiranno, sui giornali specializzati, le vicende del matrimonio perfetto. Verranno informate sulla splendida villa di campagna, in stile settecentesco, dove Virna, che ha rinunciato a fare l'attrice per essere soltanto una moglie, trascorre il suo tempo di fiaba. Poi, all'improvviso, il dramma. Al quadro della totale felicita non manca va che un bambino, e i bambino stava per nascere. Ma per una volta sembra che l'incantesimo sia spezzato: al quarto mese di attesa, tutto finisce. «Virna ritorna al cinema», annunciano i giornali, poco dopo. «La giovane attrice ha ripreso a lavorare per riempire le sue giornate, divenute vuote e tristi dopo la mancata maternità.» Le interviste si moltiplicano. La sera di Natale, Quando Virna riappare sui teleschermi nella parte di Cenerentola, in uno spettacolo Per bambini, tutte le mamme d'Italia hanno le lacrime agli occhi. «Virna vuole avere un figlio. Quando lo avrà, darà addio per sempre al suo lavoro», riferiscono i giornali. Intanto l’attrice ha ripreso in pieno la sua attività. Ancora 'deviatene, ancora cinema, ancora teatro. E finalmente, mentre sta girando Eva a Venezia, la notizia più importante di tutte: Virna aspetta ancora un bambino.
Questa volta tutto procede regolarmente. L’11 luglio di quest’anno, in una clinica di suore tedesche, nasce Corrado, un bimbo biondo, paffuto, con due meravigliosi occhi azzurri: la terza perfezione, derivata dalle prime due. Adesso Virna dovrebbe ritirarsi nella sua casa, scomparire dal suo mondo: ma non è più possibile.
«Non avrei potuto farlo», dice. «Io devo continuare a lavorare.» È difficile trovare un perché. Non ha alcuna ragione economica per farlo. E non è neppure così sfrenatamente ambiziosa da mirare a traguardi eccezionali. «Lavoro meglio di una volta, evidentemente. Ma non ritengo di essere una rivelazione. Cerco di fare tutto ciò che è possibile e conoscere i miei limiti.»
Stiamo parlando in un vecchio castello a un centinaio di chilometri da Roma, dove Virna sta girando un film. Sono le otto del mattino. Virna è tornata a casa da qui, ieri sera, poco prima delle nove, morta di freddo. Indossava un montgomery, due maglioni, un paio di calzettoni da sci del marito. «Avrei voluto fare un bagno e dormire, soltanto questo.» Invece ha dovuto vestirsi, truccarsi, andare ad una cena assoluta-mente importante. «Sono tornata a casa alle due. Il bambino piangeva. Ha avuto il raffreddore: adesso gli è passato, ma ha preso l'abitudine di farsi coccolare e ho dovuto restare con lui. Mi ha svegliata tre volte, durante la notte.» In queste condizioni, alle sei del mattino era di nuovo in piedi. Un'auto l’ha portata qui, non ha avuto nemmeno il tempo di far colazione. Beve un po' di caffè da un thermos, seduta su una cesta di vimini, in un orribile bugigattolo adattato a studio per i truccatori.
«Ho fatto tardi?», ha chiesto appena entrata. In un disordine indescrivibile vanno e vengono oscure comparse, assoldate per mille lire al giorno. Si siedono, si fanno truccare, si sentono enormemente importanti. Virna Lisi, invece. non si sente importante. È una donna che ha deciso di lavorare e lavora. Seriamente, caparbiamente, come il primo giorno, appunto perché non ne ha alcun bisogno, impegnandosi nella più incredibile prova di forza a cui una donna, apparentemente cosi fragile, possa sottoporre se stessa per vivere due vite inconciliabili con assoluta coerenza, al limite ultimo del possibile.
Per quanto tempo? Per chiunque altro sarebbe questione di mesi, forse di giorni: poi dovrebbe arrendersi e scegliere. Ma Virna Lisi non è mai stata come gli altri, in nulla, se non fosse che per quel piccolissimo neo, sull'angolo della bocca.
Giuseppe Grazzini, «Epoca», anno XIII, n.636, 2 dicembre 1962
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Giuseppe Grazzini, «Epoca», anno XIII, n.636, 2 dicembre 1962 |