Totò al Festival: a Sanremo ha vinto la sciatica
“Tutte le mamme” di Bertini e Falcocchio ha trionfato al Quarto Festival della canzone italiana facendo leva sull’affetto che gli italiani hanno per la propria madre. Gli autori l'hanno composta tra due telefonate, mentre si informavano delle rispettive condizioni di salute.
Sanremo, febbraio
La sera del 30 gennaio, poco prima della terza trasmissione del « IV festival della canzone italiana », un fattorino del telegrafo percorse rapidamente in motocicletta la salita del Casinò, si fece largo tra il pubblico elegantissimo, litigò con il maresciallo dei Vigili del fuoco che non voleva farlo entrare in palcoscenico e, finalmente, riuscì a consegnare a Nunzio Filogamo un pacco di telegrammi. Non era vero che l’ufficio telegrafico di Sanremo avesse esaurito bobine e moduli gialli. I telegrammi erano in ordine, tutti gialli e incollati. Filogamo aprì il primo e lo lesse a voce alta. Veniva da Milano e diceva: « Preghiamo Filogamo invitare tutti italiani a votare canzone tutte le mamme perché chi non vota non ama la mamma o est figlio ignoti ». Gli altri telegrammi, più o meno, ripetevano lo stesso invito perentorio. Filogamo lasciò i moduli su un tavolino ed entrò in scena per salutare, secondo il suo costume, « gli amici vicini e lontani ».
Non si abbandonò, come gli era capitato nelle prime due sere, alla facile retorica; non disse che « il sorriso di chi canta è un conto aperto sulla banca della speranza »; non fece ironie sui colori delle cravatte dei signori presenti in sala. Si limitò ad annunciare i titoli delle dieci canzoni rimaste in gara, i nomi degli autori e degli editori. Non ricamò intorno ai titoli quelle sue sottili ragnatele fatte di nulla e non chiamò il maestro Cinico Angelini il « vecchio leone della canzonetta » e non costruì sul nome di Alberto Semprini una leggenda di nebbia londinese. La sera prima aveva corso il rischio di scatenare una guerra fratricida. Mal dosando gli aggettivi per l'uno o per l'altro maestro aveva provocato le ire di Cinico Angelini. Il quale, scontento degli elogi tributati al suo avversario e insoddisfatto del pubblico che aveva più lungamente applaudito le esibizioni del rivale, pareva volesse ritirarsi nella sua camera d'albergo e lì ingoiare almeno tre pastiglie di sonnifero così da non poter essere disturbato.
L’ira funesta del maestro si riversò poi, alla fine, sulle spalle del cantante Achille Togliani. Il simpatico giovanotto, dopo aver cantato per tre sere con la febbre ed essere rimasto in piedi a furia di iniezioni, si sentì dire da una portavoce del maestro, che aveva « inguaiato il festival ». Eppure delle cinque canzoni a lui affidate, ne aveva portate quattro in finale.
Quale sia stata la conclusione di questo festival della canzone, è cosa ormai insaputa. Hanno vinto le mamme. Senza ironia. Eppure a chi era presente in sala questa vittoria non sembrò, sulle prime, tanto sicura e tanto certa. Le mamme parevano seriamente insidiate dalla canzone da due soldi, e dalla barca solitaria. La prima impressione fu errata dalla consistenza degli applausi, coscienziosamente cronometrati. La Canzone da due soldi, cantata da Achille Togliani e da Katina Ranieri, aveva realizzato due minuti di battimani; Tutte le mamme, con Gino Latilla e Giorgio Consolini, era arrivata a 1 minuto e 20 secondi; La barca tornò sola aveva raggiunto 1 minuto é 18 secondi: lo stesso tempo di Aveva un bavero e di Con te. Inoltre, dalle prime indiscrezioni sulle votazioni della giuria in sala, era risultato che la Canzone da due soldi aveva avuto 30 voti contro i 12 di Tutte le mamme. Bertini e Falcocchio, i due autori vincenti, apparivano disfatti.
Eppure essi stessi - favoriti dalla sorte - facevano parte della giuria, con altri parenti e amici, e si presume che abbiano dato il voto preferenziale alla loro canzone. Si guardavano intorno con la faccia grigia quasi non credendo che tutte le loro speranze potessero crollare così. Poi dalle 14 stazioni della RAI cominciarono ad arrivare i risultati: una pioggia di voti a favore delle mamme. La cantante Katina Ranieri che aveva fatto di tutto per la vittoria della Canzone da due soldi arrivando perfino a prendere in prestito dalla Piaf certe modulazioni di voce e ad accennare movimenti di danza tra un refrain e l’altro, non seppe subito della sua sconfitta. In un angolo della sala era tutta intenta a concedere autografi quando passò un funzionario della radio con i risultati finali scritti su un foglietto. La signorina Ranieri lo afferrò, lo lesse e mormorò: «Non posso crederci ». Rimase imbambolata con la penna in mano mentre il rimmel, trascinato dalle prime lacrime, le rigava di nero le guance. Quando un fotografo tentò di ritrarla in quell’attimo di sconforto, la cantante si coprì il volto con le mani e fuggì nel suo camerino.
Antonio De Curtis Griffo Focas Imperatore di Bisanzio, forse conosciuto meglio come Totò, accettò invece serenamente la sconfitta della sua canzone. Abbandonò con solennità la sala accompagnato dalla signorina Franca Faldini, dalla figlia, dal genero, dalla « spalla » Mario Castellani e dal resto della sua corte imperiale dicendo ai vincitori : « E' andata male. La vostra canzone è bella. È bella anche la mia, però ». Con te aveva racimolato 4 punti in tutto classificandosi penultima.
Abbiamo riferito il punteggio della canzone di Antonio De Curtis non per dare un inutile dispiacere all’Imperatore di Bisanzio, ma per sfatare almeno una malignità creata intorno a questo festival. Su Totò sono stati scritti ormai lunghi capitoli. È stato detto che non avrebbe dovuto partecipare alla gara e che la Commissione avrebbe fatto meglio a scartare la sua canzone; è stato scritto che Con te avrebbe dovuto essere presentata al pubblico come creazione del signor Antonio De Curtis e non dell'attore Totò. La mattina del 30 gennaio è stato insinuato anche che Totò avrebbe acquistato in blocco tutti i biglietti d’ingresso alla sala del Casinò. E sarebbe stata una bella spesa con i biglietti a 10 mila lire l’uno. Il fatto che nessuno degli amici di Totò sedesse tra la giuria e che la sua canzone abbia avuto in tutto 4 voti basta a sgonfiare il pettegolezzo.
Del resto in tre giorni di pettegolezzi ne sono stati fatti moltissimi e molti sono stati riferiti dalle cronache. Non avendo nulla da fare, autori ed editori, si sono abbandonati, quasi per distendere i nervi, alle malignità sussurrate con arte. Si è addirittura creato uno « scandalo Mascheroni » dicendo che l'anziano maestro aveva abbandonato Sanremo dopo una violenta litigata con alcuni alti funzionari della radio. Non vi sono state liti. Mascheroni ha capito che il suo Cirillino C. non poteva vincere ed è tornato a Milano. Poi, chiamato da una telefonata del suo editore, è ritornato a Sanremo: ma senza strepito, senza alzar mai la voce, senza imprecare. La sua canzone non è entrata in finale ma è abbastanza puerile; avrà la fortuna e i diritti d'autore che si merita. Papaveri e papere insegna.
Un illustre scrittore, a proposito del festival di Sanremo, ha detto: « Dimmi cosa canti e ti dirò chi sarai ». Se ci si dovesse basare sulle venti canzoni che la burocrazia della Rai ha scelto per questo festival si trarrebbero sconsolanti previsioni. Ha vinto l’amore degli italiani per la propria madre, d’accordo. E questo è bello. Molti anni fa Gabré cantava: « Io voglio bene solo a mamma mia » e, dopo di lui, arrivò Beniamino Gigli a dire « Mamma, solo per te la mia canzone vola », e Natalino Otto lanciò « Mamma non son più quel capriccioso ragazzino ». Gli epigoni continuarono, tanto per citare i motivi più noti, con Mamma negra, Mamma bianca, Mamma buonanotte, Mamma luna. Contro questa inflazione materna un solo papà, quello di Schipa («Torna piccina mia » con quel che segue) ; nessuna zia, nessuna nonna, nessun nipote. Ma Tutte le mamme del 1954, nonostante la diversa opinione degli autori, non nasce da un sincero desiderio di esaltare la Mamma come « l’immagine d’una Madonna ». Gli autori sono dei professionisti abili e la canzone, oggi, è il prodotto di una industria che vede giri di milioni. I festivals degli anni scorsi avevano dato una indicazione precisa: per far leva sul sentimentalismo del pubblico particolare chiamato a giudicare le venti canzoni scelte, occorreva sfruttare il tema del nazionalismo; bastava nominare Trieste, la Patria, gli Alpini. Gli ascoltatori, afferrati da questi simboli sacri, si commuovevano giustamente e applaudivano. La loro sincerità serviva soltanto a mettere in moto la grande ruota dei milioni di diritti d’autore. Il vero amore per la Patria, da quelle competizioni canore, usciva umiliato dai vari tamburini, campanari, scarponi e compagnia. Per il 1954 la Rai ha voluto mettere un freno alla speculazione sui Caduti dell’Adamello. Ha bandito dal festival le canzoni cosiddette patriottiche. Gli autori si son trovati a dover surrogare Trieste con altri motivi che facessero ugualmente leva sul sentimento degli italiani. Bertini e Falcocchio hanno puntato sulla mamma e hanno vinto. Sono stati più intelligenti degli altri perché hanno saputo dare al pubblico quello che il pubblico aspettava e chiedeva: una occasione per commuoversi.
Con questo non si vuol dire che Tutte le mamme sia, in linea assoluta, la migliore delle canzoni ascoltate a Sanremo. Altre vantavano gli stessi meriti e avevano gli stessi diritti. Tutte, però, avevano la stessa povertà di idee, la stessa mancanza di originalità. La Rai non ha voluto dire in base a quali criteri la sua misteriosa Commissione abbia scelto queste canzoni piuttosto che le altre e in base a quale logica o a quale estetica abbia accettato testi « poetici di elevato livello » come questo « Piripiripicchia - piripiripicchia - piripiripirì - piripiripicchio - piripiripicchio - piìipiripiripà - piripì - piripà » di Tarcisio Fusco. Se davvero si deve giudicare la canzonetta come un coefficiente del costume nazionale, è sconfortante che i commissari della radio abbiano pensato che questi versi possano accompagnare i nostri svaghi o servire indirettamente alla formazione culturale, estetica e mentale degli ascoltatori italiani. « Dimmi cosa canti e ti dirò chi sarai» ha chiesto Filippo Sacchi. E questa è la canzonetta scritta apposta per essere cantata dai più piccoli: « Ctrillino Ci Cirillin - Cirillino Ci Cirillin - Vuoi la caramella? - No (strillando) - Vuoi la balia bella? - Si (vezzoso) - Mi vuoi fare bao? - Mi vuoi lare ciao? - Cirillino Ci Cirillin - Cirillino Ci Cirillin. »
Ricetta ben dosata
Chi si illudeva che questo festival rivelasse al pubblico novità di temi e freschezza di ispirazione non ha potuto far altro che partecipare al grande gioco di rintracciare motivi vecchi sapientemente rinfrescati. Una specie di caccia al tesoro. Cosi in Gioia di vivere è sembrato ritrovare la canzone americana Lovely to Look at (dal vecchio film Roberta); Con te ha ricordato, anche per la identica orchestrazione fatta da Angelini, At Parfum Cotinter trasmessa dalla radio fino a poco tempo fa; Cirillino Ci ha fatto riaffiorare alla memoria l’indimenticato Tipitipitì di Grever; Tutte le mamme era un cocktail di Organetto vagabondo, di Pianino di Napoli e di canti natalizi; la Canzone da due soldi arieggiava Non è vero, Limon limonero e, nell’inciso, Foglie morte: Notturno pareva ispirato al « Caro nome » dal Rigoletto di Giuseppe Verdi; Mogliettina, che tuttavia è sembrata tra le canzoni più ispirate, non faceva certo dimenticare Too Young e il Valzer di Pierrot. Tutto questo non vuol dire che i nostri canzonieri abbiano a bella posta tenuto presenti schemi di vecchie canzoni di successo. Vuol dire soltanto che quando molti compositori si battono per il trionfo della « canzone italiana » e per l’ostracismo alle canzoni americane o francesi, spesso predicano bene e razzolano male. Appena si siedono davanti a un pianoforte, almeno quelli che conoscono la musica, inavvertitamente non fanno che riscrivere sulla carta frammenti di frasi che hanno già nell’orecchio. Probabilmente la colpa non è neppure degli autori. È il meccanismo del festival che crea questi inconvenienti. Vincere a Sanremo, le cifre lo hanno ampiamente dimostrato, vuol dire tagliarsi una grossa fetta di diritti d’autore e lo spettro dei milioni tenta ogni canzoniere. Si va cosi alla ricerca del soggetto che possa piacere di più, del genere che possa appassionare maggiormente tenendo d’occhio le più recenti simpatie manifestate dal pubblico. La canzone non nasce quindi, per lo più, da una ispirazione spontanea ma secondo una ricetta assai ben dosata; tanto di mare crudele e tanto di mamma bianca, un po’ di vetrine illuminate e un po' di bionde forestiere.
Tutte le mamme, la canzone che ha vinto il primo premio con 109 voti contro i 62 delia seconda e i 45 della terza, è opera di due autori: il paroliere Umberto Bertini e il musicista Eduardo Falcocchio. Bertini ha 40 anni ed esordì come poeta dialettale romano collaborando al Rugantino e vincendo numerosi concorsi di San Giovanni. Si è trasferito a Milano nel 1938 dopo il successo ottenuto dai versi scritti per Un giorno ti dirò di Kramer. Le canzoni che preferisce ricordare sono Conosco una fontana, Tango di Ramona, Un'ora sola ti vorrei, Sapevi di mentire, Sette lune, Serenatella a mamma. Innamorami e Cancello chiuso. Eduardo Falcocchio è nato a Napoli 33 anni fa. Dopo aver studiato per suo conto il pianoforte, a 16 anni riuscì a impiegarsi come pianista in una casa editrice napoletana, specializzata in canzoni di Piedigrotta. Vi rimase due anni e poi, scritta la prima canzoncina, Maria Maria Mari. fu scritturato come pianista dalla compagnia di varietà di Raele Cappelli. Intanto la sua prima composizione aveva avuto la fortuna di esser cantata da Luciana Dolliver e di essere elogiata da Aldo Fabrizi. Falcocchio ebbe i suoi primi ammiratori, e tra questi Rascel. Il popolare attore, che in quegli anni non aveva ancora incontrato Gogol, si esibiva sui palcoscenici con l’aiu. to di una « spalla » in orchestra che rispondeva con colpi di tamburo o battute impertinenti alle snodate filastrocche.
Molivi popolari
Rascel assunse Falcocchio come compositore delle musiche per i suoi « numeri », come direttore d’orchestra e come « spalla ». Il giovane musicista riuscì così a creare alcuni motivi divenuti popolari: Serenata serena, Hanno rapito madonna luna, Limoni d'oro. Durante la guerra, rimasto a Milano dopo una tournée con Rascel, conobbe una prima ballerina della Scala, Ene Gilioii, diventata cantante e subrette della compagnia di Dante Maggio, e la sposò. In quel periodo, fino al 1945, Falcocchio lavorò come pianista alla Radio di Milano, finché, liberata l’Italia del Sud. potè partire per Napoli e riprendere poi i vagabondaggi con le compagnie di Beniamino Maggio, di Valdemaro, di Riccardo Billi e Elena Quirici. A Milano, per mettervi definitivamente le radici, tornò soltanto nel 1950 dopo il successo della sua canzone Zoccoletti, fatta in collaborazione con Bertini.
Allo stesso Bertini, tre mesi fa, chiese una poesia per partecipare al festival di Sanremo. Il « paroliere » era inchiodato a letto da una sciatica bilaterale con principio di artrosi. Costretto alla immobilità e alla meditazione dalle sofferenze della malattia, Bertini pensò alla mamma, e dettò la poesia per telefono. Il giorno dopo Falcocchio. sempre per telefono, gli fischiettò la melodia. La canzone era nata. La sciatica bilaterale era destinata a vincere il festival di Sanremo.
Alfredo Panicucci, «Epoca», anno V, n.175, 7 febbaio 1954
Alfredo Panicucci, «Epoca», anno V, n.175, 7 febbaio 1954 |