Archiviati dalla magistratura romana gli «esposti» contro Totò
Rassegna stampa da varie testate - Periodo 20-22 settembre 1951
Gli "esposti" contro Totò archiviati dalla magistratura
Una spassosa conferenza stampa del principe attore
Roma 19 settembre, notte.
«Io non ci tengo a queste cose. Io non vado in giro a dire che sono di origine imperiale, che sono l'erede e il successore vivente delle varie dinastie bizantine, dall'Imperatore Costantino il Grande in poi, e che ho diritto al titolo di principe e di altezza imperlale. Ma «lui» mi ha «sfrocoliato» e lo mi sono rivolto alla magistratura ».
Totò, al secolo principe Antonio De Curtis - Griffo - Focas -Angelo - Flavio - Dukas Comneno di Bisanzio, parla di «lui», del suo nemico Marziano Lavarello, con degnazione e dignitoso distacco. «Mi ha insultato; mi ha trattato da usurpatore e da discendente di usurpatori; mi ha accusato di avere ottenuto dal Tribunale di Napoli il riconoscimento dei miei diritti mediante documenti falsi. Io, l'ho prima denunziato per calunnia, e poi ho mostrato le mie carte al giudice Istruttore del Tribunale di Roma».
Il quale giudice Istruttore ha emesso ora un decreto di archiviazione degli atti relativi agli esposti presentati, nell'aprile di quest’anno, al procuratore della Repubblica di Roma, da Marziano Lavarello Basileus, custode della corona di Bisanzio, e dal conte Luigi Colisi-Rossi, ministro della imperial casa di Bisanzio, contro Antonio De curtis.
Questa la notizia comunicata questa sera da Totò al giornalisti, nel corso di un'animata e divertente conferenza - stampa. «Guardate qui; guardate questo decreto del giudice istruttore. Dice che gli esponenti, cioè i presentatori dell'esposto, non hanno potuto «asseverare neanche genericamente» le accuse presentate contro di me. Guardate, guardate. in fondo, quando dice che il Lavarello non ha insistito nella presunzione di falsità insinuata nel miei riguardi. E come poteva insistere? Dopo la mia esauriente deposizione, il giudice istruttore lo mandò a chiamare e lo strapazzò».
Totò ha poi spiegato, tra un lampo al magnesio e l'altro, e sorridendo compuntamente, da principe, alla macchina da presa dei cinegiornali, che quello che più gli aveva fatto male era stato quel sentirsi chiamare «discendente di usurpatori». I Focas non furono mai usurpatori; i miei nemici avevano preso un abbaglio credendomi discendente di Foca I, che fu trucidato da Eraclio nel 610 dopo Cristo. Il mio antenato non è un Foca; è un Focas: Niceforo II Focas, figlio di Barda, morto nel 969 dopo Cristo lasciando due figli: Staturazio e Procopia. Che nomi! — dice Totò socchiudendo gli occhi. — Tutti li so; so la storia del miei avi tutta a memoria. E pensare, poi, che non ci tengo! Ma che volete? Non mi piace essere «sfrocoliato».
«Corriere della Sera», 20 settembre 1951 |
Archiviata la denuncia contro il principe de Curtis
«In tempi così difficili per le monarchie - ha detto Totò - un trono riconfermato da una magistratura repubblicana significa qualcosa»
Roma, 19 settembre
In uno dei più tremendi bombardamenti abbattutisi su Napoli durante la guerra prese fuoco e andò in gran parte distrutto l'archivio anagrafico della città; fra i pochi incartamenti che non rimasero preda delle fiamme uno riguardava la discendenza dei Griffo-Focas. Se questi documenti non fossero stati risparmiati il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, forse non sarebbe riuscito a debellare cosi rapidamente l’azione «calunniatrice» (come egli stesso l'ha definita ieri nel corso di una amichevole chiacchierata con i giornalisti) dei signori Marziano Lavarello e Luigi Colisi Rossi, rispettivamente definiti imperatore e primo ministro dell'imperial trono di Bisanzio.
Il noto comico napoletano ha ricevuto la stampa nel suo nuovissimo ultramoderno appartamento dei Parloli (una costruzione che piacerebbe, per intendersi, all'architetto americano Lloyd Wright) e, coadiuvato dall’avv. De Simone, ha reso noto che il giudice istruttore presso il Tribunale di Roma, facendo sue le richieste del Pubblico Ministero, ha ordinato l’archiviazione degli atti relativi ai due esposti presentati al Procuratore della Repubblica dai due sunnominati signori contro il principe De Curtis. In tal modo la questione, che si protraeva ormai da mesi, può intendersi chiusa, per lo meno nella sua prima parte perchè Totò ha anche reso noto di aver denunciato già da prima dell'istruttoria, il Marziano Lavarello e il Colisi Rossi per diffamazione.
Dai documenti esaminati dal giudici risultò cho fin dal 1945, il Tribunale e la Corte di Appello di Napoli avevano riconosciuto la origine imperiale di Antonio De Curtis quale discendente della famiglia degli imperatori bizantini con tutti i diritti, onori e titoli che a tale discendenza sono connessi, come il diritto al titolo di principe e altezza imperiale. La magistratura gli riconosceva anche il diritto al cognome di Angelo, Flavio, Ducas di Bisanzio e, con opportuno ordine all'ufficiale di stato civile, veniva in tal senso rettificato l'atto di nascita del De Curtis. Come si ricorderà il Marziano Lavarello e il Colasi Rossi tentarono di dimostrare che la magistratura aveva commesso un errore storico-giuridico avendo giudicato in base a documenti falsi. Da qui l vicenda giudiziaria chiusasi a favore di Totò.
Il popolare comico, evidentemente soddisfatto dell'esito della vicenda, si è intrattenuto a cordialissimo colloquio con la stampa dimenticando una volta tanto il suo lavoro cinematografico e teatrale per dare particolareggiati schiarimenti sul suo casato o sulle complicatissime discendenze.
Che Totò non abbia mai dubitato dell'esito di questa vertenza è assodato, ma ha voluto scherzosamente dichiarare che, in tempi cosi difficili per le monarchie, un trono riconfermato da una magistratura repubblicana significa qualche cosa. Perciò ha brindato volentieri mentre fotografi e operatori cinematografici immortalavano l'avvenimento.
«La Stampa», 20 settembre 1951 |
"Imperatore di Capri" e di Bisanzio
Antonio de Curtis Totò è un'altezza imperiale
In una conferenza stampa, il noto attore ha annunciato la sconfitta dei suoi calunniatori
Totò, il popolarissimo attore dello schermo e della rivista, ha dato ieri convegno alla stampa romana, nella sua lussuosa ed accogliente casa di viale Bruno Buozzi, per informarla sugli esatti termini e sulla conclusione della vertenza giudiziaria relativa al riconoscimento della sua origine imperiale — quale unico erede e successore vivente di tutte le dinastie bizantine, dall’imperatnre Costantino il Grande in poi — che gli dà diritto al titolo di principe e di altezza imperlale.
Come già informammo i nostri lettori, nell’aprile scorso i signori Colisi Rossi e Marziano Lavarello presentarono un esposto al Procuratore della Repubblica contro il principe Antonio de Curtis (Totò), contestando i titoli nobiliari che sin dal 1945 il Tribunale e, successivamente, la Corte d'Appello di Napoli, gli avevano attribuito. Il Colisi Rossi e il Lavarello rivendicavano tali titoli dichiaravano che il riconoscimento, per quanto concerneva il De Curtis era erroneo, in quanto basato su documenti falsi.
Aveva così inizio la nota vicenda giudiziaria, protrattasi per circa cinque mesi, nel corso della quale il Procuratore della Repubblica prima, il Giudice istruttore, poi, hanno accertato che i documenti consultati a suo tempo dal tribunali napoletani presso il Grande Archivio Storico di Napoli e presso la consulta Araldica, erano realmente autentici e comprovavano la discendenza imperiale di Antonio De Curtis con il diritto a tutti gli onori e titoli a lui i spettanti quale unico discendenze — per linea mascolina — di Giovan Tommaso De Curtis, (che nel 1582 fu Cavaliere di Giustizia dell'Ordine Militare di Malta) casato che, da quest'ultimo, risale sino alla famiglia imperiale dei Focas.
In base a tali elementi, qualche giorno fa il Giudice Istruttore ha ordinato l'archiriazione della pratica relativa all'esposto dei signori Colisi, Rossi e Marziano Lavarello, e la vertenza si è cosi conchiusa con piena soddisfazione per Totò.
«L'Unità», 20 settembre 1951 |
Totò sconfigge i suoi avversari "araldici"
Ha vinto l'ombra di Giovan Tomaso
Il documento che prova la discendenza dell'attore dall'illustre gentiluomo del '500 ha convinto la Magistratura
Certo, per chi ha dinanzi agli occhi la figura del mimo Totò, quello dei palcoscenici e degli schermi, è difficile pensare di doverlo o poterlo chiamare Sua Altrezza Imperiale... Eppure questa è la dignità araldica che assieme al titolo di principe, gli e stata definitivamente riconosciuta dalla Magistratura italiana. Quattro sentenze della Magistratura napoletana ed un provvedimento di archiviazione di quella romana, recentissimo avverso a due esposti che asserivano che Totò non aveva alcun diritto ai titoli suddetti, hanno definitivamente stabilito e sancito che Totò è il principe Antonio De Curtis, ed è discendente della famiglia degli Imperatori Bizantini con tutti i diritti, onori e titoli che a tale discendenza sono connessi.
Per farla breve, il Totò caro alle folle italiane, è stato riconosciuto discendente del gentiluomo Giovan Tomaso De Curtis, cavaliere di Malta nel 1584, il quale apparteneva ad un ramo della famiglia imperlale bizantina che annovera fra i propri esponenti Teodoro Fabio, cognato di Costantino il Grande, Flavio Focas, Niceforo II Focas, Niceforo III (Botoniate), Leone Focas, imperatori di Bisanzio.
In altre parole, oggi in Italia l'uomo al quale viene riconosciuta una più vetusta nobiltà ed una appartenenza (o discendenze) più illustre come origine, è Totò.
Ieri sera, quando ne ha dato l'annunzio nel suo appartamento ai Parioli, inondato di luce per la ripresa di un documentario cinematografico Incom ai rappresentanti di tutta la stampa italiana, era emozionato.
Tempestivamente è giunto però l'avv. Eugenio De Simone, lo stesso che Io ha assistito nella vicenda giudiziaria impiantata sugli esposti di S. M. Marziano Lascari Lavarello, Imperatore di Bisanzio, e del suo ministro Luigi Colisi Rossi (esposti che come si è detto la magistratura ha archiviato senza prenderli in considerazione) il quale De Simone, raggiante almeno quanto S. A. Imperiale, gli ha tolto il grave peso di
vedersela con dei giornalisti curiosi.
Alla fine della lunga e sontuosa conferenza stampa, un maligno collega disse sorridendo a Totò ed a De Simone: «Adesso vado a raccontare tutto a Marziano Lavarello». I due non impallidirono, no, ma rimasero un attimo sconcertati e agrodolci. Ma il sorriso del collega il rassicurò subito.
«Momento Sera», 21 settembre 1951 |
Continua la «guerra fredda di Bisanzio»
Replica a Totò un gentiluomo di Lavarello
Roma 21 settembre, matt.
La guerra fredda di Bisanzio fra Totò — al secolo principe Antonio De Curtis, Griffo, Fokas, Angelo Comneno Dukas di Bisanzio — e Marziano Lavarello Lascaris, «custode» della corona di Bisanzio, non è terminata. E’ vero — ha dichiarato alla stampa il conte Jurgens, uno dei gentiluomini della «corte» di Marziano — che il giudice istruttore ha ordinato l’archiviazione dell’esposto presentato dallo stesso Marziano contro il De Curtis, ma è vero anche che il tribunale di Roma non si è pronunciato a favore del merito della consistenza dei titoli nobiliari di Totò.
A parte il fatto — egli ha aggiunto — che una sentenza del tribunale non rappresenta mai nè una concessione nè una investitura nobiliare (specialmente in un Paese come il nostro che attualmente, per la sua Costituzione, non riconosce i titoli di nobiltà), resta invece che il principe Marziano Lavarello Lascaris ha nell'archivio della sua casa decine di sentenze, dalle Preture alla Cassazione, dal 1870 ad oggi, che asseriscono l’inverso di quanto è detto dal Tribunale di Napoli, che ha poi giudicato su ricorso del De Curtis in sede di volontaria giurisdizione.
«Corriere della Sera», 22 settembre 1951 |
Note
La discendenza imperiale di Totò venne contestata nell'aprile del 1951 da un gruppo di nobili, incluso Marziano Lascaris di Lavarello, altro pretendente al trono di Bisanzio, con un esposto-denuncia presentato al Tribunale di Roma. Nel settembre 1951 la magistratura conferma il titolo nobiliare di Totò già sancito dalle sentenze del 18 luglio 1945 e 7 agosto 1946 del Tribunale di Napoli. Viene tenuta una conferenza stampa a casa di Totò, assistito dall'avvocato De Simone, per spiegare la sentenza del Tribunale di Roma.
La settimana Incom 00650 del 28 settembre 1951
Riferimenti e bibliografie:
- Canale YouTube Archivio Luce
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