Antonio de Curtis, l'uomo che non ride alle recite di Totò
È il principe De Curtis, che va ogni anno a baciare il piede di Sant’ Antonio.
Molti uomini hanno due vite, una segreta ed una pubblica e generalmente non vogliono che si facciano mescolanze tra l'una e l’altra. E' anche il caso di un attore del teatro comico italiano. Da una parte c’è dunque Totò, da poche sere signor Adamo Radioattivo dei duchi di Bandone nella nuova rivista «Bada che ti mangio», dall’altra c’è Antonio De Curtis Griffo Focas, principe imperiale di Bisanzio, di Cilicia, di Macedonia, di Tessaglia, di Ponto, duca di Cipro e di Epiro» conte di Drivasto e di Durazzo, nobile cavaliere del Sacro Romano Impero. Come tutti oramai sanno dovrebbero essere la stessa persona. In realtà a confonderle, anche per un attimo soltanto, c’è da cadere in un brutto pasticcio, scontentando il comico Totò ed il principe De Curtis. «Capirà, ho fatto il militare a Cuneo per tre anni», dice sulla scena Totò; ma l’altezza imperiale dice: «Non confondiamo, bisogna tenere le cose ben separate».
Osservate quando Totò entra, in una sera di spettacolo, per la prima volta in scena. Di solito egli appena appare, si ferma, guarda il pubblico e sorride. Quel sorriso, che dura un istante, ha grande importanza.
Non è fatto per furbizia d’attore verso la platea, non nasce da un espediente di scena. Quel sorriso ha valore soltanto per il principe Antonio De Curtis ed in quell'attimo, senza che voi ve ne accorgiate, avviene la trasformazione. «Come è sicuro di sè», pensa la gente, ed i timidi lo invidiano. Nella vita d’ogni giorno se al principe Antonio De Curtis tocca entrare nell’atrio di un albergo od in un qualsiasi luogo affollato, e qualche sguardo si gira verso di lui, egli si sente imbarazzato. «Io sono l’arci-principe dell’inferno», diceva sulla scena Totò poche sere fa; ma l’altezza imperiale dice: «Io sono tutto casa e bottega» ed aggiunge: «Come uno lavora facendo l’avvocato od il calzolaio, io lavoro facendo l’attore. Questa è vera democrazia».
Il personaggio che si chiama Totò non ha misteri per nessuno. Adesso, nella nuova rivista «Bada che ti mangio», che si sta rappresentando al Nuovo di Milano, è un fantoccio meccanico al quale sono riusciti a dare vita con una sorprendente utilizzazione dell’energia atomica. Egli vive le sue avventure in mezzo ai politicanti, in mezzo a donne innamorate, in mezzo agli esistenzialisti; diventa maestro di ginnastica, si improvvisa torero, fa il massaggiatore, organizza pellegrinaggi per l’Anno Santo.
Insomma sul palcoscenico Totò fa e dice tutto quello che gli passa nella testa ed è così che egli spiega agli altri ed anche un poco sempre a se stesso su quale vena corre la sua fortuna. Egli si diverte con il proprio personaggio con una specie di furore amaro, la carica di vizi e di debolezze umane e per questo supera il comico per giungere alla satira.
Al contrario l’altro, il principe Antonio De Curtis, con un curioso puntiglio rimane senza gesti, senza parole, senza tic se si vuole dimenticare quello dei colletti con la spilla che tien ferme le due punte e che passa sotto la cravatta. Se potesse lasciare nel camerino del teatro non soltanto i panni che adopera sulla scena, ma anche quel suo mento, che visto una volta non si dimentica più, lo farebbe volentieri. Questa è una cosa che farebbe per modestia; altre invece le fa per pudore. Per pudore non parla mai di sè e pare sempre che dica: «E’ meglio che non si sappia nulla. Lasciamo tutto nel vago». Per questo non chiedetegli nemmeno quando è nato. Riassume infanzia e giovinezza a questo modo: «Sono nato a Napoli un 15 febbraio, poi mi hanno cacciato tre volte dal collegio, così sono un autodidatta». Non chiedetegli se nella vita gli è capitato qualche caso eccezionale o stravagante. Risponde serio: «Adesso che ci rifletto, proprio nessuno». Non chiedetegli che cosa pensa di questo o di quello, del cinema o del teatro.
Congiunge le mani all’altezza del petto, come chi si prepara ad una preghiera, e risponde: «Che vuole, io ho da campare». Nella conversazione un solo argomento lo tocca da vicino ed è Napoli. Sulla scena Totò faceva, sino a qualche sera fa, una parodia di Capri e di alcuni «sci-sci» che l’abitano; ma il principe Antonio De Curtis trova che quello è il luogo più bello del mondo: «Non è l’isola che si crede, l’isola della perdizione e se io», dice, «non ci potessi andare due mesi ogni anno soffrirei molto». Un comunista soltanto gli piace, ed è il suo autista «Vede», dice, «è napoletano, comunista, monarchico e devoto a San Gennaro».
Quando Totò compare sulla scena, subito gli spettatori battono le mani. Il principe Antonio De Curtis se comparisse in qualche superstite corte europea, dovrebbe essere ricevuto «con il trattamento di Altezza Imperiale quale rappresentante, in linea diretta, mascolina e legittima, della più antica dinastia imperiale bizantina vivente» come si legge in una sentenza del Tribunale civile di Napoli, sottoscritta dal presidente Ugo Solimene tre anni fa. Totò, nelle sue riviste, appare tra Elena Giusti, detta «voce di cristallo», ed Isa Barzizza, detta «scandalo per bene»; lo si vede in mezzo alle otto show ladies, alle venti ragazze del Marwell Ballett e tutte sono generalmente poco vestite. E’ il pedaggio che deve pagare quel teatro che chiamano leggero. Totò le guarda, le tocca, scherza, s’abbandona a qualche frase ambigua. E’ l’altro pedaggio che egli deve personalmente pagare. Lo paga Totò ed è una cosa che il principe Antonio De Curtis senza nessuna ostentazione ignora nel modo più assoluto.
In realtà, il principe Antonio De Curtis è semplicemente un devoto di Sant’Antonio. A chi una volta gli domandò a quale dei due Antonio egli aveva dato la preferenza, rispose con commozione: «Ma a quello di Padova, a quello con il giglio»; ed aggiunse piano: «Ogni anno faccio il mio viaggetto a Padova, vado a toccare il piede del santo». Il principe Antonio De Curtis ama le canzonette sentimentali napoletane ed ama soprattutto discorsi tranquilli e sereni. La principessina Liliana, sua figlia, abita a Roma, compirà nel maggio prossimo sedici anni. «Diventa una signorina», dice, «comincia a non tremare più quando io alzo la voce». Oppure dice: «I napoletani sono tutti o poliziotti, od avvocati, o imbroglioni simpatici ed umani». Come poliziotto il principe Antonio De Curtis si sente portato alle indagini psicologiche ed in questi giorni ne ha conclusa una che riguarda l’andamento dei matrimoni. «Ho osservato», spiega con molta convinzione. «Che i matrimoni hanno sempre un punto di crisi fra il quinto ed il sesto anno. Se si supera, poi si va avanti, altrimenti sono guai». Abbassa gli occhi, intimidito. Forse pensa d’aver già parlato troppo, di essersi lasciato andare ad un lungo discorso.
Enrico Emanuelli, «L'Europeo», anno V, n.10, 6 marzo 1949
Enrico Emanuelli, «L'Europeo», anno V, n.10, 6 marzo 1949 |
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Immagine dal sito liaorigoni.it