Ha ragione Totò: il movimento pendolare del mento snodato è la forza di Totò
Totò non è di quei comici che affatichino e disorientino il pubblico, ogni volta presentandoglisi —, liberi da qualsiasi formula — in veste nuova, con modi nuovi, con idee nuove, costringendolo così ad uscire da quell’inerzia mentale consueta delle platee di tutto il mondo. Totò è di quei comici d’animo mite che non si permetterebbero mai di guastare a questo modo la digestione della propria affezionata clientela, la quale appunto gli è così affezionata perché sa bene, adagiandosi nella poltrona, che passerà tre ore facili e tranquille, senza il minimo rischio di pericolose avventure mentali: ci sarà il balletto, ci sarà l’Italia in costume da ciociara che in versi martelliani metterà a posto, applauditissima, l’America, l’Inghilterra e la Russia, e poi apparirà Totò il quale, incastrata la testa tra le spalle, saluterà la platea imprimendo l’ormai famoso movimento pendolare al mento snodato; la puntuale, enorme ilarità destata dal qual movimento non si spiega soltanto con la pur valida ragione dell'annosa abitudine, ormai divenuta ferrea convenzione, stabilitasi tra attore e platea, ma soprattutto con l'attesa che, acuendosi durante i quadri preliminari, fa si che il pubblico, alla vista, finalmente, di quel movimento pendolare o già visto e rivisto, o visto per la prima volta ma natogli attraverso le descrizioni e i racconti, rida non tanto per esso quanto per un punto d onore, cioè per non confessare a sé e agli altri, rimanendo serio, di aver atteso il movimento pendolare con una intensità sproporzionata all'oggetto.
Tutto il successo di Totò è fatto di queste attese, tutto il favore di cui gode presso il pubblico è fatto della ripetizione, talvolta invocata a gran voce, delle due o tre frasi e dei quattro o cinque particolari atteggiamenti nei quali consiste il suo repertorio. Tutto di lui è gioiosamente previsto : si sa che al tal punto, approfittando della sua speciale conformazione somatica, si snoderà come un serpente, che al tal altro allungherà il collo fino all'inverosimile, che alla tal domanda risponderà con la tal battuta, e che, ghiotto boccone, c'è sempre, in ogni sua rivista, il momento in cui uno dei personaggi che gli servon di spalla pronuncerà la parola piscina alludendo, naturalmente, alla grande vasca per bagni e nuoto.
A questa parola, che per Totò è come il topo per il gatto, cominciano le risate prima ancora che egli intervenga a lavorarsela da maestro, come soltanto lui sa fare. Gli spettatori, elettrizzati, si danno di gomito, si guardano strizzando l’occhio. I mariti sussurrano all'orecchio delle mogli: "Capisci? Lui è nell’equivoco: crede che piscina non significhi già ecc., bensì... Sta attenta; non perdere una parola, qui è grande", e tutto si potrà dire di Totò tranne che abbia mai deluso, da vent’anni a questa parte, tanta aspettativa.
L'abbiamo riveduto, sere fa, al "Nuovo", nella rivista «C’era una volta il mondo» già rappresentata con successo, l'inverno scorso, nel medesimo teatro. Ebbene, c’era il medesimo pubblico, e Totò ha ripetute le medesime parole e i medesimi gesti, sì che pareva non di assistere alla ripresa d’un lavoro teatrale, ma a quella di una pellicola, e la platea ha riso il medesimo numero di volte sempre al medesimo punto. C'è stato un istante in cui qualcuno, per errore, ha riso per una scena la quale non era né consueto né previsto che dovesse iar ridere; ma s'è prontamente ripreso e, passato l’inevitabile momento di sconcerto e d’imbarazzo, tutto ha ripreso ad andare regolarmente con grande soddisfazione della platea e del comico ormai legati da un patto che ambo le parti si sono solennemente impegnate a rispettare.
C'è chi dice che la colpa è dei copioni, che gli autori non hanno fantasia, che nessuno sa scriver parti o inventar soggetti degni delle doti e delle risorse di Totò; il che potrebbe esser vero se noi avessimo mai veduto Totò, alle prese con un copione scadente, animarlo e trasformarlo con variazioni, trovate, invenzioni che vadano oltre le solite contorsioni, le solite smorfie, i soliti doppi sensi la cui volgarità non ci prenderemo davvero l'inutile compito di criticare, visto che più son grossi e chiaramente spiegati al popolo — si che li possano capire anche i dodicenni — e più piacciono.
Totò fa bene a continuar per la comoda strada che tranquillamente percorre da anni : ha un suo enorme pubblico che non gli chiede di rinnovarsi, anzi, al contrario, di cristallizzarsi sempre di più si da permettergli di ridere automaticamente quel dato numero di volte diviso in parti uguali fra il primo e il secondo tempo della rivista, e giustamente, a chi, come noi, gli movesse critiche e appunti, potrebbe rispondere: "Perché dovrei cambiar strada? Cosi come sono, io piaccio al pubblico, cosi com'è il pubblico piace a me, e per contentare i critici dovrei turbare questa corrispondenza d'amorosi sensi che fa di me il comico più popolare e del mio pubblico il pubblico più soddisfatto?”.
Al che, non avendo nulla da obiettare, non ci resta che dargli ragione.
Giovanni Mosca, «Oggi», anno IV, n.26, 27 giugno 1948
Giovanni Mosca, «Oggi», anno IV, n.26, 27 giugno 1948 |