Marziano II contro Totò

Marziano-Toto

La piccola corte di Marziano Lavarello contesta al comico il diritto di portare tanti cognomi, di affermarsi imperatore di Bisanzio e perfino di chiamarsi Principe.

Come la luna mostra una sola faccia ai mortali, così Totò presenta un solo profilo ai fotografi, quello di destra guardandolo. Male incoglierebbe a chi volesse ritrarlo dall'altra parte, dove una curva del naso accentua esageratamente l'asimmetria del volto. Fate attenzione a Totò sulla scena o sullo schermo: vi accorgerete che si muove con opportuni accorgimenti, in modo da non presentare mai allo spettatore quella parte del volto che ritiene meno decorativa e meno dotata di espressione. Gli osservatori attenti affermano che l'ostracismo dato da Totò alla metà più volgare del suo volto risale a sei anni fa, al 1945, l’anno in cui il comico napoletano iniziò su larga scala le operazioni perchè gli venissero riconosciuti su larga scala cognomi, titoli ed attributi nobiliari. Del signor De Curtis, in arte Totò, era possibile vedere il volto da una parte e dall'altra: del principe Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio è ammesso vedere un profilo solo. Questo piccolo peccato di vanità è forse l’unico che traspare a prima vista dall'uomo che si è accollato il grave pondo di definirsi l'unico rappresentante in linea diretta, mascolina e legittima della più antica dinastia imperiale bizantina vivente.

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Il costo di Totò attore e gli incassi dei suoi films sono diventati ormai dei termini-limite di paragone. Ora Totò sta facendo un film al mese, in media. Un ritmo, dicono, mai raggiunto da nessuno, nemmeno a Hollywood. Ha appena finito di girare «Guardie e Ladri» con Aldo Fabrizi, un film che gli è particolarmente caro, perchè vi ha interpretato il personaggio che lo ha soddisfatto di più da quando è nel cinema. Ora sta girando «Totò terzo uomo», diretto da Mattoli, una parodia dell'omonimo film americano, ed ha in programma la riduzione cinematografica della commedia di Eduardo Scarpetta «La creatura sperduta». Di qui a quest'autunno, l’attività cinematografica di Totò raggiungerà il diapason, perchè settembre segnerà il suo ritorno sulle scene del varietà. Il cinema rende molti soldi, ma il calore dell'applauso del pubblico, le sfilate in passerella tra i battimani della platea non hanno prezzo, non ci sono milioni che possano surrogare l’ebbrezza che dà il trionfo a teatro.

Se la vita di Totò attore è tutta costellata di soddisfazioni, sia materiali, sia morali, non lo è altrettanto la vita di Totò, principe Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio, erede degli imperatori di Bisanzio. Non gli vogliono credere, non lo vogliono prendere sul serio; c'è della gente che sembra trascorra le sue giornate a trovare il modo per infirmare la legittimità dei suoi titoli e delle sue ambizioni imperiali. Totò risulta registrato all'ufficio di Stato Civile di Avezzano come nato alle ore 7.30 antimeridiane del 15 febbraio 1898 da Anna Clemente. Essendo stata taciuta l'identità del padre, risulta iscritto come Antonio Clemente. Nel 1921, quando Totò aveva l'età di ventun anni, la signora Anna Clemente sposò il principe De Curtis, il quale sette anni dopo riconobbe Antonio, dichiarandolo suo figlio naturale. Nel 1933, il Marchese Francesco Maria Gagliardi adottava Antonio De Curtis, al quale trasmetteva cosi, automaticamente, il suo titolo nobiliare. Ma la vera, antichissima progenie, quella che risale nientemeno che agli imperatori di Bisanzio e che avrebbe come suo capostipite Leone Focas detto Griffo, fratello di Niceforo II, duca di Cappadocia, deriva a Totò non dal Marchese Gagliardi, ma proprio dal padre Giuseppe De Curtis. Nel 1945, Totò, compiute le lunghe ricerche genealogiche, iniziò le pratiche in tribunale, perchè gli fosse consentito di portare tutti i cognomi e gli attributi gentilizi della sua stirpe. Da allora, quattro sentenze tutte passate in giudicato — aprile 1945, luglio 1945, agosto 1946, marzo 1950 —, hanno sancito questo diritto di Totò, il quale, forte ormai del crisma della Magistratura, riteneva a buon diritto di potersi ormai pacificamente far chiamare Sua Altezza Imperiale Antonio Porfirogenito della Stirpe Costantiniana dei Focas Angelo Flavio Ducas Comneno, Principe Imperiale di Bisanzio, Principe di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Macedonia, di Illiria, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, duca di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo. Una cosa, come si vede, da togliere il respiro. La Magistratura, naturalmente non gli riconosce i titoli nobiliari, perchè ciò sarebbe in contrasto con la Costituzione della Repubblica, ma i cognomi soltanto. Per avallare il suo diritto a portare i titoli, Totò ha però un voluminosissimo «dossier», zeppo di documenti antichissimi.

La presenza di questo «dossier» su una delle sedie del salotto di Totò, nella sua casa a viale Parioli a Roma, è una specie di segnale di battaglia. Quando il «dossier» sta rinchiuso nell’apposito scrigno, vuol dire che l’orizzonte è sereno e nessuno attenta ai diritti regali di Totò; quando il « dossier » è sulla poltroncina, significa che c'è battaglia in vista. Da sabato 28 aprile, il «dossier» è nuovamente sulla poltroncina: quella mattina, un quotidiano della capitale ha pubblicato la notizia che «alcune famiglie» avevano presentato un esposto alla Procura di Stato perchè fosse infirmato il diritto di Totò a portare alcuni dei suoi numerosi cognomi. Il giorno dopo, Totò fece rispondere su un altro quotidiano che si trattava di basse calunnie e che, avendo ritenuto offensivo nei confronti suoi e della memoria di sua madre, il primo articolo, aveva sporto querela contro il direttore di quel giornale, Giancarlo Vigorelli. Il giornale di Vigorelli, naturalmente replicò, la polemica si fece vivacissima, il «caso Totò principe» ritornò alla ribalta.

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La sera di mercoledì 3 maggio, all’inaugurazione di un nuovo ritrovo notturno, «i Nottambuli», alla presenza del fior fiore degli intellettuali, degli artisti e dei giornalisti presenti a Roma, un'apposita commissione, assegnando premi al peggior film, al peggior libro, ai peggiori attori, assegnò un premio a Totò, definito il «peggior principe dell’anno». Giancarlo Vigorelli e Vittore Querel, autore degli articoli su Totò, apparivano raggianti. Vigorelli, giocando sul fatto che aveva ricevuto una querela da Totò per colpa di Querel, disse che si apprestava a giocare al TotoQuerel.

Totò non mostrò di adirarsi molto per la «boutade»: per lui, il vero grande nemico è Marziano Lavarello, un giovane di modi estremamente delicati, il quale a sua volta afferma — pure lui confortato da un voluminosissimo «dossier» —, di essere il vero erede del trono di Bisanzio. Marziano Lavarello non ha, come Totò, impegni cinematografici che gli portano via otto-dieci ore al giorno: ha perciò molto più tempo libero da dedicare allo studio della sua imperiale progenie. E', inoltre, in vantaggio sul comico perchè ha a sua disposizione una specie di piccola corte, con austeri dignitari che, tra un inchino e l'altro a Sua Maestà Imperiale Marziano II, sembrano aver votato la loro vita ad una causa eletta: quella di dimostrare che Totò è un impostore. Tre sono i punti-forza su cui questi dignitari basano la loro guerra senza quartiere a Totò. Primo: è assurdo che Totò accomuni tra i suoi cognomi quelli di famiglie che non hanno mai avuto alcun vincolo di parentela (come i Focas ed i Ducas, ad esempio). Secondo: essi affermano di possedere un documento da cui risulta che nel 1914 il padre di Totò dovette comparire dinnanzi al tribunale di Avezzano per rispondere di un'accusa di furto.

Fu assolto con formula piena, però nel corso del dibattimento ebbe modo di precisare con esattezza i limiti della sua progenie gentilizia. Egli era sì principe, ma di recente data: suo padre infatti era stato nominato principe nel 1860 da Francesco II delle Due Sicilie, in fuga a Gaeta dinnanzi alle truppe di Garibaldi. La sua appartenenza all'ordine Costantiniano — indice della discendenza dagli imperatori bizantini — sarebbe stata, sempre per sua confessione, semplicemente acquistata. Antonio De Curtis avrebbe dunque diritto di farsi chiamare principe; ma qui siamo al terzo punto-forza. Secondo l'articolo 10 del Massimario della Consulta Araldica, il titolo principesco non si può trasmettere per legittimazione o adozione seguite al matrimonio. L’articolo 12 dello stesso Massimario spiega poi che il legittimario può usare del titolo soltanto con l’approvazione d’un Sovrano regnante. E questa approvazione, nel caso di Totò, non c'è mai stata. Totò dunque, a sentir la tesi della piccola corte del giovane Marziano Lavarello non è nè principe, nè, discendente della famiglia imperiale di Bisanzio, nè ha il diritto ad altri cognomi all’infuori di quello di De Curtis. I decreti emessi dal Tribunale non hanno valore, perchè Marziano ed i suoi dimostreranno che è stata carpita la buona fede dei magistrati. Un'accusa, come si vede, molto grave, che avrà un interessante seguito giudiziario.

Giorgio Berti, «La Settimana Incom Illustrata», 12 maggio 1951


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Giorgio Berti, «La Settimana Incom Illustrata», 12 maggio 1951