Varietà: Totò al «Valle»
Da qual prodigioso burattinaio sia stato costruito questo curioso fantoccio animato, tutto sapido dì lazzi e sberleffi che hanno il mordente della satira, dotato di una maschera comica ridotta a pelle, nervi ed osso, ma talmente espressiva da sembrar creata di un artefice strambo, desideroso di realizzare plasticamente la quintessenza del l'espressione pura; questo pupazzo disarticolato nella inarmonica e caricaturale figura fisica, al punto di sovvertire le più elementari leggi anatomiche, non sappiamo. Certo ci sembra oggi la figura più significativa del teatro di rivista italiano: qualche cosa di mezzo fra il mimo, la marionetta, il macchiettista ed il vecchio e glorioso Pulcinella del Teatro San Carlino, fusi in un tipo nuovo, modernamente paradossale, che forse tutti li rammenta, ma da tutti si distingue.
Totò è tornato al Valle, dopo un lungo e — ci dicono — trionfale periodo di permanenza in A. O. I., con la Compagnia rinverdita di nuovi elementi, presentando una spassosa rivista di cui egli stesso è l'autore, Tra moglie e marito, la suocera e il dito.
Tutto l'intreccio è nella narrazione dei guai che il disgraziato Getullio Indivia, pur avendo vinto alla Lotteria di Tripoli una bella valigia zeppa di milioni, subisce per colpa di tre indemoniate arpie: moglie, cognata e suocera, fino ad essere costretto a fingersi pazzo furioso, per riacquistare così l'autorità coniugale. Motivo — come si vede — non peregrino, ma svolto e soprattutto interpretato da Totò con arguta sensibilità e coloriti contrasti comici, ottimamente coadiuvato da Passarelli, attore intelligente che sa valersi di una recitazione naturalmente efficace.
Passiamo in rapida rassegna lo stuolo delle avvenenti soubrette: bellissima Olivia Fried, che ha guadagnato in fascino femminile quanto ha perduto in abbondanza di forme (ed ha perduto molto). Ci è sembrata in deciso miglioramento, come donna e come artista, Bea Vary, più che come subretta ci è piaciuta nel suo vecchio ruolo di maliziosa ed abile ballerina. Apparve squisitamente elegante quando ravvivò la sua bionda grazia, con una festosa acconciatura spagnola, anche se aveva prima deluso i suoi ammiratori, indossando una lugubre e modesta marsina a maglia nera. Anna Vongi fisicamente possiede il fascino esotico di una statuina giapponese, fascino che ella accresce e quasi esaspera con le malizie di una sapiente truccatura. Artisticamente, possiede pregevoli mezzi vocali. Vorremmo in lei un maggior senso di misura, vorremmo che evitasse le inutili note sopracute, le gigionesche ed arbitrarie cadenze e fiorettature, specie là dove il compositore non si è mai sognato di scriverle.
La giovane Vongi ha un notevole temperamento interpretativo ed abbiamo fiducia nelle sue istintive qualità che deve sorvegliare e potenziare naturalmente, senza) stemperarle in una soprastruttura artificiosa.
Le due prime danzatrici, Elias Cappellini e Janka, partecipando al coro delle ragazze, ma esibendosi poi separatamente, la prima in una suggestiva danza orientale, e la seconda in una orgiastica cucaracha, hanno fatto il possibile per convincerci di quanto sia più facile essere delle leggiadre soliste, quando il dèmone della danza invade corpo ed anima, che non modeste ballerine di fila, disciplinate ed attente. E ci sono perfettamente riuscite.
Allestimento scenico e costumi, sufficientemente decorosi. L’orchestra del Maestro Frustaci ha avuto lievi indecisioni, nel difficile compito di seguire le geniali improvvisazioni comico-musicali di Totò e le meno genali fantasie di qualche cantante, che divideva i tempi così, alla buona, senza preoccuparsi troppo degli aurei insegnamenti che Pasquale Bona impartisce nel suo Metodo di solfeggio
Nino Capriati, «Film», anno III, n.19, 11 maggio 1940
Nino Capriati, «Film», anno III, n.19, 11 maggio 1940/strong> |