Il cinema ha rubato Totò
“Figaro qua figaro là”, il film nel quale il popolare comico rifà a modo suo il Barbiere di Siviglia, è il primo della serie che costringe l’attore ad abbandonare quest’anno la rivista
Negli ambienti teatrali si dà per sicura la notìzia: Totò quest'anno non formerà come al solito una compagnia di riviste perchè gli impegni cinematografici (si parla di otto film in un anno) lo costringono a Cinecittà sino al giugno del 1951, un film dopo l'altro; senza tener conto degli eventuali contratti successivi.
Del resto, è il pubblico stesso a chiedere sempre più film di Totò (il film Totò cerca casa ha battuto ogni primato d'incasso dell'annata) e i produttori si contendono il comico, lo legano con opzioni e curiose clausole, e Totò capitola. Perciò, addio rivista, per quest’anno.
Se Totò non fosse stato malato in gioventù, oggi il nostro cinema potrebbe contare solo su Macario, su Rascel, su Taranto e su Tino Scotti. Infatti una malattia, quando aveva dieci anni, gli impedì di entrare in seminario come s’era proposto. Scomparsa la vocazione è rimasta però la fede: Totò ama ancora le pratiche religiose, apprese in quel periodo di crisi mistica. Ma ama anche le costruzioni navali, e qui dovrebbe intervenite uno psicanalista per stabilire l’origine di questa predilezione: sarebbe del resto una indagine molto facile perchè Totò non nasconde il suo soggiorno in tenera età in un cantiere di Castellàmare di Stabia. Presso uno zio, che era direttore del cantiere, il giovane Totò conobbe i segreti dell’allestimento delle navi, ascoltò racconti marinari e fermamente decise di entrare nell’Accademia Navale di Livorno. Non lo fecero idoneo, addolorandolo, ma crearono nel contempo la sua fortuna.
Infatti tornato a Napoli per riprendere gli studi in un istituto medio della città, Totò conobbe una compagnia di comici, si unì al complesso ed esordì sulle scene. Chi egli sia, tutti ormai lo sanno; del resto provvede un biglietto da visita a ricordare i titoli del comico. Totò è solo un nome d’arte, corto e sonoro, ottimo, per chi ha poca memoria; in realtà egli si chiama Antonio De Curtis Gagliardi Griffo Focas. E’ principe del Sacro Romano Impero, nonché marchese e conte. E' quasi impossibile ricordare tutti i suoi «predicati» (cioè il nome della località o del feudo che segue al titolo).
Un giorno, tre, quattro anni fa, un umorista si recò in casa De Curtis, alias Totò, per scrivere insieme al comico una scenetta da recitare in palcoscenico la sera stessa. Il lavoro portò via un paio d’ore alla conversazione, quella conversazione che Totò sembra gradire più dell’aria, ma alla fine il padrone di casa non resistette: «Di dove siete, amico?». L’altro precisò : veniva da un paese tra Campobasso e Benevento, una piccola entità, quasi sconosciuta alle carte geografiche. «Ce l'ho nel predicato», disse perentoriamente Totò. «Si, ce l'ho nel predicato. Aspettate. Domando a mia moglie». E dopo un lavoro di ricerca nell'elenco dei suoi titoli. Totò s'accorse d’essere barone di quel paesino, quindi feudatario dell’umorista. Totò, appena consolidato nella fama, fu subito scritturato per il cinema, ed esordi in un film, Fermo con le mani, ancora acerbo come «tecnica» ma ricco di idee buone: il suo repertorio mimico composto di rigidità esilarante alternata a cicloni di gesti (è l'essere più snodato del teatro) fece sensazione. A Fermo con le mani seguì Animali pazzi, da un soggetto, di Achille Campanile. Era evidente che il comico tentava strade nuove, cercava di legare a sè un pubblico sempre maggiore, e non esitava a ricorrere a veri atti di coraggio, come l’affrontare il genere quasi dialettale (San Giovanni decollato) e la scomposizione (infatti nel film L'allegro fantasma sosteneva tre parti distinte, e alla fine lo si vedeva In colloquio con altri due Totò, tutti autentici e tutti sbalorditivi).
Oggi, a distanza di quattordici anni dal debutto cinematografico, Totò quasi non ricorda più i titoli dei suoi film, come ha mostrato di non tenere a mente i predicati del suo blasone. Ma di una cosa si può star certi; che in ogni fatica cinematografica egli ha cercato continuamente vie insolite, risorse inedite della sua vena.
Una dimostrazione di questo senso del comico la può dare il suo recentissimo film che sarà proiettato fra breve, insolito come genere, e insolito come composizione. Qui Totò non è legato ad una «spalla», a colui cioè che rivolge domande e osservazioni favorendo cosi la battuta «a scoppio», ma ha addirittura come compagno di lavoro un rivale della rivista. E' Rascel. E il film, che s'intitola Figaro qua, figaro là, concede infatti un largo margine di possibilità ai due comici antagonisti e amici. L'ispirazione viene dalla famosa commedia di Beaumarchais, ma il film svolge però un motivo suo particolare, tagliato quasi su misura per Totò, che sostiene la parte di Figaro. E' sempre barbiere a Siviglia, ma l'incarico di far sposare Rosina al conte di Almaviva provoca incidenti, catastrofi, scambi di persona, imprigionamenti, fughe, travestimenti, intrighi, incidenti, complicazioni che Beaumarchais non contemplava. La protagonista femminile è Isa Barzizza, anch'essa tolta dal teatro di rivista dai contratti cinematografici e anch’ essa destinata ad apparire in almeno sei film comici nella prossima stagione. Rascel è don Alonzo, «capitano d'onore di Sua Maestà Serenissima, il re di Spagna». Di una comicità opposta a quella di Totò, quest'attore collabora a creare per la prima volta in Italia un genere comico impensato. Sarebbe come accostare Buster Keaton a Bob Hope o a Red Skelton. Negli ambienti cinematografici prevedono per Figaro qua, figaro là un successo pari a quello di «Totò cerca casa». E Totò s'accorge d'essere diventato un «capitale», come Anna Magnani (per inciso, Anna e Totò saranno insieme in un film di prossima realizzazione).
Mario S. Martelli, «Settimo Giorno», anno III, n.40, 5 ottobre 1950
Mario S. Martelli, «Settimo Giorno», anno III, n.40, 5 ottobre 1950 |