Ehi, della Gonda, quale novità?
Dove il titolo c'entra solo fino a un certo punto con Totò e De Filippo...
La comicità di Totò sfugge a una definizione che non sia vaga e approssimativa. Comunque ti appaia, vestito da guerriero antico o semplicemente da Totò, D'Artagnan o Gagà, Orlando Innamorato e Furioso o mordace travet in un ufficio di censura, bandito o gentiluomo, personaggio della storia o passante della vita d'oggi; neanche per un attimo possono esserci dubbi, le corazze, le divise, le armi e ogni altro ingrediente non hanno valore, ti leggono rapidamente alla vista, i cachinni, i lazzi, le bizzarrie, le estrosità, le buffonerie, le trovate, le improntitudine, l'euforia, la felicità, il trasporto del mimo sopraffanno, annullano ogni altro motivo, ogni orpello, ogni altra trovata spettacolare.
Totò è sempre, e più che mai Totò: soprattutto quando esigenze del copione indurrebbero a pensare che si sia voluto costringerlo nei panni e negli schemi del protagonista di determinate avventure. Ogni congettura, in questo senso sarà presto delusa. Inafferrabile come un fantasma, Totò scompare e ricompare con altre vesti e altre intenzioni: la voce della platea lo ha richiamato alla sua realtà. E la sua forza ricomincia, antica e nuova nello stesso tempo. Totò ha il dono, il privilegio del perfetto stato di grazia, nella luce della ribalta, palpita il suo estro, si attenua, si dilegua e incessantemente, risorge come prodigiosa fenice nelle ceneri dell'applauso, dell'ultimo eco d’ilarità, dal fruscio estremo, dell'attimo naufragato nel fumo e nell'elettricità della platea. Totò ha il segreto da apparire sempre fresco inedito: e senza mai ingegnarsi di mutar pelle come i serpenti e i gerarchi; e nemmeno di forzare, malauguratamente, la sua natura. I mondi di Totò sono lontani e metafisici.
Egli non raccoglie l'eco della strada per rilevare proteste o farsi una un'arma di difesa davanti agli attacchi più forti. I suoi personaggi non esprimono rammarichi, non narrano terrene disavventure, non cantano per tristezza o per rabbia, non ridono per celare l'interna malinconia. Della vita quotidiana, dell'esperienza del marciapiede essi non recano con sé che il ricordo di piccole, trascurabili conseguenze, non sono i portavoce che di qualche frase più memorabile, di qualche assillante aforistico ritornello, di certe popolari cacofonie, di venerandi luoghi comuni.
E tutto questo naturalmente, avranno assume importanza, a tempo e luoghi opportuni; quando parole grevi e proverbi ammonitori, e grani di sapienza, e vocaboli del suono affascinante saranno messi a contatto con l’espansivo brio, con l'incontentabile dinamismo, con la marionettistica agitazione dell'attore. Ecco la genesi, la giustificazione di certi memorabili successi, di certe riuscitissima e contaminazioni. Ecco le travolgenti, assurde, fragorose farse dove l'azione si svolge tra la terra e il cielo; epoca presente, passata, avvenire; protagonista Totò, centauro, chimera, lupo mannaro, illusionista, prestigiatore, piovuto dal cielo come un dono di Natale, balzato su dalle viscere della terra come una polla sensibile agli affanni del rabdomante; atteso e festeggiato messaggero della fantasia.
Questo è Totò, e questi i suoi reami che, tuttavia, con quelli di Carlo V non hanno in comune il privilegio del sole che non vi tramontava mai. Oltre i confini del suo estro, della sua intima iniziativa, e della sua portentosa personalità, a Totò non dovrebbe essere consentito di effettuare, impunemente, sortite, come alla guarnigione di una fortezza assediata punto le luci della ribalta sono volubili e ingannevoli. Il cuore della platea, qualche volta, è facile all’acremonia e all'oblio, nel suo petto d'entusiasmo non sempre ribelle con puntualità, come nella miracolata ampolla il sangue di San Gennaro.
Ma l'ispirazione brilla e veglia sull'istinto di Totò, come la buona stella nel cielo dei marinai; e anche quando accenni e motivi diversi sembrano unirsi nell'aria, state sicuri che il minimo, alla fine, non cederà, ogni infido richiamo è destinato a restare senza eco e ripercussione. Totò, scrollato di dosso ogni imposta montatura, e possibilmente anche decorazioni e titoli cavallereschi e nobiliari, tornerà a essere sè stesso, riuscirà sempre a fuggire da ogni convenzionale costrizione come uno spirito felice burlone su dalla cappa del camino.
Così, nella sua nuova rivista Un anno dopo, al Quattro Fontane, dove ora tra quadri, per altra natura broccati e fallei - Totò fa numero a sè stante, irrompendo, secondo il suo solito, con pittoreschi abbandoni, con echeggianti lazzi, con onomatopeici cachinni; col gioco incessante sicuro della sua mimica risaputa; alla quale - nello stesso spettacolo - contende, e non senza successo, la palma di divertente e affiatato trio Bonucci-Benti-Caprioli.
Mercutio (Vincenzo Talarico), «Star», 16 giugno 1945
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Mercutio (Vincenzo Talarico), «Star», 16 giugno 1945 |