Totò si converte all'arte di Pirandello

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1953 04 04 Epoca Silvana Pampanini intro

E Orson Welles mangia nel film molti piatti di spaghetti e otto torte

Stefano Vanzina, noto sotto lo pseudonimo di Steno, è giunto ormai alla decima regia della sua carriera cinematografica. Dopo aver acquistato notorietà come umorista, nel 1939 Steno cominciò a lavorare per il cinema, sceneggiando alcuni film di larga popolarità. Ma solo qualche anno fa s'è deciso a passare alla regia. Lo ha fatto in punta di piedi, timoroso come un principiante, insieme a Mario Monicelli, esordiente anche lui. Al binomio Steno-Monicelli il successo non è mancato: soprattutto in virtù di alcuni film comici come Totò a colori e Totò e le donne. Steno sta ora sfruttando da solo le esperienze recenti per ottenere una « specializzazione in Totò ». L'incontro tra la sua vena umoristica e le possibilità artistiche del principe Antonio De Curtis dei Griffo, legittimo discendente degli imperatori di Bisanzio, ha portato così, nel campo cinematografico, alla costituzione d'un nuovo binomio: quello di Steno-Totò. Ne è conseguita la temporanea scissione della coppia Steno-Monicelli.

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ROMA. Orson Welles nella parte del capitano Perella del film «L'uomo, la bestia e la virtù» tratto dalla commedia di Pirandello. La regia è di Stefano Vanzina, o più brevemente Steno.

Totò rappresenta la carta sulla quale Stefano Vanzina intende puntare le sue migliori risorse. D’altra parte, Steno è il regista che Antonio De Curtis sembra accettare col maggior entusiasmo. L'accordo pieno tra attore e regista ha indotto i produttori di Totò a tentare film che non abbiano per unico scopo il successo commerciale. Totò è un attore che sul mercato nazionale garantisce, comunque, incassi di prim'ordine. Ma, quando fu studiato il programma per l'anno in corso, attore, regista e produttori si trovarono d'accordo nel desiderio di aggiungere, ai buoni incassi, anche una buona critica. Elemento indispensabile, questo, d'altra parte, per estendere a molti altri mercati europea ed extra-europei il successo dei film. Era necessario quindi, elevare il tono e la qualità delle pellicole interpretate dal « principe ». La soluzione ideale apparve quella di accantonare i soggetti troppo elementari, affiancando inoltre a Totò attori di grande nome e di grandi risorse. Ma, soprattutto, estranei al cinema comico. Primo esperimento, in questa nuova fase dell'attività artistica di Antonio De Curtis, è il film L’uomo, la bestia e la virtù, tratto dalla omonima commedia di Pirandello, da cui si stanno ora girando gli esterni a Cetara (Salerno). Stefano Vanzina, nello scegliere gli altri due attori che, insieme a Totò, avrebbero dovuto sostenere i ruoli principali del film, volle puntare su temperamenti diametralmente opposti tra di loro. La commedia di Pirandello, cinica e di sapore boccaccesco, doveva essere realizzata nel cinema, nelle intenzioni del regista, con assoluta fedeltà al testo. Si sarebbe distinta dalla versione teatrale soltanto per la contrastante personalità degli interpreti. Ad accentuare questi contrasti, fu deciso addirittura che i tre personaggi principali avrebbero dovuto essere di nazionalità diversa uno dall’altro. A Totò (l'«Uomo »), furono cosi affiancati Orson Welles (la « Bestia ») e Viviane Romance (la «Virtù»), Alla malizia dell’italiano vennero, cioè, contrapposti il puritanesimo dell'americano e la sottile lusinga della francese. Secondo il regista, la risultante di quest'incontro di temperamenti ha superato ogni aspettativa.

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ROMA. Orson Welles e Viviane Romance che interpreta la parta della virtuosa signora Perella, moglie del capitano.

L'uomo, la bestia e la virtù, come s’è detto, non si discosta nella riduzione cinematografica dal testo originale di Pirandello. La vicenda del film è questa. Il signor Paolino (Totò) è un professore che vive dando lezioni e ripetizioni in una non precisata città di mare. Tra gli allievi egli ha Nonò, un ragazzo di undici anni, figlio del capitano di marina Perella (Orson Welles). Alle lezioni di Nonò assiste spesso la « virtuosa » signora Perella (Viviane Romance), della quale l’insegnante finisce col diventare amico e, soprattutto, confidente. La signora Perella non ha una vita felice. Il capitano, classico lupo di mare dei vecchi racconti, alto, grosso, brutale, è sempre in giro per il mondo. Secondo la più rigida convenzione, egli ha una donna in ogni porto. Non va per il sottile: ogni gonnella l'attrae. Esclusa, però, quella della moglie.

Quando ha inizio la vicenda, già da tre anni la signora Perella è moglie soltanto di nome. Le rare volte che la « Bestia » fa ritorno a casa, si ripete sempre la stessa scena: saluti tutt'altro che espansivi; grossa mangiata e, alla fine del pranzo, lite violenta. La lite offre il pretesto ad capitano di alzarsi da tavola infuriato e di barricarsi nella sua stanza. La sua ira scomparirà soltanto al momento di partire di nuovo. La virtuosa moglie del marinaio, di confidenza in confidenza, finisce per scendere in dettagli intimi col signor Paolino. Poiché la donna è ancora giovane e bella, il professane non hai molte difficoltà a passare dal ruolo di confidente a quello di amante.

Le amarezze della signora svaniscono : l’equilibrio tra la virtù e la bestia è stato ristabilito per merito dell'«Uomo» Paolino. Tutto andrebbe per il meglio se la moglie del capitario non si accorgesse, a un certo punto, che la sua relazione illecita l’ha resa nuovamente madre. La situazione si fa drammatica. Sugli amanti incombe la paura del disonore e della vendetta. Hanno solo una tenue speranza: che il capitano, cioè, tornando a casa, almeno per una volta si comporti da marito. Solo cosi gli si potrebbe fare accettare la paternità del bimbo che dovrà nascere. Il professor Paolino non si perde d'animo. Chiede aiuto ad un amico medico e gli viene offerta una via d'uscita, sotto forma di una medicina capace di risvegliare i sensi ai più torpido dei mariti. La difficoltà sta soltanto nel modo con cui propinare al capitano un farmaco del genere. Paolino risolve il problema in questo modo: interverrà al pranzo col quale il marinaio festeggia abitualmente il ritorno e porterà con sé una torta. In una parte dal dolce metterà con abbondanza l'afrodisiaco.

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ROMA. Totò e Viviane Romance hanno lavorato con l’influenza. Totò fa la parte dei professor Paolino, cioè dell'«Uomo».

La torta di Paolino viene cosi a trovarsi al centro della vicenda. Nel corso deli ’ interminabile pranzo accadono numerosi incidenti, tutti di tale natura da pregiudicare la riuscita dei piano di Paolino. Ma infine, come Dio vuole Perella mangia da solo l'intero dolce. (Per realizzare questi, scena, ripetuta numerose volte, Orson Welles ha dovuto mangiare per davvero otto torte e numerosi piatti di spaghetti. A lavoro compiuto, l'attore ha detto di aver consumato, in una sola serata, una quantità di bicarbonato superiore a quella presa in tutta la sua esistenza). Naturalmente, anche dopo aver mangiato il dolce, il capitano organizza la solita scenata. Va cosi a rinchiudersi nella sua stanza, mentre la moglie, disperata, dice a Paolino che vuole uccidersi. Ma il professore le dà coraggio e la esorta ad aver fiducia nel farmaco magico. I due amanti si lasciano con l’intesa che se le cose tu andranno « secondo i desideri », la donna esporrà sul balcone un vaso di fiori per tranquillizzare Paolino. L'indomani mattina il professore, alzato di buon'ora, trova però il balcone senza fiori. In proda all’angoscia si reca in casa Perella, ma qui l’attende una realtà lieta. La virtuosa moglie del capitano avrebbe dovuto allineare sul balcone non un solo vaso, ma tutti quelli disponibili in casa. E, insieme a lei, avrebbe dovuto infiorare le finestre anche la povera donna di servizio. Il lieto fine, tanto nella commedia, quanto nel film, non lascia intendere se la virtù e la bestia si siano reincontrate per sempre o soltanto per un momento. Tuttavia, l’uscita del professare, apparentemente malinconica e rassegnata, sottolinea senz'altro la doppia vittoria dell'uomo sulla bestia e sulla virtù.

Renzo Trionfera, «L'Europeo», anno IX, n.9, 26 febbraio 1953


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Renzo Trionfera, «L'Europeo», anno IX, n.9, 26 febbraio 1953