«A prescindere» da Totò la rivista continua a decadere

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Ettore Petrolini asseriva che «l’uomo è cattivo», e per darne la prova, fattosi sotto i lumi della ribalta, aggiungeva: «Ho conosciuto uno che diceva: è subdolo», oppure «conosco un tale che dice: a prescindere». Dietro Totò, sempre è sembrato rivivere qualcosa dell’ombra di Petrolini. Non a caso la nuova rivista con la quale Totò si è ripresentato al pubblico romano, dopo una troppo lunga assenza, si intitola appunto A prescindere... Non a caso, in una figurazione di Otello, nella quale abbiamo inutilmente sperato di trovare un riferimento satirico allo spettacolo che Vittorio Gassman e Salvo Randone vanno rappresentando ininterrottamente da quasi due mesi, per raffigurare il Moro di Venezia il quasi sessantenne Totò porta scarpe (se così si possono chiamare) molto simili a quelle portate da Petrolini nel suo «Nerone» arcifamoso.

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Che cosa significa tutto questo, quando, come nel caso di Totò, si tratti d’una tra le maschere più originali dei tempi moderni? Forse tutto questo significa soltanto che i motivi della comicità sono rari e che ognuno li rivive a proprio modo. In realtà, un accostamento tra Petrolini e Totò è possibile soltanto sul piano dell’assurdità. I così detti «slittamenti» di Petrolini, ch’erano tutti di natura recitativa, trovano la loro contropartita in certe acrobazie anatomiche di Totò. Senonché Petrolini aveva creato una vera galleria di tipi, laddove Totò, a tutt’oggi, ha perfezionato un solo tipo: se stesso. Quanti rimpiangono che Totò non si sia fatto attore per così dire regolare, e pensano ch’egli sarebbe ancora in tempo a figurare come nessuno in certe commedie o farse napoletane di Edoardo Scarpetta, forse dimenticano (e questa è una riprova del suo potere espressivo) che Totò ha Impiegato anni di lavoro per darci qualcosa che da un lato è farsa già concretata in personaggio, e dall’altro è personaggio che ad ogni istante si concreta farsescamente. Fuori di siffatta unicità egli rimane per tutti un mistero inesplorato.

A quella unicità, del resto, i seguaci di Totò (e sono innumerevoli) rimangono attaccatissimi. Totò è ormai entrato per sempre nella grande tradizione comica italiana. La prima sera, quand’egli si affacciò alla passerella del Sistina (un teatro per duemila persone, le cui poltrone erano state vendute a quattromila lire), l’applauso che lo accolse fu tra quelli che anche i grandi interpreti, le persone per le quali il consenso delle folle è un nutrimento, non sempre sono capaci di sopportare.

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I battimano durarono alcuni minuti e, a un certo punto, sembrò che i nervi di Totò non reggessero.

Eppure l’andamento dello spettacolo, al quale è stato dato maggior rigore nelle serate successive, ha lasciato intendere da una parte di qual natura sono le esigenze di un pubblico anche devoto, e dall’altra quali le esigenze di un’attività professionale come quella dell’attore. Circa il pubblico, s’è capito che migliaia di persone accorse per ridere alla mimica e ai lazzi di Totò, pur rimanendo fedelissimi alle scoperte interpretative dell'attore, insieme a ciò che già conoscevano e amavano avrebbero voluto da Totò «qualcosa di nuovo» : non già ch’egli contraddicesse la propria maschera o i propri gesti, non già insomma un Totò diverso, ma un Totò che nel grande spazio dei propri limiti, alla scoperte del passato sapesse aggiungere una scoperta d’oggi. Non gli chiedevano insomma di staccarsi dal proprio tipo, ma sembravano delusi ch'egli si limitasse a ricalcarlo.

In quanto a lui, un poco più pingue, meno brillante, con una voce (almeno la prima sera) meno voluminosa, dovrei dire che le sue invenzioni di sempre, sebbene arcìnote (escluso uno spettacoloso movimento di «Rock and roll» che di Totò mette a dura prova il fiato), sono tuttora sorprendenti. In A prescindere... Totò dà fondo al repertorio suo, le cui invenzioni ormai classiche sono state abbondantemente divulgate anche dal cinema. Perfino i finali, il coro del «mazzolin di fiori» da lui diretto, la processione e la marcia dei bersaglieri appartengono al Totò che potremmo definire antico. Eppure, la prima sera, non la notorietà di quei pezzi impediva di ridere, ma piuttosto non si sa bene quale distacco tra l’interprete e le proprie invenzioni. Sei anni sono molti, e l’abitudine a calcare le tavole di un palcoscenico non tollera senza risentirne assenze troppo prolungate.

Detto questo. Totò rimane il comico di razza che tutti conosciamo. E bisogna aggiungere che certi suoi imbarazzi probabilmente non sarebbero stati neppure avvertiti se Nelli e Mangini, autori della rivista, lo avessero meglio servito. È inutile: lo spettacolo di rivista ogni anno promette di rinnovarsi, e al contrario ogni anno consuma le poche risorse ancora a sua disposizione, senza che una mente davvero alacre, o capricciosa, comunque attiva, riesca ad opporsi alla sua decadenza.

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Per l'allestimento di A prescindere... Remigio Paone non ha lesinato i mezzi: anzi. E la scelta dei collaboratori, dalla coreografa Gisa Geert al musicista Carlo Alberto Rossi, allo scenografo Artioli, al costumista Folco, le Show Girls e il balletto della Geert, e singoli interpreti quali la ridente e ottimistica Franca May, la conturbante Yvonne Ménard, la graziosa Franca Gandolfi, Enzo Turco, che è una buona «spaila», e Mario Di Giglio che ha buon talento imitativo, tutto sembrerebbe conferire allo spettacolo, soprattutto per quanto riguarda la parte visiva, una qualità insolita. Ma il copione è di una povertà sconcertante. Sembra impossibile che disponendo di una energia comica quale è quella di Totò, nemmeno questa volta si sia riusciti a trovare un alimento, un pretesto, uno solo, anche minimo, che mostrasse se non altro l’intenzione di non lasciar cadere un’occasione fuori dell’ordinario.

Raul Radice, «L'Europeo», anno XII, n.51, 16 dicembre 1956


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Raul Radice, «L'Europeo», anno XII, n.51, 16 dicembre 1956