Pioggia di croci e commende sulla democrazia
Ordini equestri, polemiche sulla loro giuridica e storica autenticità, Gran Maestri ed insigniti: tutto un mondo turbina in questo impalpabile pulviscolo d'oro, d'orpello e di vanità. «Non vogliamo più cavalieri, commendatori, grandi ufficiali, gran cordoni!», urlano i «progressivi». «Vogliamo croci, commende ecc.!», implorano larghe aliquote di uomini, decisi a mantenere i piedi ben ancorati a questa benedettissima terra.
Don Francesco di Borbone, Duca di Siviglia, pretendente cartista al trono di Spagna distribuisce onorificenze per sovvenzionare — finché l’Haganah e la legione Araba lo permetteranno — i lebbrosari palestinesi, S. A. R. il Duca di Windsor elargisce diplomi del Sovrano Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (di Malta) quale capo della Branca Inglese del medesimo. Altrettanto fanno per la giurisdizione greco-ortodossa, S. A. R. I. Vladimiro Romanov: Otto d'Absburgo per la Branca di Brademburgo: S. A. Serenissima Ludovico Chigi Albani, per il Priorato di Roma: S. E. il Presidente del Puerto Rico de la Seday Sierra, per la Branca portoricana; i Litta, i Galitzin, i D’Anjou-Durazzo per i ditti relativi a Commende minori.
Per quanto lo riguarda, Sua Altezza Reale ed Imperiale Don Marziano II Lascaris Lavarello Flavio Commeno, pretendente al trono di Bisanzio nonché a quelli di Slavonia, Ronania, Bosnia, Dalmazia, Dacia, Dioclia, Trebisonda, Toplitza, Albania, Dardania, Croazia, Grecia, Turchia, Bulgaria, Gerusalemme, Cipro, Armenia, Bitinia, Asia Minore, Nicea, costudisce sulla superficie dorata di un piccolo trono issato in un angolo buio di una vasta sala del piano attico di via Piemonte 101, il ricordo di 15 secoli di propria storia imperiale.
Per quanto lo riguarda, questo ventottenne imperatore da quindici secoli in esilio, regola la vita della Branca di Chateauneuf-Provenza dell'Ordine Sovrano di San Lazzaro di Gerusalemme, nonché quella dei varii ordini familiari confluiti per diritto insopprimibile di eredità nelle sue mani negli ultimi anni.
Gran Maestro di più ordini costantiniani, ora egli risulta il supremo reggitore dei due massimi sistemi cavallereschi della Milizia Aurata d’Oriente e di Santo Stefano, dopo che di simile peso si alleggerì, lasciando questa valle di lacrime, nel gennaio 1948, Nicola Nemagna Paleologo, collaterale di Don Marziano lI.
Un Gran Maestro di ventotto anni, il quale indulge alle cose raffinate, predilige la poesia ermetica, accondiscende al surrealismo, si sprofonda — o supremo fascino di un anacronistico. nietzschianesimo! — in un sogno di universale anarchia.
Mentre la polemica intorno all'autenticità delle sue pretenzioni dilaga per quotodiani ed ebdomadarii, Don Marziano II si accontenta di proclamare il carattere storicamente familiare dei propri Ordini alla medesima stregua di quanto sono andati per secoli facendo i Savoia (Ordine di San Maurizio e Lazzaro, Ordine dell’Annunziata), i Borboni di Spagna (Ordine del Toson d’Oro). i Petrovic-Niegosc (Ordine di Danilo I di Montenegro), i Romanoff (Ordine di Sant’Andrea di Russia).
Mentre pubblicazioni si schierano a sua difesa ed altre accesamente lo attaccano, Don Marziano II scrive la storia della propria «gens», ne raccoglie gli stemmi, risponde al Principe Don Antonio de Curtis dei Griffi Focas — in arte «Totò» — che rivendica per sé, a seguito della surricordata morte del Nicola Nemagna del Kaponic, il Gran Magistero dell'Ordine Costantiniano di Santo Stefano.
Il mondo intorno induga sul segreto della vita di Don Marziano II ed egli non degna neppure raccogliere l'arrischiatissima sfida del signor Paule Paléologuc, cugino di Maurice ex-Ambasciatore di Francia presso lo Czar ed affatto discendente dei Paleologhi di Costantinopoli, a porre in lizza i propri titoli imperiali contro le richieste di questo ultimo pretendente francese.
Don Marziano II, raduna cose d'arte, fonda orfanotrofi sul Lago di Losanna, a Terrhet, ritma endecasillabi dannunziani, dipinge somigliantissimi ritratti di Pontefici e di gran dignitari della Chiesa, riceve commissioni di sudditi onorari del suo regno in esilio, declama agli intimi Verlaine, Apollinaire, Saba, Montale, Ungaretti, Cocteau.
Egli dedica le prime ore di lavoro della sua giornata regale all’esame della stampa che lo riguarda, cura i propri interessi dinastici, ascolta le dispute degli araldisti conte Arnone e Duca di Lepanto. E' in possesso di un interessante autografo di S. S. Pio XI. Da questo risulta come il 23 aprile 1931, il Papa rivolgendosi all'Imperatore Padre, cosi lo chiamò:
«Principe e diletto e Figlio Don Prospero Godeardo II Lascaris Lavarello Ventimiglia Basileus titolare di Costantinopoli, Gran Maestro dell'illustre Ordine della Milizia Costantiniana Aurata d’Oriente... ».
Ventimiglia, Costantinopoli: quindici secoli di gloria, di vassallaggio, di indipendenza, di esilio, finiti su questo trono stile Luigi Sedici, relegati all'ombra di mucchi di timbri, ai bolle, di sigilli, di diplomi, di brevi appesi ai muri, torno torno ad un vasto «Buchera» e ad una funebre massiccia pelle di orso nero. Cavalieri, Commendatori, Grandi Ufficiali, Gran Cordoni, Balì, Gran Balì nati in queste stanze, tra aquile bicipiti dipinte alla brava sui muri, tra doppleri di peltro e d’argento, tra maioliche e porcellane della miglior tradizione europea ed orientale.
Il silenzio domina dignitosamente questa minuscola reggia, tranquilla nel ciclone degli ordini equestri pullutati alla primalba di repubblica e ognor pronti a rinfacciarsi l'accusa d'ultimo venuto nel mezzo della storia della Cavalleria.
Ma il pallido esteta Don Marziano II non cura il clamore degli uomini. Ha trasportato in California la sede legale del proprio Ordine, continua a raccogliere gli antichi introvabili testi che ne descrivono le glorie. Fuori, piomba tambureggiante sugli uomini la grandine di croci e patacche per cui, tra le altre, andrà celebre questa nostra picaresca democrazia.
Giorgio Visconti, «Tribuna Illustrata», 16 maggio 1948
Giorgio Visconti, «Tribuna Illustrata», 16 maggio 1948 |