Totò poliziotto non piace a poliziotti
La storia del poliziotto Totò e della “sbandata” Carolina, benché risolta in tono bonario e distensivo, ha determinato un inconcepibile irrigidimento da parte degli organi di censura. Niente visto: neanche con 37 tagli il film è riuscito a passare
Un film che non vedremo, a meno che non intervengano tardive reminiscenze (ma non si vede né come né da parte di chi), è Totò e Carolina di Mario Monicelli. Bocciato dalla Commissione di censura in prima istanza, il film è stato presentato davanti alla Commissione di appello, dopo che il regista vi aveva apportalo notevolissimi tagli - non meno di duecento metri di pellicola - ma questa ha riconfermato totalmente il giudizio della prima Commissione, giudicandolo un film che offende « la morale, la pubblica decenza e le forze di polizia ».
Per Mario Monicelli la decisione della censura costituisce un grave inaspettato infortunio. Totò e Carolina era infatti il primo film che egli aveva realizzato e firmato da solo, dopo la lunga collaborazione con Steno, e costituiva per cosi dire il primo frutto personale della sua lunga carriera cinematografica, iniziata da giovanissimo e scontata anche nei ruoli più marginali e meno soddisfacenti. Monicelli è infatti un regista che, come suol dirsi, è venuto dalla gavetta. Cominciò a Milano, realizzando dei brevi film a formato ridotto (di cui uno, nel ’36, fu premiato a Venezia). Poi, siccome in quell’anno c’era in Italia Machaty — il regista di Estasi, allora in gran voga — fece il ciacchista di Ballerine, pur di stargli accanto. Quindi fu segretario di produzione, elettricista, aiuto regista e, dopo la guerra, sceneggiatore: da solo sceneggiò i film di Germi, poi, in collaborazione con Steno, si dedicò a quel genere di film comici che in seguito diressero insieme come registi. L’anno scorso Monicelli si separò da Steno, senza una ragione specifica, e quest’anno è arrivato per Totò e Carolina l'alt della censura.
Non è la prima volta che Monicelli ha a che fare con la censura. Già, a proposito di Guardie e ladri e delle Infedeli, gli era accaduto di sentirsi fare delle obiezioni ed egli aveva dovuto tagliare delle scene, cambiare delle battute; ma, come le divergenze si erano appianate nel passato con reciproche concessioni da una parte e dall’altra, cosi egli pensava che sarebbe accaduto anche per Totò e Carolina. Tanto più che la sostanza, l' “ humour ”, il significato del film non si differenziano granché da quelli su cui si reggeva, per esempio, Guardie e ladri. Totò e Carolina è infatti la storia di un agente di P.S., un “ celerino ” per essere precisi, al quale viene affidata — perché la riporti al suo paese — una ragazza sorpresa priva di residenza, durante una retata del Buon Costume.
Questa missione procura all’ agente una serie di guai; quando al paese di lei nessuno, un po’ per “ pruderie ” un po’ per non avere impicci, vuol riprendersi la ragazza, e durante il viaggio di ritorno, in seguito all’incontro con un ladro e alle disavventure che ne conseguono. Per farla breve, l’agente di P.S., che era partito con l’idea di avere a che fare poco meno che con una delinquente e con il preconcetto che tutte le persone si dividano in due categorie — quelli che stanno in prigione e quelli che ci debbono andare —, finisce con l’accorgersi che le cose non stanno in realtà come egli credeva: capisce che la ragazza non è una mezza prostituta ma una povera ragazza, che il peccato non sta in lei, e decide cosi — dopo che tutti l’hanno respinta — di prenderla con sé, a casa sua.
Quasi con la stessa inversione delle parti, si ricorderà, terminava Guardie e ladri: la guardia nell’inseguire il ladro scopriva in lui un povero diavolo, una natura umana di cui non sospettava l’esistenza. Mutati i personaggi, il gioco psicologico e il significato umano in Totò e Carolina sono rimasti gli stessi e da qui si può giudicare di che film si tratti. “ E’ ”, dice Monicelli, " un filmetto cordiale, intessuto di episodi che capitano, pungente qua e là; appartiene a quel genere di comicità che non si affida unicamente ai lazzi e ai giochi di parole ma che cerca di riallacciarsi per qualche verso alla realtà, senza per questo voler affrontare e tanto meno esaurire nessun problema di fondo ". Intenzioni simili erano già affiorate del resto, oltreché in Guardie e ladri, anche in altri film di Monicelli ( in Totò cerca casa ad esempio) come un modo di sottrarsi e di fare eccezione alla comicità deteriore di tantissimi film, campata sul niente, tutta arbitraria e meccanica; e questa era stata la ragione non ultima del loro successo presso il pubblico.
Se questo è il quadro niente affatto rivoluzionario in cui si può inserire il film, c’è da chiedersi, dice Monicelli, il perché della sua non approvazione. C’è, è vero, nel film un “ celerino ” che fa ridere, ma in Guardie e ladri c’era una guardia più ridicola di Totò, e pili moralmente censurabile : non aveva voglia di fare quel mestiere, proponeva al ladro di non portarlo in galera, ecc. Ma guardiamo all’effetto, dice Monicelli. Certamente il personaggio del “ celerino ” interpretato da Totò fa ridere, ma il fatto che si dimostri umano, il più umano di tutti, non è tale forse da smuovere e attirare la simpatia degli spettatori? E’ addirittura l’intero Corpo, attraverso un personaggio, che diventa simpatico e se in Italia ci fosse dell'antipatia verso i “ celerini ” il film contribuirebbe a farla scomparire. Non accadde, dopo Guardie e ladri, che le guardie cercassero Fabrizi per stringergli la mano?
Il verdetto della censura parla anche di offese alla pubblica decenza, e forse si è voluto con ciò prendere di mira la scena iniziale del film, dove è descritta la retata della polizia del Buon Costume. Ma sia per l’oggetto in sé sia per il modo come è stato trattato, non si può affermare, continua Monicelli, che le prostitute di Totò e Carolina siano più “ offensive di quelle di altri recentissimi film ”; anzi. Del resto questa scena insieme a certe battute ed esclamazioni e alla scena di un miracolo empirico, sono state tagliate dopo il giudizio della prima Commissione. E allora? Da qualsiasi parte si guardi il film, mancano gli elementi che giustifichino il verdetto della censura; " né sta a me l’indicarli ", dice Monicelli, " che sono il giudicato ".
Un film comico del resto di che cosa è fatto se non di certi accostamenti, di certi contrasti che muovano al riso; e se qui il contrasto nasce fra l’altro dalla presenza di preti, guardie, comunisti, ecc. non sono questi stessi gli elementi e i bisticci di cui si avvale, per esempio, lo spettacolo di rivista? In Totò e Carolina, per di più, si vede che dei tre personaggi — comunisti, prete, celerino — i primi non fanno nulla di concreto per la ragazza (non le cercano un lavoro, per esempio), il secondo si adopera per sistemarla e se non riesce non è colpa sua, il terzo infine è l’unico che compia qualcosa di positivamente umano.
Se nel film non esistono, bisognerà allora cercare i motivi della negata approvazione al di fuori di esso. Il fatto che nei giorni in cui veniva notificato a Monicelli il giudizio definitivo, il suo nome comparisse in certe “ liste di proscrizione ” tra quelli dei registi “ appartenenti al PCI ” e le ripercussioni che ciò ha immediatamente provocato nel campo cinematografico — leggi produttori — rendono plausibile l’ipotesi che proibendo Totò e Carolina si sia voluto dare un avvertimento; come un far seguire i fatti alle vere intenzioni. “ Ma in tal caso è chiaro ” dice Monicelli, il quale fra l’altro non è neppure iscritto al PCI, “ che basta pochissimo oggi per essere giudicato comunista. Basterebbe, oggi, rifare Ladri di biciclette per vedersi negare il visto censura ”.
Stelio Martini, "Cinema Nuovo", anno III, 15 aprile 1954
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Stelio Martini, "Cinema Nuovo", anno III, 15 aprile 1954 |