Walter Chiari: «gioco la carta decisiva della mia carriera»
In questo articolo scritto a Nuova York, le confidenze artistiche e sentimentali di Walter Chiari. “Fra me e Ava tutto è finito. Con Mina è meglio essere crudeli. L’Alberghetti? Ma quando la piantano di farmi passare per un play-boy? io sono innamorato della mia solitudine”
Nuova York, ottobre
Molti mi domandano perchè sono venuto a lavorare in America, perchè quest’anno, anziché fare compagnia in Italia, ho accettato il grosso rischio di recitare a Broadway in una lingua che non è la mia, in un tipo di spettacolo che mi obbliga a cantare e a ballare, oltre che a recitare, dal principio alla fine. La risposta è molto semplice e onesta: perchè il mio dialogo con il pubblico italiano — dialogo che amo anche quando diventa alterco — era ormai diventato un monologo di cui conosco anche troppo esattamente la meccanica. Questo tipo di spettacoli può elettrizzarmi la sera della "prima” a Roma, a Milano, a Torino, ma poi basta. Ormai conosco tutto, mi permetto il lusso di cambiare le battute in scena..., non mi piace, non mi diverte più. E allora, proprio nel momento in cui sarebbe stato consigliabile per un trentasettenne come me, mettersi a fare il teatro con una certa fredda serietà — perchè si sa che il tempo sfugge e una certa simpatia che il pubblico ha verso i bambini, quando questi diventano grandi si trasforma in analisi, in critica poco indulgente — proprio in questo momento ho deciso di giocare una carta che può essere decisiva per la mia carriera.
Davanti agli specchi del costumista della compagnia, Walter Chiari bacia scherzosamente la mano ad Anita Gillette, una delle cinque interpreti femminili di ”The Gay Life”. L’attore italiano vi sostiene il ruolo di Anatole, l’uomo sul quale fa perno un divertente intrigo amoroso. Lo spettacolo è stato presentato giorni fa al Teatro Fisher di Detroit e, prima di affrontare il pubblico di Broadway, il regista Terry Freedman ne metterà a punto gli ultimi elementi durante una tournée in provincia.
Quest’anno, se fossi rimasto a lavorare in Italia avrei potuto fare quello che volevo, finalmente, perchè ho superato quel periodo, che tutti attraversiamo di amore per gli esperimenti, e sono arrivato all’amore per le cose sicure. Non per vigliaccheria ma perchè dopo tanti anni di tentativi si apprezzano i vantaggi delle formule sicure. Avrei potuto fare quello che volevo, però ho scelto il rischio di venire in America. Da questa esperienza posso anche uscirne rotto. E questo mi piace.
Durante il viaggio io sono morto. Mettendo piede a Nuova York sono rinato. Ma non so come: può anche darsi che sia rinato storpio. Questa insicurezza, questo tentativo di ricostruzione mi interessa. Qui rischio. Rischio la fatica, rischio di essere bravo come non sono mai stato, misurato come non mi è mai capitato di essere, esatto, calibrato. Rischio veramente di fare cose egregie che forse nessuno noterà perchè non c’è dubbio che il nostro pubblico è molto più attento, analitico, ha un senso preciso della critica anche se questa critica tira più verso la negazione che verso l’indulgenza. Per il pubblico italiano lo schermo è sempre grigio. Qui invece sono predisposti al colore, all’ottimismo e a un certo tipo di indulgenza che è un superamento della critica distruttiva. Se lo spettacolo che mi vede impegnato dovesse andare bene nonostante qualche mia lacuna so già che diranno: il Chiari zoppica, ma lo spettacolo è cosi bello!... In Italia invece si direbbe: lo spettacolo potrebbe anche andare, ma c’è quel Chiari... E’ così. Dicevo che qui rischio di essere bravo come non lo sono mai stato. Il fatto è che in America anche il balletto di un "musical” deve essere perfetto come quello della Scala, che le battute devono essere le stesse tutte le sere come se si recitasse ”L’assassinio nella cattedrale”. La dosatura fra coreografia, recitazione e canto è perfetta. Non c’è elemento che prevalga perchè lo spettacolo è creato sulla fusione di tutti gli elementi costitutivi.
Walter Chiari (eccolo davanti a una edicola) non ha avuto ancora molto tempo per sè. Soprattutto negli ultimi giorni le prove si sono susseguite a ritmo serrato, dalle dieci del mattino alle undici di sera con un solo intervallo di quaranta minuti. Il produttore della commedia è Kermit Bloomgarten, il cui nome è legato a ottime realizzazioni quali "Anna dei miracoli" o ”Il diario di Anna Frank”. Chiari si è sottoposto di buon grado alla dura disciplina. Questa è la sua grande occasione: vale infatti ricordare che, per il personaggio di Anatole che egli interpreta, fu fatto in un primo tempo il nome di Danny Kaye.
Dunque, sto lavorando con inconsueta serietà. E non ho tempo per niente altro. Una volta avevo le mie parentesi anche quando provavo. Qui no. Finisco alle undici di sera e sono stanco morto. Il lusso che mi permetto è quello di andare ogni tanto ad ascoltare un po’ di jazz, che e la cosa più genuina, più viva che l’America possa offrire. Alcune sere fa sono andato con Ava Gardner allo Stork Club perchè era il compleanno della sua nipoti-na e Ava voleva offrirle una serata diversa. Credo che Ava sia qui a Nuova York in vacanza, ma non so molto di più. Lo dico perchè so che molti muoiono dalla voglia di sapere se fra me e Ava... No, tutto è finito anche se siamo rimasti legati da un’amicizia molto affettuosa. E così spero di aver evitato ai soliti indagatori la fatica di inventare altre cose spiacevoli sul nostro conto. Hanno già inventato un romanzetto sentimentale fra me e Anna Maria Alberghetti. E devo dire che la faccenda mi ha urtato sia come uomo che come attore. Come uomo perchè si tenta di aggiungere un’altra pennellata al mio ritratto di play-boy. Io non sono di questa pasta. Le mie vicende sentimentali sono sempre state abbastanza lunghe e, lo so io, profonde e sofferte. Quando una relazione sentimentale comincia, ha una sua parabola e finisce, ha sempre delle conseguenze se chi l'ha vissuta è onesto. E io sono onesto. Per questo l’invenzione di un mio flirt con l’Alberghetti mi ha dato fastidio perchè io non sono il tipo che va a rompere le scatole al fidanzato dell’Alber-ghetti per fargli un dispetto o per farmi un po’ di pubblicità.
L’Alberghetti e il suo fidanzato li ho conosciuti qui a Nuova York in occasione di un party organizzato, per fare incontrare la troupe di ”The gay life” con gli attori che interpretano Sii altri "musical” in cartellone qui a Broadway. Questo incontro professionale che cosa diventa? Ascoltate: Chiari viene a Nuova York e soffre di nostalgia. Per che cosa? Per il caffè italiano, per l’espresso. E l’Alberghetti, materna, che fa? Mi offre il caffè. Dove?Nel suo appartamento. Io, ingenuo, vado, cado nella trappola (o è lei che ci cade) e così ci ritroviamo in pieno flirt, anzi: innamorati! Roba da sceneggiatura di quarto ordine. Poi, guardo le fotografie che dovrebbero confermare il fattaccio e vedo che sono dei fotomontaggi, riconosco benissimo un pullover che portavo cinque anni fa mentre provavo in teatro. Come attore, poi, che figura faccio? Sembro quello che, nel romanzo fra una collega e un giovane regista americano, cerca di inserirsi per farsi un po’ di pubblicità.
Renato, la controfigura che lo accompagna da alcuni anni, ha seguito Walter Chiari anche negli Stati Uniti. Questa volta però in qualità di segretario; l’attore non ha avuto infatti ancora bisogno del suo aiuto per eludere i fotografi, tecnica alla quale ricorreva in Italia. Eccoli qui mentre sì apprestano a entrare in un piccolo ristorante vicino a Times Square.
Poi hanno tirato fuori anche Mina che, poverina, non c’entra proprio niente, mettendomi nella condizione di passare per un vero cafone perchè naturalmente dicono che, mentre organizzavo quel caffè a casa dell’Alberghetti, Mina era qui e soffriva. Mina è passata da Nuova York con sua madre quando il party durante il quale ho conosciuto Anna Maria Alberghetti non era nemmeno nell’aria. Questa è la verità. Mina è stata qui pochi giorni, siamo andati con sua madre a cena a Chinatown e in un altro posto e poi non l’ho più vista. Perchè? Perchè sto lavorando, perchè è giusto che sia così. Bisogna essere molto onesti con Mina. E’ talmente aperta, esposta, alla ricerca di qualche cosa che è meglio essere crudeli. E adesso anche lei si sarà fatta l’idea che che mentre era qui. io anziché andare a provare trovavo delle scuse per non vederla e per andare a fare il cascamorto con l’Alberghetti.
Questa diffamazione continua mi ha danneggiato molto in Italia. Non voglio che mi perseguiti anche all’estero. Se non ho fatto in Italia tutto quello che potevo fare, la colpa è anche di questo quadro che mi hanno dipinto e che non corrisponde assolutamente alla realtà. Io passo per il povero ragazzo triste che ha bisogno di cure materne, un boy-scout invecchiato che soffre, non può essere lasciato solo, ha bisogno di affètto. No. Io sono il più splendido solitario del mondo. Quanto mi diverto quando sono solo non lo sa nessuno. E mi diverto anche nella mia malinconia. La malinconia è la mia pelle ormai. E ci sto benissimo. Intanto diciamo che non credo all’ultima corda dei violini eternamente gaia, fresca, allegra. Non ci credo. Dopo un po’ uno sente il bisogno di andare a suonare le corde profonde. La malinconia che cos’è in fondo, se non una forma di riposo, di distensione? Ma a queste cose nessuno è disposto a credere. Così come nessuno è disposto a credere che l’unica popolarità che cerco è quella professionale. E questa io l’ho avuta senza chiederla a nessuno.
Una immagine delle prove generali di ”The Gay Life” che si sono svolte al teatro Belasco; gli attori indossano copie dei costumi con i quali compariranno nello spettacolo; Chiari è a destra. L’attore italiano è di scena dalla prima all’ultima. battuta e ha solo cinque intervalli di venti secondi ciascuno per cambiarsi d’abito. Una fatica improba quando si consideri che egli deve anche cantare e ballare impeccabilmente, secondo lo stile di Broadway. Chi ritenesse che egli abbia tentato il gran passo attratto da forti somme è in errore; il suo compenso è basso: meno della metà di quanto avrebbe potuto guadagnare in Italia.
Io non sono mai andato a bussare a una porta per chiedere: per favore mi insegna a recitare? Oppure a chiedere: come si fa a fare il teatro? No, mi hanno pescato dagli spettacolini che facevo per gli studenti così, per affermare una abilità naturale, mi hanno portato, in un teatro dove ho avuto subito un successo al quale non avrei mai creduto e che, dopo, non ho mai nutrito con particolari cure. Lo sanno tutti. Mi chiedevano di fare una rivista? Benissimo. Un film? Vengo subito anche se al cinema credo sì e no. Ci crederò quando avrò la possibilità di interpretare un film nel quale potrò buttare dentro qualche cosa di mio che non sia la risatina, il muscoletto che si muove al momento giusto, cose che chiunque può fare. Finora mi sono capitate solo piccole occasioni. Ma sono le uniche che mi hanno dato soddisfazione. I critici inglesi, per esempio, hanno lodato la interpretazione del "newcomer” Walter Chiari in ”Bonjour tristesse”.
Ancora Walter Chiari mentre il sarto gli aggiusta gli abiti. Da quando si trova negli Stati Uniti egli ha cambiato casa già quattro volte. Dal dispendiosissimo Waldorf Astoria, a una casa-albergo, a ima stanza in società con il coreografo della compagnia, e infine, all’appartamento che Chiari ha fissato per tutto il periodo, dal 18 novembre in poi, in cui "The Gay Life” sarà sul cartellone del teatro Shubert a Broadway. La commedia musicale è una libera riduzione degli "Affari di Anatole” di Arthur Schnitzler. Prima di partire per Detroit, Walter Chiari ha cenato con Ava Gardner; ma è stato solo un incontro fra vecchi amici.
Ed era un piccolo ruolo, un ubriaco un po’ triste. Non avrei mai sperato che mi notassero. So che in Francia e in Inghilterra la scena sul fiume di "Bellissima” con Anna Magnani è considerata un modello di recitazione j e viene proiettata nelle scuole per attori. In Italia niente. Anche per questo ho deciso di tentare la carta americana. Come ho detto prima, salendo sull’aereo a Roma sono morto e scendendo a Nuova York sono rinato. Come? Storpio o dritto?
Walter Chiari, «Tempo», anno XXIII, n.41, 14 ottobre 1961 - Fotografie di Franco Fedeli
![]() |
Walter Chiari, «Tempo», anno XXIII, n.41, 14 ottobre 1961 - Fotografie di Franco Fedeli |