Walter Chiari, un clown del nostro tempo
Walter Chiari è il più moderno attore comico che abbiamo oggi in Italia. La schiettezza della sua ironia e la malizia di cui è fatta la sua arte sono quelle di un clown, un clown senza maschera, tranquillo, elegante, corretto, con una carica di simpatia affatto artificiosa
Va annotato nel registro della simpatia il successo che immediatamente ha riscosso Walter Chiari con la sua riapparizione dinanzi al pubblico italiano, dopo qualche anno addirittura di assenza. di burrascoso vagabondaggio per altri paesi. Ed è significativo il fatto che Walter Chiari abbia oggi raccolto il successo presentandosi al pubblico in uno spettacolo per lui nuovo, e certamente ancora assai problematico, cioè lo spettacolo televisivo.
Indubbiamente la rubrica che Chiari regge alla Televisione, «La via del successo», non si basa su una «trovata» sensazionale: non è un gioco, né un complicato quiz. Il fatto stesso che a quella rubrica partecipino a volta a volta personaggi noti, in vesti dimesse, può essere guardato con un pizzico di gradevole sorpresa, ma nulla più. Ciò che sostiene la trasmissione — e gli spettatori se ne sono subito resi conto — è la forza di un attore come Chiari. Il quale oggi ha affinato notevolmente le sue armi, e si propone con doti di molta maggiore purezza che nel passato. Indubbiamente, tra i nostri attori comici, Chiari è quello che meno si lega alla tradizione, per cercare una strada personale, per creare un «carattere» nuovo: non è clown, non è pagliaccio, non è nessuna delle «maschere» tradizionali. Non indossa vestiti larghi e rattoppati, non si mette baffi finti, non calza la bombetta in capo. Quando si presenta al pubblico è vestito a suo modo, tranquillo, elegante, corretto. E il dialogo che comincia a intessere è sempre una sorta di conversazione da salotto. un continuo ammiccare amichevole, che porta con naturalezza alle battute, alle scenette, alle situazioni ridicole.
In altri paesi, in altri cinematografi, vi sono attori di questo genere, attori comici che son giovanottoni dinoccolati, tali da suscitare l’istinto materno nelle spettatrici: tali erano, in gioventù, i Cary Grant e i James Stewart, tale è Danny Kaye, al quale più facilmente il tipo di comicità di Walter Chiari si può avvicinare, per la straordinaria mobilità dell’espressione, e per il calore di simpatia di cui riesce a circondarsi: e, soprattutto, per quel suo puntuale intervenire sui fatti di costume, sui difetti degli uomini, con la rivelatrice ironia che è anche una delle caratteristiche del giovane attore americano.
Giovane è anche Walter Chiari: 34 anni, essendo nato nel 1924. E lui, che sembra il ritratto a tutto tondo dell’intelligente seppure un po’ svanito ragazzone milanese, non è nato a Milano, non ha ascendenti meneghini: i suoi genitori erano pugliesi, e il giovane Walter nacque a Verona. Si chiamava Walter Annichiarico, e probabilmente non era questo un nome da cartellone di rivista: più facilmente il ragazzo sembrava destinato ad una carriera bancaria, impiegatizia, se è vero che i nomi portano con sè un destino.
Ed infatti Walter incominciò a fare l’impiegato in varie aziende. Ma, poiché era forte e dotato di un fisico brillante, si dedicò anche a vari sport: nel 1939 egli fu addirittura campione lombardo dei pesi piuma.
Le tavole di un ring, tuttavia, non lo attraevano, come non lo attraevano le tavole di una scrivania. Walter giunse subito allo spettacolo, alle tavole del palcoscenico sulle quali oggi egli par muoversi come un pesce nell’acqua. Vi giunse, allo spettacolo, nel più normale e banale dei modi: cioè partecipando ad una di quelle manifestazioni che andavano in voga durante e subito dopo la guerra, e cioè le famose «ore del dilettante». Al Teatro Olimpia a Milano, in realtà si trattava nel 1944 di un «quarto d’ora», invece che di un’ora: un «quarto d’ora libero» durante il quale, dietro preventiva richiesta, chi voleva poteva andare a cantare le sue canzoncine, fare i suoi sberleffi, le sue contorsioni, dire le sue poesie, suonare la sua chitarra, o quante altre cose voleva fare.
Walter recitò degli sketch. In realtà non improvvisava davvero: erano sketch che sapeva a memoria, quelli stessi che esilaravano i suoi amici, quando li aveva inventati e continua-mente ritoccati per il loro gusto. Ma una cosa è esibirsi in una casa o in una trattoria ad una tavolata di gente che si conosce ed è pronta a sostenerti, e una altra cosa è affrontare il pubblico di un teatro, che pare stia a guardarti ostile, ad attendere malignamente un tuo passo falso per fischiarti e per farti precipitare.
Invece le cose andarono bene: e quel piccolo successo permise a Walter Chiari di entrare in una compagnia di riviste. Era una di quelle strane raffazzonate compagnie del dopoguerra: c’erano dentro ballerine della Scala e cantanti della RAI, fantasisti e guitti. Walter non era nessuno, lì dentro, poiché tutti gli altri si consideravano veterani del teatro. Eppure soltanto due anni dopo il giovane milanese di elezione aveva già il suo nome «in ditta», in una rivista con Marisa Maresca. La sua storia di poi è abbastanza nota: grandi riviste, quasi sempre con Carlo Campanini, che ora lo coadiuva nella «Via del successo», e poi le piccole riviste, «le riviste da camera».
A questo nuovo ruolo Chiari non era portato davvero da una crisi di popolarità, tutt’altro. Ma il restringimento del palcoscenico, il maggiore spazio dato alla parola nei confronti della canzone e della musica, tutto ciò era una esigenza del suo vero particolare talento comico: egli intendeva essere un comico «intelligente», intellettuale addirittura. E già il titolo della prima «rivista da camera» era significativo: «Controcorrente». Se non lo sorressero i copioni, se non ebbe la forza di approfondire, questo è un altro discorso, e non si riferisce soltanto a Walter Chiari, ma a tutto il mondo dello spettacolo italiano. E del resto, che forse al cinema non è avvenuto un fenomeno analogo ? Che cioè si sia insistito troppo, assurdamente, nel presentare un Walter Chiari schematico, come un giovanotto credulone e provinciale, timido e pavido, invece di scoprire quanto vi fosse di nuovo e sconcertante nel suo modo di esprimersi ? Ci voleva un uomo intelligente e acuto come Luchino Visconti, per scoprire in Walter Chiari vere doti di attore, e non solo di attore comico; il personaggio che Walter interpretò in «Bellissima» non era altro che la estrema conseguenza critica di tutte le sue «macchiette» di costume. Poiché Chiari non è solo un umorista: è soprattutto un attore e autore satirico, cattivo, pungentissimo.
Oggi, dopo una lunga assenza. egli ci riappare di nuovo nel corso di questa trasmissione televisiva, in tali panni. Al di là della simpatia che ispira, egli ci piace proprio perchè ogni tanto riusciamo a cogliere, nel suo sguardo, ironia e molta malizia. E la televisione, per sopravvivere, ha bisogno soprattutto di questo: di malizia, di autocritica. di frustate addirittura, che non si curino di levar la pelle. Noi diremmo che sarebbe opportuno farla finita con i ragazzoni dagli occhi ingenui e dalla aria di buoni figli di famiglia, che si presentano al teleschermo con la cartella del dettato sottobraccio.
La riapparizione di Walter Chiari ci piace soprattutto per questo: perchè porta un’aria nuova in uno spettacolo già vecchio. Perchè insomma, (a parte tutti i pettegolezzi che hanno accompagnato le sue peregrinazioni) almeno reca un pizzico di anticonformismo e un primo accenno di «libertà inventiva».
Tommaso Chiaretti, «Noi donne», 1958
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Tommaso Chiaretti, «Noi donne», 1958 |