«Fermo con le mani!» l'esordio
Un film interpretato da Totò non può essere che un film di Totò sia pieno dal primo all'ultimo fotogramma. Questo è infatti il caso di "Fermo con le mani!" che l'irresistibile attore non soltanto riempie di sè dall'inizio alla fine, ma anche indirizza, guida, conduce. Chi legge conosce certo Totò, e non soltanto di fama. Lo conosce per averlo visto in una di quelle sue amabili riviste in cui lo sfondo e il filo conduttore - quando ve n'è uno - non servono che a dare un maggiore risalto alla figura del protagonista. O forse è il protagonista stesso che, magari senza volerlo, si sovrappone, grazie alla sua personalità, a quelli che dovrebbero essere gli elementi conduttori dello spettacolo e che divengono invece docili e pazienti strumenti della sua comicità prestigiosa.
Non più scopi ma mezzi. Lo scopo viene ad essere così lui, Totò, senza di cui lo spettacolo, per quanto elaborato e completo, diverrebbe cosa morta, sempre che dall'idea della sua partecipazione si prescinda. In "Fermo con le mani!" accade precisamente questo: che l'attore, fulcro di uno spettacolo necessariamente ordinato e tale da vivere di per sè quale in ogni modo deve essere un film, soverchia una vicenda, una cornice scenica ed un complesso artistico, tutti e tre di primissimo ordine.
Cominciamo dalla vicenda. Organica e sviluppata secondo la più rispettosa ortodossia cinematografica, ricca, oltre che d'un intreccio pieno di fantasia, di situazioni irresistibili e di trovate esilarantissime, essa, tuttavia, più che come un vero e proprio intreccio, più che come un'azione scenica da svolgere, fissata in termini rigidi e immutabili, si presenta come una serie di circostanze che sembrano scaturire dalla figura e dalla personalità stesse del protagonista. In altre parole il film che segue, come tutti i film e tutte le commedie, una precisa linea d'azione e di svolgimento, appare un po' come se si venisse creando man mano, secondo l'estro degli attori e lo spunto delle situazioni via via sorgenti e allacciantesi, come, in sostanza, se fosse recitato a soggetto. Ha in parte la fisionomia della Commedia dell'Arte, questo film, come giustamente la hanno tutte le creazioni sceniche di Totò, e par quasi sorprendere che alla fine questa nuova maschera comica non si presenti allo schermo a chiedere venia ai signori spettatori per non averli abbastanza divertiti e a spronarli benevolmente all'applauso. Invece il film termina come un bel racconto di fate. Totò ha deposto la sua fantastica mise e con essa la sua maschera. E' ormai un signore ed ha l'automobile. Al suo fianco non c'è la donna del suo cuore, chè Totò non avendone avuto una quando era povero dovrebbe, giustamente, essersela ora comprata. No, al suo fianco c'è Mirandina, la piccina strappata al vagabondo che la brutalizzava, e che darà uno scopo alla sua vita ed ai suoi milioni.
Ebbene, anche in questo finale che, apparentemente, sembra allontanarsi da quella che potrebbe sembrare la strada obbligata della vicenda, si afferma invece quella che ne è la precipua e superiore caratteristica: maschera e non clown, quanto è a dire carattere e non automa. Totò rimane coerente al disegno spirituale che ne informa azioni, parole, sentimenti. Un'improvvisa avventura d'amore a lieto fine si sarebbe come tutto il resto, perfettamente, inserita nel quadro del racconto, ma ne avrebbe indubbiamente deviato le linee fondamentali e - è il caso di dirlo - psicologiche. Anche qui, capovolgendo i postulati della tradizione cinematografica, il film ha seguito l'attore. E questa delicata e discreta comprensione della sua fisionomia - tanto più apprezzabile trattandosi di una fisionomia mutevole e corazzata contro... le indiscrezioni quale quella di Totò - non è, tra le sue molte qualità, una di quelle che si possono passare sotto silenzio.
Di qualità, abbiamo detto, il film è ricco. E più di una della stessa preziosa vena. Certo, non tutte sono così sottili e raffinate. Non dimentichiamo che siamo in presenza di una commedia e - bisogna aggiungere - di una commedia comica. Come tale, il film ha un'immediatezza di effetti, una spigliatezza di movimento, una freschezza d'invenzione che lo accomuna alle migliori realizzazioni del genere. E se Totò vi domina da signore, superando vittoriosamente ogni distacco tra attore e spettacolo questo - bisogna riconoscerlo - non ne ha proprio nessuna colpa, chè di rado si è visto, intorno ad un grande attore, un complesso di tanta notorietà e di tanta bravura. Erzi Paal è non soltanto bella, elegante, affascinante come il ruolo richiedeva e come non da oggi siamo abituati ad ammirarla sulle scene della rivista.
Il film le consente di essere qualche cosa di più di una bella donna e di una spigliata soubrette. Nelle vesti della protagonista ella ha campo di dimostrarsi attrice in tutto il significato della parola e di sfoggiare una recitazione intelligente e sottile, deliziosamente venata d'umorismo. Sono con lei Franco Coop, troppo noto ed affermato perchè sia il caso di farne ancora una volta l'elogio. Oreste Bilancia, pieno d'efficacia e di composta comicità nelle vesti dell'amante tradito. Tina Pica, l'applauditissima caratterista della Compagnia De Filippo che fa un debutto cinematografico pieno di promesse e infine Miranda Bonansea Garavaglia, il novenne "asso" della scena dello schermo e della sincronizzazione che ha finalmente un ruolo dove le sue triplici doti di attrice, cantante e danzatrice in miniatura hanno tutto il campo di rifulgere.
Il film - incorniciato da una leggiadra scenografia - è rallegrato da numerose, orecchiabili canzoni, alcune delle quali deliziosamente cantate da Erzi Paal e che, destinate ad una immediata popolarità, saranno un numero di successo di più per questo film che parte piazzato e vincente come pochissimi altri.
«Cinemundus», anno V, n.7, 20 febbraio 1937
«Cinemundus», anno V, n.7, 20 febbraio 1937 |