Lacrime vere di Totò: il principino non ha visto il sole

1954 Massenzio 


Non appena Franca Faldini si sarà ristabilita, Antonio de Curtis la sposerà

Da quando Franca Faldini è stata dichiarata fuori pericolo, il principe Antonio de Curtis, in arte Totò, lascia ogni sera verso le nove la clinica Quisisana, dove la Faldini è in convalescenza, giunge in automobile in via Bruno Buozzi, entra frettolosamente nell'ascensore, si chiude in casa, non risponde al telefono, non riceve alcuno, non dà ascolto agli amici che lo consigliano per lettera di divagarsi e di pensare al lavoro. Totò è straordinariamente attaccato alla dimora che ha messo su con gusto davvero principesco, circondandosi di mobili antichi, di quadri d'autore, di oggetti d'arte preziosi, di tappeti orientali.

Non ama, come la maggior parte degli attori, farsi vedere in giro, frequentare ritrovi e locali notturni, partecipare a riunioni del mondo cinematografico. Dopo otto o dieci ore di teatro di posa, sembra sempre aver fretta di tornare a casa sua, nell'ambiente che si è costituito, badando a mille particolari, studiando personalmente il miglior punto di una parete per collocare un quadro, frequentando antiquari e mobilieri alla ricerca del pezzo da collezione. Il comico italiano più irresistibile è, nella vita privata, un cinquantenne molto serio, misurato nei gesti, vestito con ricercatezza signorile, alieno da certe manifestazioni di mondanità sfrenata proprie del costume della nostra epoca. In questi giorni, da quando la più grave sventura della sua vita lo ha colpito, si è accentuata nella fisionomia di Antonio de Curtis la malinconia che viene a galla in certi suoi film come "Guardie e ladri".

Ogni sera, tornato a casa, Totò raggiunge una certa stanza che conosce lui solo, vi entra cercando dl non farsene accorgere, si chiude a chiave, resta a lungo dietro quell'uscio, quando ne esce, è più immalinconito che mai. Qualcuno dei domestici assicura di averlo udito singhiozzare. In quella camera che, negli ultimi mesi, il principe fece preparare aspettando l'arrivo di un bimbo che avrebbe chiamato Massimiano, nome tradizionale della famiglia dei Lascarls, discendenti da Niceforo II Focas, imperatore di Bisanzio, Massimiano, che avrebbe probabilmente avuto una vita facile e felice, è morto prima dl venire al mondo, tanto che non fecero a tempo nemmeno a battezzarlo. Totò, chiuso nella stanza che aveva preparato per suo figlio, passa le mani sulla culla di legno chiaro, sull'armadio pieno di stampelline minuscole, sulle tappezzerie ornate di pupazzetti, sul quadro della Madonna con il Bambino fra le braccia, sull'elefante con il fischiano, sui campanelli d'argento attaccati ad un cerchio di celluloide, sulla giraffa "Gisella" di gomma, insomma su quello che avrebbe dovuto essere ll piccolo mondo di Massimiano, appena il bimbo avesse aperto gli occhi e guardato intorno a lui.

La verità é che occorrerà parecchio tempo prima che Totò possa rimettersi dal colpo. L'idea di questo bimbo, che gli doveva nascere a vent'anni di distanza dalla figlia sposata a Gianni Buffardi e abitante poco lontana dal padre nel cosiddetto "Palazzo del girasole", riempì per molti mesi l'esistenza dell'attore, tutto preso dal cinematografo e dall'amore per la compagna che si era scelto. Dopo i cinquant'anni, anche per un uomo pieno di vitalità come Totò, le speranze trovano facilmente un limite. La nascita del bimbo avrebbe aperto per De Curtis nuovissimi orizzonti. Dicono a Napoli che, quando un uomo ha un bimbo dopo i cinquant'anni, la provvidenza di Dio si rivolge con particolare considerazione sulla sua famiglia. Aspettando il bambino insieme alla Faldlni, Totò, da napoletano inguaribile qual'è, dovette pensare a tutto questo e dirsi che con Massimiano sarebbe cominciata per lui una seconda giovinezza. Per questo volle arredare quasi con le proprie mani la stanza bianca e rosa, andò a comperare personalmente la giraffa di gomma, annunziò un giorno che, subito dopo il parto, avrebbe sposato la giovane compagna, ella aveva saputo impersonare così bene per lui la favola della felicità che s'identifica nelle cose semplici, negli affetti senza complicazioni, nel sorriso dl un fanciullo, nella serenità delle ore trascorse fra le pareti domestiche.

1954 10 13 Il Messaggero Massenzio

Le cose andarono purtroppo diversamente. La sera di lunedì 11 ottobre, verso mezzanotte, Totò e la Faldini stavano nella grande sala dl soggiorno di casa de Curtis dove sono sistemati un piccolo schermo ed una macchina cinematografica. La gravidanza di Franca, svoltasi fino a quel momento in modo eccellente, era entrata da poco nell'ottavo mese. Seduta in una poltrona del salone accanto al compagno, la Faldini osservava la proiezione di una vecchia pellicola di Charlie Chaplin, "Le luci della città". Improvvisamente, disse di sentirsi poco bene, la macchina cinematografica si fermò, furono accese le luci, il principe volle accompagnare Franca tino al letto. Non si trattava di un malore passeggero, le condizioni della Faldini sembrarono precipitare, all'una di notte De Curtis decise di trasportarla in automobile alla clinica Quisisana in via Giovanni Porro 5, dove si fece assegnare un appartamento. Qualcuno corse a telefonare all'ostetrica signora Rosa Grasso, abitante in via Chiana 16. Per il principino di Bisanzio, che dava segni di voler venire al mondo prima del tempo, fu chiamata una levatrice da re. La Grasso assistette al parto di Maria José di Savoia, quando diede alla luce Vittorio Emanuele, fu l'ostetrica di Jolanda Calvi di Bergolo, di Mafalda d'Assia, della regina di Grecia. E abituata ai parti di cui si occupano i giornali nelle prime pagine, quelli che sono di solito seguiti da ventun colpi di cannone. Contemporaneamente alla signora Grasso, accorse dalla propria abitazione al viale Regina Margherita 269 il professor Arnaldo Bruno, ginecologo che non perde la calma nemmeno davanti ai casi più sconcertanti. Bastarono pochi esami clinici per constatare che la Faldini era stata colpita da tossicosi gravidica con albuminuria gravissima. Durante la notte, ci fu un momento in cui il medico dovette proporsi il solito interrogativo: «Bisogna salvare la madre o il bambino?».

Totò, che si aggirava nella stanza accanto a quella dell'inferma, fu interrogato, guardò con coraggio il chirurgo, pensò per un attimo a Massimiano che non avrebbe mai veduto la stanza bianca e rosa, rispose torcendosi le mani: «salvate Franca: questo è quello che voglio!» Poco dopo, la Faldini entrò in camera operatoria, era pallidissima. Quando, dopo un'ora, fu riportata nella stanza n. 46, era ancora più bianca. Un intervento chirurgico delicatissimo e la narcosi l'avevano stremata. Il professor Bruno e la signora Grasso andarono incontro a de Curtis, gli dissero che poteva entrare per un momento in punta di piedi nella camera dell'inferma, gli fecero capire con un segno che il bimbo era morto. Totò entrò tremando nella stanza di Franca, la vide così bianca e immobile sui guanciali, trasse dalla tasca un fazzoletto di batista, si mise a piangere con una quieta disperazione, vicino al letto della compagna. Il medico e l'ostetrica non se ne andarono dalla clinica, sorvegliarono la Faldini attimo per attimo, temettero che l'albumina, dilagando nel suo organismo, potesse ucciderla da un momento all'altro.

Alle sette del mattino il professor Bruno senti ancora una volta il polso di Franca, diede ad un'infermiera uno sguardo significativo, le fece capire che c'era pericolo, fu portata nella stanza n. 16 una piccola bombola argentata piena di ossigeno.

Per tutto il martedì Totò non si mosse un attimo dalla clinica. Disse più tardi che non avrebbe mal creduto di poter soffrire fino a quel segno. «Se Franca si salva», esclamò ad un certo momento, «ci sposiamo appena guarita. Sarà come se Massimiano fosse venuto al mondo.» Dopo un giorno, il ginecologo chiamò Totò, gli disse che Franca era fuori pericolo, la Faldini, un po' meno pallida, fece al compagno un sorriso estenuato, come per dirgli: «Perdonami!» Da quel momento Antonio de Curtis si riconciliò con il mondo. Dimenticò perfino una lettera piena di malevolenza che, secondo lui, aveva scatenato la tossicosi gravidica, pensò che il suo primo matrimonio, annullato da un tribunale straniero, è da tempo non più valido in Italia, per la delibazione della corte dl Appello di Perugia, e che la sua prima moglie si è risposata. In fondo, dovette dirsi l'attore, lui e Franca avevano ancora da vivere una stagione piena di promesse. Gli venne in mente che un giorno a Napoli, sul Rettifilo, i passeggeri di un tram, popolane di Porta, artigiani di San Ferdinando, marinai della Torretta, erano discesi dalla vettura perché lo avevano riconosciuto nella sua automobile. Gli si erano stretti intorno gridando: «Viva Totò nostro!» Il ricordo di codesta manifestazione di simpatia umana intorno alla sua persona ha contribuito a persuadere Totò che la vita può essere ancora bella, anche se Massimiano non c'è più ed un dolore segreto rode l'anima.

Arnaldo Geraldini, «L'Europeo», anno X, n.43, 24 ottobre 1954


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Arnaldo Geraldini, «L'Europeo», anno X, n.43, 24 ottobre 1954