Volti nuovi per il cinema italiano: Totò

1969 Peppino De Filippo 1938

1939 04 05 CInema Illustrazione intro

Il mio primo incontro con Totò risale a parecchi anni fa. E fu a Firenze in quelle «Follie estive» dove si andava nelle serate più calde a vedere acrobati e «sciantose» e a bere un'aranciata, che conobbi il buffo napoletano. Ricordo che era con me Primo Conti che in quel tempo aveva preso una vera passione per il «caffè concerto» e disegnava o dipingeva ballerine, atleti e pagliacci con la foga stessa onde anni prima aveva disegnato o dipinto «nature morte». Quella sera il penultimo numero del programma lo teneva una bella e formosa cantante che roteando gli occhi e anche cantava a squarciagola “Straziami ma di baci saziami…”

E fosse il caldo o l’ acutissimo e snervante profumo delle magnolie o il ritmo e le parole della canzone, fatto sta che una leggera ebbrezza come se avessimo bevuto un bicchiere di vino troppo forte, saliva a imporporare i nostri volti accaldati. 

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Ma venne in buon punto la doccia fredda di Totò. Vestito di nero, magro in volto e allampanato, con un cappellino di quelli che a Napoli chiamano “da prevete”, in sulle prime Totò sembrava un personaggio funebre e quanto mai tetro cui, a mortificazione di tutto il pubblico, fosse stata data l'incombenza di chiudere, del clima di mortorio, uno spettacolo gaio e sfavillante di luci. 

Anche quel suo modo di camminare, di allungare smisuratamente il collo, le orecchie e il naso, quel suo corpo snodato che faceva pensare al viscido corpo di un verme, davano un senso di pena insieme e di disgusto.

Ma poi l'altro di una comicità istintiva e vulcanica, che si spandeva in trovate, lazzi, ghiribizzi e illuminazioni degni di una farsa «fliacica» e che facevano appunto a ricordare ai dotti quei poveri istriani della Magna Grecia, conterranei e progenitori di Pulcinella, quella gran vena comica che affiorava da tutti i gesti del funebre personaggio, conquistavano direttamente il pubblico che abbandonandosi a grosse risate voleva e rivoleva alla ribalta il magro e pallido Totò.

Rammento l'entusiasmo di Primo Conti al ritorno in carrozza per i lungarni deserti e illuminati, cui non avevo nulla Dopo la, sentendomi anch'io compiutamente conquistato. da quel giorno mi si Totò tra i grandi continuatori della nostra eccelsa tradizione Comica che risale ai Romani. molto vicino e forse, per certi lati, più in sù dell'indimenticabile Petrolini.

Non conosco, in Europa, un comico che oggi lo valga. Gli amabili francesi e i rigorosi inglesi hanno certo più disciplina di lui ma gli sono molto lontani quanto ad  estro e fantasia. In quelli avverti una borghesissima bene ordinata irradiazione; in Totò senti la forza primitiva e dilagante, fuor d’ogni legge e composizione, dell'accesa vocazione comica della gente mediterranea. Ho detto fuor d'ogni legge e composizione benché, in fin dei conti, anche il gioco comico di Totò finisca con l’avere le sue leggi e col sottostare, suo malgrado, a una precisa architettura.

Non guardatelo in certe sere nelle quali, stanco e sciatto, egli non riesce che a infastidirci con le sue entrate e uscite fuori tempo, con i suoi lazzi a vuoto e sui gesti osceni. In quelle sere Totò e all'altezza di quei soliti comici di un caffè concerto che pullulano in Italia e riescono bene o male a sbarcare il lunario Facendo ridere grossolanamente pubblici rionali. Ma guardatelo e ammiratelo invece nei momenti suoi più felici, quando l'estro, temperato dalla regola, rifluisce in bizzarre capricciose figurazioni degne di un incondizionato plauso.

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Ammiratelo, ad esempio, in quella Camera affittata a tre che Totò è andato man mano perfezionando, con ritocchi davvero magistrale, riducendola a cosa perfetta, senz’ombre di sbavature. Viene di pensare, assistendo a codesta farsa esemplare, piena, nel sorriso segreto, di sconsolata malinconia, vien di pensare a Charlot e per un verso a Buster Keaton. Ma a Charlot si pensa perché la sua arte è, in un certo modo, nell'aria; A Keaton per somiglianze lievi e tutte esteriori. In realtà Totò non assomiglia né all'uno né all'altro. E quando, ad esempio, dice la preghiera (con quella immensa mimica in cui si sente aleggiare la natura drammatica dell'italiano del Mezzogiorno), o quando si sbottona il panciotto di sotto in su (con quel rapidissimo e inimitabile gesto), Totò non solo è artista autentico ma nel suo ambito inarrivabile. 

Che cosa gli ci vorrebbe per diventare un perfetto creatore di situazioni comiche che vincessero il tempo e le contingenze inserendosi nell'arte di oggi e di domani come veri capolavori? Consigli qui non se ne danno. E ad ogni modo sarebbe difficile darli ad un artista come Totò istintivo e disuguale quant'altri mai. Ma nella linea della Camera affittata a tre, approfondendo e disciplinando il suo gioco, e gli può fare grandi cose. Il giorno che, lasciate da parte certe grossolane e improvvise invenzioni che il diavolo gli detta dentro, Totò risalirà alla più limpida e pura fonte della sua arte elementare e insieme profonda, quel giorno avremo altra materia, è importantissima, per continuare il nostro discorso.

Oggi salutiamo in lui uno degli ultimi e gloriosi dispensatori di allegria, in questo grigio mondo e di ridere a così poche occasioni, e a ridere non riesce quasi più. L'ammirazione, ve  l'assicuro, non mi fa velo. Ad ogni modo vi esorto ad andarlo a vedere: saranno, ve ne do la mia parola, due ore tra le meglio spese.

Adolfo Franci, «Cinema Illustrazione», anno XIV, n.14, 5 aprile 1939


Adolfo Franci, «Cinema Illustrazione», anno XIV, n.14, 5 aprile 1939