Totò capobanda a colori e marito in bianco e nero

1952 03 15 Toto a colori

Per la prima volta, S. A. Antonio De Curtis è svenuto dinnanzi alla macchina da presa: anche i Principi devono dormire almeno sette ore.

Dicono che la frase di lancio del film sarà : « In ”Totò a colori” Totò ne fa di tutti i colori ». Nei bar di via Veneto, eletti a pubblico salotto dalla gente del cinema della Capitale, si è commentato con la consueta dolcezza di sentimenti che se il film sarà indovinato come la frase di lancio, varrà la pena che il cinema italiano continui ad esibirsi esclusivamente in bianco e nero per qualche anno ancora.

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Comunque, bello o brutto che sia, la primavera ci porterà quest’anno, con le rondini ritardatane, il primo film a colori italiano. Italiano nel vero senso della parola, perchè italiani saranno non solo gli interpreti ed i tecnici, ma anche la pellicola, quella « ferraniacolor » di cui già abbiamo avuto qualche non disprezzabile saggio in alcuni documentari. Il primo colpo di manovella è stato dato in un teatro di, posa degli stabilimenti Ponti-De Laurentis il 2 gennaio scorso (può anche darsi che questa data passi alla storia della cinematografia italiana) Sui volti di attori e comparse, ancora pallidi per gli strascichi della veglia di Capodanno era stato passato un cerone che li rendeva più pallidi ancora. Totò sembrava uscito da un tacco di farina. I ceroni speciali per il primo film a colori italiano erano venuti apposta da Hollywood: sono l'unica cosa non nazionale del film assieme a certi schermi speciali per i riflettori. In sede di esperimento, i tecnici avevano tentato di evitare anche questo piccolo particolare « estero s; avevano provato gli effetti col cerone normale ed anche con le creme di bellezza, ma i risultati non erano stati buoni. 

I produttori sapevano in partenza di tentare un esperimento rischioso: un film a colori, per quanto fatto in economia, costa più del doppio di un film normale. Non c’è nessun dato di paragone; perciò non è possibile sapere se il mercato italiano è in grado di assorbire un film così costoso e se il richiamo del colore è sufficiente a determinare incassi tali da coprire le spese.

Questo rischio di cassetta, i produttori contano comunque di affrontare con un nome di sicuro richiamo, Totò. Ma prima ancora c’erano altri rischi, di natura puramente tecnica. Sarebbero stati in grado l’operatore ed i tecnici delle luci di lavorare col colore, senza nessuna o quasi esperienza? Le riprese a colori fatte in interno richiedono una potenza di luce tre - quattro volte superiore a quella necessaria per un film in bianco e nero. Gli stessi attori non erano abituati a lavorare con riflettori cosi potenti. Alla fine del primo giorno di lavorazione Totò si mise a letto mezzo accecato, con la testa che gli scoppiava. Gli abiti che aveva indosso scottavano letteralmente per il calore emanato dai riflettori. Due giorni dopo cadde a terra svenuto dinnanzi alla macchina da presa, lui che è abituato a lavorare senza stancarsi sette ore di fila. Indubbiamente il girare una pellicola a colori richiede un allenamento che i nostri attori 'non hanno ed una vita di rinuncia che essi non si sanno imporre. Totò, ad esempio, se non fa le quattro del mattino in un noto locale notturno di Via Veneto si sente un uomo perduto.

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Naturalmente, poi, con quattro o cinque ore di sonno soltanto, non si è in grado di sopportare il ritmo massacrante della lavorazione a colori. Recentemente si stavano eseguendo delle riprese in esterni: Totò doveva dirigere la banda sulla piazza del paese di Caianello — teatro d’azione del film - piazza interamente ricostruita e alla periferia di Roma. Per girare un film a colori in esterni bisogna che ci sia il sole, ma il cielo di Roma continuava impassibile a rimanere tutto coperto. Una notte Totò decise di far più tardi del solito, al night club. Ogni tanto mandava un cameriere a controllare il tempo e il cameriere ritornava annunciando invariabilmente « Pioviggina. Principe ». E Totò tranquillo: il giorno dopo non si sarebbe girato e avrebbe potuto farsi un bel sonno sino al tardo pomeriggio.

Quando Totò arrivò alla sua nuova casa dei Parioli erano già le sette del mattino. Per scrupolo diede un’ultima occhiata al cielo: tutto coperto. Allora, per essere più sicuro di dormire sodo prese due pastiglie di sonnifero. Mezz’ora dopo il sole squarciava il velo di nubi, tre quarti d’ora dopo mezzo cielo era sgombro e il telefono in casa di Totò trillava: la macchina era pronta per venirlo a prendere e portarlo agli stabilimenti di posa. Fortunatamente, quella mattina si giravano le scene della banda sulla piazza del paese, e la musica assordante degli ottoni riuscì a tener sveglio l’assonnatissimo Principe. Quando all’una, finalmente, ordinarono lo « stop », Totò dormiva già beato su una seggiola. Lo portarono a casa di peso, ancora vestito da capobanda, col pennacchio multicolore sul mento volitivo.

Forse paghi dello sforzo compiuto nel mettere in. cantiere il primo film a colori italiano, i produttori non hanno preteso che il soggetto fosse eccezionale. Il Principe De Curtis giustamente e spartanamente lo ha definito con napoletana filosofia « semplicemente un Totò ». Un soggetto, insomma fatto per permetter al comico di esibirsi con l’ausilio di alcune battute, sullo sfondo di qualche bella ragazza. Ma ecco la trama.

A Caianello, un tranquillo paese del centromeridione vive un rumoroso ometto che è convinto dì essere un genio della musica. Le sue « esibizioni », che iniziano regolarmente all’alba, lo hanno fatto odiare da tutta la popolazione. Il cognato che lo ospita, cerca inutilmente di cacciarlo di casa: Totò ritorna sempre.

Fervono a Caianello i preparativi per i festeggiamenti in onore di Joe Pellecchia, un concittadino arricchitosi in America facendo il gangster, che torna a visitare il paese natio. Un’improvvisa paralisi costringe all’immobilità il maestro che deve dirigere la banda. L’unico in grado di sostituirlo è Totò, ma questi si rifiuta, memore dell’ostilità dei paesani. Per indurlo a dirigere, il ' figlio del Sindaco gli fa credere che la sua fidanzata, un'americana, è la segretaria dell'editore di musica Tiscordi, cui ogni mattina Totò spedisce chili di musica. Se Totò dirigerà l'orchestra, la fidanzata-segretaria sarà presente all’esecuzione e potrà raccomandarlo. Naturalmente Totò accetta e trascinato dall’entusiasmo fa e-seguire alla banda la sua musica pazza mandando a monte i festeggiamenti in onore di Pellecchia. Malgrado il fiasco, Totò esige che il figlio del Sindaco e la sua fidanzata mantengano la promessa. I due giovani però sono partiti da Caianello: sono andati a Capri nella villa di una ricca signorina milanese. Rubato il gruzzolo di franchi svizzeri al cognato, Totò li insegue fin là. A Capri, naturalmente piomba in mezzo al solito ambiente-clichè dell’isola, tra giovanetti vestiti in strana maniera e giovanette sofisticate. Da Capri l’inseguimento si sposta su per la penisola, con sempre strampalate avventure lungo il viaggio, in vagone letto prima, a Milano poi, dove Totò è scambiato da Tiscordi per un infermiere che deve praticargli una dolorosa iniezione. U film si conclude, naturalmente a lieto fine, in un teatro di burattini, scambiato da Totò e compagni nientemeno che per la Scala.

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Il soggetto, come si vede, è null’altro che un pretesto per una successione di motivi diciamo così cromatici, che dovranno permettere un suggestivo sfruttamento del colore: la banda sulla piazza del paese, l’ambiente mondano di Capri, il teatro dei burattini. Sarà interessante vedere quel che l’operatore De Ili Colli ed il regista Steno avran saputo fare. Steno, il cui nome, sinora, nei successi e negli insuccessi cinematografici era sempre abbinato a quello di Monicelli, dirige il primo film tutto da solo. L’epoca dei « tandem » (Steno-Monicelli, Marchesi-Metz, Amendola-Maccari, Fellini-Pinelli) sta forse per avviarsi al tramonto. Chissà,che non sia un bene.

Oltre che un pretesto per il colore, il soggetto serve da guida alle esibizioni di un certo numero di attori di richiamo. Di Totò abbiamo già detto: è al suo ennesimo film e continua impavido al girarne uno dopo l’altro, malgrado le accuse violente dei critici cinematografici che lo vorrebbero impegnato in una produzione di qualità (tipo « Guardie e Ladri »), anziché di quantità. Finito di girare questo « Totò a colori », il principe De Curtis farà un film con la direzione di Rosse]lini. Dovrebbe essere un Totò umano, non soltanto caricatura, per quanto inimitabile caricatura.

Benché non lo confessi apertamente, la più alta aspirazione di Totò è quella che almeno uno dei suoi film venga proiettato negli Stati Uniti. Forse con il film firmato da Rossellini ci riuscirà.

Nel complesso, di questo esperimento a colori, Totò è contento, ma la policromia gli è venuta un po’ a nausea : forse per questo ha deciso che alla sua prossima cerimonia nuziale con Franca Faldini dominino due colori soltanto, il bianco e il nero. In questa decisione, Totò ha trovato un’alleata sicura nella giovane attrice che — a tempo di rècord e tra lo sbalordimento dei cronisti mondani della Capitale — sta per diventare la principessa De Curtis.

Fin da quando era semplicemente la « bella di via Veneto », Franca Faldini era nota per il suo attaccamento agli abiti neri. Quando partì per la sua breve avventura cinematografica a Hollywood Franca aveva nel suo guardaroba soltanto abiti neri e bianchi. Non sarà dunque un matrimonio in technicolor.

Franca Valeri, l’ormai famosa « Signorina snob » sarà nel film la ricca milanese di Capri, ed alla lavorazione hanno pure preso parte Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli, i due giovani attori i quali con la Valeri formano il complesso del « Teatro da camera », che a Roma continua a mietere successi. La Valeri, Bonucci e Caprioli porteranno sullo schermo alcuni degli sketches che hanno fatto la loro fortuna teatrale. Resta da vedere se, e fino a che punto, riusciranno a rendere cinematograficamente il loro stile particolare di umorismo, che si basa tutto sulla comunicativa diretta col pubblico. Il maestro di banda rivale di Totò sarà Riento, il giovane gagà figlio del Sindaco sarà Galeazzo Benti, mentre ad Isa Barzizza non mancherà il modo di far vedere le giarrettiere — questa volta finalmente a colori — in una cabina di vagone letto.

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Altri due nomi completano il « cast » di « Totò a colori »: Anna Vita e Fulvia Franco. Anna Vita, che viene definita « la Greta Garbo dei « fumetti » con ironia da alcune migliaia di persone e con tutta serietà da alcune centinaia di migliaia, ha già molti requisiti per potersi ormai considerare una diva del cinema, tra cui una « 1400 », abiti molto eleganti e la convinzione di essere molto brava. Fulvia Franco — se non sono esagerate le voci che corrono — dovrebbe essere destinata a divenire la rivelazione cinematografica del 1952. E’ noto l’insuccesso della sua prima avventura cinematografica, subito dopo la sua elezione a « Miss Italia 1948 ». Poi sposò Tiberio Mitri e, da brava moglie, Fulvia si accontentò dì vivere all’ombra dei successi del marito, fin che successi ci furono. Da qualche mese ì coniugi Mitri si sono trasferiti da Trieste a Roma, dove hanno acquistato un bar.

Resistere alla tentazione di riprendere la strada di Cinecittà era, a questo punto, molto difficile per Fulvia Franco. Alfredo de Laurentis, direttore di produzione di « Totò a colori » pensò' a lei per la parte della fidanzata americana del figlio del Sindaco. Ne parlò a Steno e Steno rispose che non ne voleva sapere. De Laurentis non si diede per vinto e portò di sorpresa Fulvia Franco dinnanzi alla macchina da presa. Steno non potè fare a meno di girare e finita la ripresa, fu il primo a congratularsi con l’attrice. Era andata benissimo. Gli spettatori la vedranno con sul volto un paio dì grossi occhiali di tartaruga che — nella vita accadono le più strane cose — le donano un fascino particolare.

Totò è entusiasta della sua nuova « partner », tanto che ha chiesto di averla nuovamente al suo fianco — e questa volta nel ruolo di prima protagonista femminile — nel film che girerà con Rossellini. Questi ha esaminato Fulvia ed ha dato ragione al Principe: anche secondo lui la Franco ha la stoffa dell’attrice. Una volta di più è così dimostrato che nel cinema il primo insuccesso ha una importanza relativa. Come il primo successo.

Giorgio Berti, «Settimana Incom Illustrata», 15 marzo 1952


La Settimana Incom Illustrata
Giorgio Berti, «Settimana Incom Illustrata», 15 marzo 1952