La polemica moralistica sull'«Oro di Napoli»
Una delle lettere di protesta
Sig. direttore,
in uno degli ultimi numeri del suo giornale, Giuseppe Marotta così si esprime a proposito del film Casa Ricordi: "Cento anni di musica in un empiastro cinematografico. Un cattivo gusto, una volgarità ineguagliabili! I fantocci di Bellini di Rossini ecc". E così per tutte le dieci righe dedicate a quel film. Anzi, per essere precisi, dieci meno una: questa: "Per miracolo indenne il fascino di Myriam Bru" « E sta bene. A parte la durezza della forma, d'accordo che si tratta d’un polpettone. Ma, in fondo, un polpettone che non fa male a nessuno: non a quegli immortali ormai cosi lontani da noi in un mondo migliore; non alla loro musica sempre così vicina al nostro cuore e sempre viva, a dispetto e a sostegno di tutti i polpettoni cinematografici del genere.
Ma perché Marotta non ci parla anche di un altro polpettone?... Quello tratto dall'omonimo suo romanzo L’oro di Napoli?... Il quale (il film, non il romanzo), a differenza dell'altro, è quanto mai nocivo, non solo perché Napoli è viva e vitale, ma perché, dentro e fuori, viva e fervente è l'aspirazione a farla uscire da quel cliché miserabile nel quale la ricacciano inesorabilmente i film a base di camorristi, pazzarielli, pizzaiuoli, sfregiatori, adultere e maestri di pernacchi. Tutto roba che ai meno provvisti e ai meno informati finisce per apparire come il solo e vero... oro di Napoli.
Questo per non parlare degli altri due episodi che si possono ambientare tanto a Napoli che a Calcutta, null' altro essendo che due pezzi di bravura di Vittorio De Sica e Silvana Mangano. L'uno che, per avere a protagonista il nobile decaduto nel censo e nel senno, può dirci quello che vuole senza dirci nulla; l'altro che (presentandoci quel tale che per punirsi di aver spinto al suicidio una ragazza innamorata di lui, sposa una qualunque prostituta e, la sera delle nozze, le butta in faccia la ragione per cui l'ha sposata e il proposito di gridarlo dal balcone) dimostra null'altro che anche quest'altro ha il cervello fuor di posto. Altrimenti si sarebbe accorto che quella non era la migliore espiazione che potesse imporsi, poiché dopo aver fatto morire, senza volerlo, una donna, tenta deliberatamente di ucciderne una altra. Anche se non fisicamente e anche se si tratti di una disgraziata che, come l'altro, non gli aveva fatto alcun male e che, a differenza dell'raltra, non gli aveva chiesto nulla.
Ma anche in questo film, signor direttore, ci è qualcosa che si salva: ed è il candido e prosperoso seno di Sofia, così generosamente ondeggiante nella manipolazione delle pizze e nelle scappatelle extraconiugali.
Dott. Giuseppe Buonocore - Salerno
Roma, gennaio
Fatta qualche rara eccezione, i giudizi estetici su L’oro di Napoli sono stati caratterizzati dall'entusiasmo. Il successo artistico dell’opera, realizzata dal trinomio De Sica-Marotta-Zavattini, è stato indiscusso e indiscutibile. La critica ha usato aggettivi inconsueti; il pubblico ha affollato le sale ed ha applaudito. Ma quegli stessi che hanno esaltato senza riserve l’opera artistica, ne hanno poi variamente discusso taluni veri o presunti aspetti negativi sul piano pratico Quegli stessi argomenti già ascoltati al termine degli spettacoli di prima visione sono stati più o meno riecheggiati nelle lettere di centinaia di lettori in queste ultime settimane. Tutti sono unanimi nel riconoscere i meriti artistici del film. Ma non per questo si astengono da critiche e da riserve. Gli addebiti che con maggior frequenza vengono mossi all’Oro di Napoli sono più o meno questi: la pellicola è diffamatoria non soltanto per Napoli, ma per l'Italia, in quanto sottolinea soltanto gli aspetti deteriori del temperamento napoletano in particolare e italiano in generale. Lo svolgimento del film è in contraddizione aperta col titolo: L'oro di Napoli promette il meglio nella presentazione, ma dà il peggio nel racconto. Nel preambolo, la pellicola preannuncia la vitalità, la generosità, il coraggio del napoletani. ma indugia, poi, soltanto sulla viltà, sulla grettezza, sui difetti di carattere.
I carabinieri salutano il bambino
In definitiva, il film viene considerato privo di quell’equilibrio, che si sarebbe raggiunto invece, secondo il pensiero medio dei lettori, alternando alle qualità cattive dei napoletani anche quelle buone. L'opera cinematografica, insomma, avrebbe dovuto avere una maggiore aderenza, soprattutto nel dosaggio degli episodi, a quella letteraria Perché dell’Oro di Napoli di Giuseppe Marotta sono stati presi soltanto i capitoli negativi? Chi ha scelto gli episodi? E con quale intento, se non quello di presentare una Napoli diversa da quella sentita dallo scrittore? Queste domande, che costituiscono, nella sostanza, il fondamento delle accuse alla pellicola di Vittorio De Sica, non tengono alcun conto delle esigenze del cinema. Possiamo precisare, comunque, che la scelta degli episodi fu fatta di comune accordo tra Marotta, De Sica e Zavattini, soprattutto in relazione alle possibilità di trasposizione e di resa cinematografica dei vari racconti. Ne furono esclusi alcuni «meno negativi», soltanto perché, trasformati da opera letteraria in opera cinematografica, avrebbero perduto pregi e significato. A pellicola conclusa, infine, un episodio «positivo * fu tagliato per esigenze di programmazione. Al di là, quindi, dei desideri e delle intenzioni degli autori.
Sugli appunti mossi al film abbiamo chiesto il pensiero di Vittorio De Sica, regista ed interprete del film, di Giuseppe Marotta, autore del libro e sceneggiatore della pellicola, di Cesare Zavattini, sceneggiatore e collaboratore intimo di De Sica. Ed ecco quel che ha dichiarato De Sica all’Europeo:
«Innanzi tutto, una premessa: l’oro di Napoli non è la ricchezza. La pazienza e la speranza sono il vero oro dei napoletani. L’autore del romanzo ha chiarito in questi termini il titolo dell’opera e gli autori del film sono stati fedelissimi a questo significato.
«Gli appunti di taluni lettori non corrispondono al giudizio della quasi totalità del pubblico o di coloro che io ho potuto avvicinare e che a viva voce mi hanno manifestato le loro impressioni sul film. I napoletani con i quali ho parlato, cosi come la maggior parte della critica, hanno notato che nelle scene dove maggiore è la critica, o meglio la satira, si nasconde sempre un profondo amore per il popolo napoletano.
«Peccato che nella pellicola sia stato tolto, dalla produzione e dalla distribuzione, per esigenze di metraggio e di programmazione, l’episodio del "Funeralino", nel quale una mamma accompagna al cimitero il proprio bambino. Questo episodio, che allungava il film d’una decina di minuti, seguiva intenzionalmente quello della bella Pizzaiola. Il motivo della morte, che ricorre sempre nei rapporti umani dei napoletani, era messo in contrapposizione col personaggio esteriore e leggero interpretato da Sofia Loren.
«Nel "Funeralino” (interpretato da personaggi presi dal vero), la mamma che accompagna il proprio bambino al cimitero vuole che il corteo funebre non passi per i vicoli, ma percorra la via grande, quella verso il mare. Il suo desiderio è che il suo bimbo abbia un funerale degno. Il corteo incrocia i carabinieri a cavallo, e i militari salutano portando la mano alla visiera. Passa poi vicino al porto e i piroscafi all’ancora suonano le loro sirene. La donna getta confetti perché i bambini vivi, gli scugnizzi, corrano attorno al carro che trasporta suo figlio. Quando ritiene di non aver fatto mancar nulla al bimbo, soltanto allora la mamma dà sfogo al suo dolore.
«Questo era, nel film, un episodio positivo, puntato sulla bontà, sulla generosità, sul coraggio morale, volutamente fatto seguire a quello della ragazza vanitosa e leggera, e che precedeva il racconto del bambino del portinaio che gioca a carte col conte (personaggio da me interpretato). Quest’ultimo, è un bambino vivo, che ha tuttavia l'infanzia sciupata dalla pazzia d’un vecchio.
«L'oro di Napoli, insomma, considerando talune e non tutte le qualità dei napoletani, buone o cattive che siano, ha avuto come motivo dominante quello di sottolineare la vera ricchezza di questo popolo: la pazienza e la speranza».
Che ne dicono all’estero?
Giuseppe Marotta, dal canto suo, ha ribadito il concetto, già da lui espresso in altra sede ed in veste di critico, della assurdità di un giudizio su un’opera d’arte che prescinda da considerazioni esclusivamente estetiche. «Confesso», ha dichiarato Marotta, «che questa piccola discussione m’imbarazza. Vorrei poterla svolgere imparzialmente, liberamente. £ qui sono (come autore dei racconti che hanno suggerito il film, e come uno degli sceneggiatori di esso) talmente parte in causa! Mi limiterò a due o tre considerazioni. Gli spettatori dissidenti o perplessi chiedono: ”É la vera Napoli, quella del vostro film? È l'oro di Napoli quello che voi ci mostrate? Ritenete di aver lodato o biasimato Napoli con queste immagini? Ci nuocerà all’estero la presentazione di questo lavoro?". Ed ecco, in breve, molto breve, le mie risposte.
1 ) La sola verità importante, in un’opera d’arte, è la verità sul piano dell’arte. L'oro di Napoli non è un’inchiesta, un documentario, bensì un film su Napoli, ossia un lavoro creativo, un’interpretazione un ritratto di Napoli. Dunque può essere falso o vero unicamente in senso estetico, e cioè riuscito o non riuscito, artistico o non artistico. Infatti abbiamo tante "verità” diversissime (talora contrastanti) di un soggetto, quanti sono gli autentici artisti che lo trattano. Ciascun effettivo artista ha un modo suo, tutto suo. di occuparsi del mondo e dei sentimenti, delle cose e della gente.
2) Il libro al quale il film si è ispirato non attribuiva ai fatti che narrava la qualità di oro di Napoli; diceva semplicemente che ”una superiore, intelligente, ereditaria pazienza” e "la possibilità di rialzarsi dopo ogni caduta” (un modo, un gusto e quasi un genio di vivere, cioè) costituiscono l’oro di Napoli. E a questi connotati spirituali allude chiaramente anche la didascalia iniziale del film.
3) De Sica, Zavattini (e io nella doppia sede letteraria e cinematografica) non pensiamo né di aver lodato né di aver biasimalo Napoli raccontandola come l'abbiamo raccontata. Pensiamo semplicemente di averla amata.
4) L’estero. Indicare all’estero un’Italia misera, inguaiata, e così via. Quanti discorsi intellettualmente ancor più miseri e inguaiati produce questo argomento! Parliamo di esportazione di arance o di automobili, forse? Dovremmo vantarci all’estero dei quadri eleganti di Boldi-ni (mi tengo prudentemente lontano dai nomi attuali) e dei romanzi mondani di Lucio D’Ambra, vergognandoci, al contrario. dei quadri di Migliaro o di Mancini, e dei romanzi di Verga? Che ragionamenti sono questi? Madame Bovary infama la provincia e le donne francesi? E gli scrittori americani d’oggi, con il loro mondo spesso tetro e disperato? E i film di Hollywood? Scarface. I gangsters. La città nuda, Fronte del porto danneggiano l’America? Indicano la verità e la unica verità dell’America? No, essi ne trattano, sul piano artistico, un certo aspetto. E vanno comunque, ripeto, giudicati con criteri estetici. Un film girato per criticare l’Italia, ma bello, onora e fa apprezzare l’Italia; un film girato per esaltare l’Italia, ma brutto, calunnia e fa detestare l’Italia. DelPOro di S'apoli. come di qualunque film, dovete semplicemente dire: ’’È bello" o "è brutto”. Non c’è altro merito e non c’è altro demerito per un film. Il bello giova e ha ragione; il brutto nuoce e ha torte: indipendentemente dai temi, dalla 'realtà”, dagli ”assunti” ecc. Quando gli spettatori si saranno convinti di ciò, avrà inizio l'epoca ideale dei rapporti fra artisti e pubblico».
Cesare Zavattini, quando è stato sollecitato ad esprimere il suo punto di vista sulle riserve avanzate dai lettori, era sul punto di partire da Roma per alcuni improrogabili impegni cinematografici.
«Il tema è importante e mi appassiona» , ha dichiarato. «Avrei preferito meditarlo per dare una risposta esauriente. Ma forse è meglio che mi abbiate colto col piede sul treno: altrimenti avrei portato via troppo spazio all'Europeo per trattare l'argomento a fondo. Confesso di non essere meravigliato delle solite accuse di lesa patria mosse da qualche ambiente ad un film italiano. So che, purtroppo, ci sono ancora i professionisti del patriottismo, quelli che confondono la vanità con la dignità d’una nazione
«Quest'anno si sono fatti in Italia circa 200 film: una grossa cifra, mi pare; che un cinque per cento di questi film tenga presente la lezione della guerra, che siano cioè film coraggiosi, con un rapporto schietto nei confronti della realtà del paese, non mi sembra una percentuale che possa turbare qualcuno Tanto più che l’altro 95 per cento viene riservate» i quelle pellicole che non tengono, e non vogliono minimamente tener conto delia stessa lezione. Ma, dicono, è proprio quel 5 per cento che finisce col mostrare agli stranieri le piaghe del nostro amato corpo. Obbietto: ci sarà pur qualche ragione, se gli stranieri rilevano, notano, sottolineano con la loro attenzione proprio quel 5 per cento addirittura lo citano come esempio di una raggiunta coscienza civile di un popolo che rimedita la sua cronaca e la sua storia proprio per superarle.
«Non è detto che questo modesto 5 per cento, e non lo ripeterò mai abbastanza, sia un tipo di cinema che fa a meno del divertimento. Tutt’altro. A me personalmente, lasciatemelo dire una volta tanto, piacciono enormemente i film musicali, con belle donne, umoristici, satirici. Ne faccio delle scorpacciate. Ma, nello stesso tempo, non dimentico che cosa è il cinema. Vorrei ricordare a questo proposito quel che afferma il codice americano Hays: '"Sebbene il cinema debba essere considerato in primo luogo come mezzo di divertimento, senza scopo preciso di propaganda e d’insegnamento, i produttori sanno che il cinema può essere un mezzo diretto per il progresso spirituale e morale, per un livello di vita sociale più elevalo, per un modo di pensare più giusto". Che un 5 per cento dei film italiani tenga conto della vera funzione del cinema, non mi sembra eccessivo. Ma non vogliono neanche il 5 per cento, quei patrioti che potrei chiamare "dei polsini bianchi che hanno cioè i polsini lindi e inamidati, ma che sotto la giacca non hanno le maniche della camicia. In sostanza. questi signori danno al termine 'ricchezza d una nazione” un valore tutto esterno, turistico; non un valore intimo. di carattere. Sono ancor quelli che. di fronte all’estero, pensano di poter barare col numero delle baionette. Tutto questo discorso m’è ispirato, sì. dalle proteste di questi signori, ma non mi pare il caso di chiamare in causa L'oro di Napoli. Il film, anche laddove i fatti della pellicola non seguono rigorosamente i fatti dell’opera di Giuseppe Marotta, è con evidenza aderente allo spirito di un lavoro che si può considerare uno dei più belli ed espliciti atti di amore che un vero artista abbia potuto rivolgere a Napoli. E mi pare anche che la grande regìa di Vittorio De Sica sia degna del libro, col suo essere così partecipe, solidale con qualsiasi personaggio, con qualsiasi luogo che passi sullo schermo.
«Anche per De Sica, come per Marotta, l'ispirazione, cioè, è di alta consanguineità. Io sono di paese fluviale e nebbioso: però anch’io, quando lavorai a Napoli per la riduzione cinematografica del libro, mi aggirai per le strade della città, cercando di conoscerla. E voler conoscere, è a priori un atto d’amore. Ci sono tanti film da fare a Napoli, che è davvero infinita, come tutte le cose vive di questo mondo. E c’è ancora tanto da vedere di questa città. Per esempio, una cosa che mi piacque enormemente fu la storia d una famiglia ch’io vidi emigrare dai Granili alle case nuove. Se noi avessimo raccontato anche questo episodio, i bempensanti, di certo, avrebbero detto: ”Va bene: facciamo vedere le case nuove, ma non facciamo vedere i Granili”. Eppure in quella emigrazione, nei giuochi dei bimbi nel nuovo ambiente, nei nuovi rapporti col mondo pulito s’avvertiva una civiltà straordinariamente esistente, ma straordinariamente compressa dalle circostanze. L'aro di Napoli anche lì era rappresentato dalia pazienza con la quale la famiglia dei Granili s’era adattata, si era rassegnata per tanti anni a vivere in quel modo».
«L'Europeo», anno XI, n.5, 30 gennaio 1955
«L'Europeo», anno XI, n.5, 30 gennaio 1955 |