Tre donne veramente in gamba per il trionfale ritorno di Totò

1956 A prescindere 006 12 L 


«A prescindere» è la rivista dei napoletani - Alla «prima» romana il celebre comico piangeva come un bambino, Franca Faldini singhiozzava perdutamente dietro le quinte e Paone si raccomandava, senza alcun successo, perchè fossero risparmiate certe battute alquanto pesanti

È lecito prevedere che la scienza riuscirà presto a far sì che il parto della donna avvenga senza dolore; ma nemmeno l’ottimismo più spinto autorizza invece a prevedere che senza dolore e immane travaglio possa nascere, per anni ancora, uno spettacolo di rivista.

I dolori del parto che hanno accompagnato la nascita di «A prescindere» sono cominciati dal momento stesso che l’impresario Paone e il principe De Curtis, in arte Totò, hanno letto sui giornali l’annuncio, da loro stessi diramato, della quasi storica decisione di formare una compagnia per il prossimo anno. Fin da allora, infatti, i due si sono resi conto della grande attesa che avrebbe circondato il debutto dello spettacolo. Paone è un uomo di una calma straordinaria, quasi disumana, almeno esteriormente, ma Totò ha cominciato ad entrare subito in stato di crisi. Incertezze e discussioni interminabili hanno accompagnato la fase di preparazione soprattutto per quanto riguardava il genere di spettacolo e poi il tipo di sketches da presentare. Queste discussioni terminavano regolarmente con la vittoria di Totò che con decenni di trionfi sulle spalle era un contraddittore difficilmente convincibile. Si è deciso così di fare una rivista stile tradizionale, con «pezzi» per Totò di impostazione farsesca, secondo i vecchi schemi, alcuni dei quali, addirittura, del suo vecchio repertorio.

Il signor Errepì

Paone fece un contratto con il teatro Morlacchi di Perugia per debuttarvi il 19 novembre e fare un paio di repliche allo scopo di rodare la compagnia. Le prove sono poi cominciate al palazzo Brancaccio e finite, una settimana prima del debutto, a Perugia stessa.

La prima caratteristica che salta agli occhi, esaminando l’organico della compagnia, è la schiacciante maggioranza di napoletani. Frequentando le prove, un tifoso romanista, anche mite, doveva sorvegliare molto il proprio linguaggio sportivo pena il rischio di venire linciato sui due piedi da masse immani di patiti del «ciuccio».

La seconda constatazione che poteva fare un osservatore estraneo era che pochi complessi di rivista offrivano un numero così cospicuo di curiosi personaggi.

Anche il pubblico più vasto ha sentito parlare, per esempio, di Remigio Paone, ma solo i suoi vicini ne possono avere una immagine in primo piano e suono stereofonico. Paone, ovvero il signor Errepì, è uno degli italiani più epici ed in questa definizione non c’è solo un apprezzamento positivo. Certo è che egli ha tutte le qualità degli italiani ma altrettanto certo è che non trascura di averne anche i difetti. E' geniale, estroso, entusiasta, inesauribile ma incostante, spesso superficiale, troppo ottimista. Nei suoi spettacoli egli trasfonde la sua energia ed il suo entusiasmo ma a volte dimentica di non poter fare tutto da solo e sottovaluta la necessità di avere dei collaboratori di valore. La stessa impostazione della sua vita e del suo lavoro non rende facile, tuttavia, un affiatamento con dei collaboratori. Finora la sola che abbia resistito è la fedelissima Marga, la sua segretaria. Paone in azione è, comunque, uno spettacolo impagabile. Bisogna assistere a certe sue telefonate con l’estero fatte in uno strano linguaggio napo-intemazionale. Addirittura omerici sono i suoi telegrammi. Per telegramma Paone ordina, chiede, prega, mente, recita, corteggia. Durante le prove di una rivista di Galdieri, i due arrivarono ad un urto ma le necessità dello spettacolo imponevano loro, naturalmente, di stare insieme in teatro e di avere una qualche forma di comunicazione. Bene, Paone, che se ne stava in un palco, dettava un telegramma di cento parole da far giungere a Galdieri che si agitava in platea.

Ultimamente, doveva pregare Franca Gandolfi che si trovava a Parigi di anticipare di un giorno il suo arrivo per poter partecipare al cocktail per l’inizio delle prove. Il telegramma era circa di questo tipo: «Cara Franca, devi assolutamente venire per il giorno fissato. Non farci questo scherzo. Non sarebbe carino da parte tua. Fammi stare tranquillo. Va bene? Vieni. Sarebbe una mancanza di riguardo per Totò. Non ti pare? Allora vieni. Ti aspettiamo». E così via. Franca si precipitò con il primo aereo.

Litigate leggendarie

Leggendarie sono anche le sue litigate con le signorine del telefono. Sembra che le avventizie telefoniste siano minacciate dalle loro superiori: «Se non rigate dritto vi passiamo le comunicazioni di Paone». Totò riceveva da anni le offerte più insidiose da tutti gli impresari. Ha accettato solo quella di Paone e proprio in un momento in cui la Errepì non aveva più la forza di un tempo. A chi gliene domandava la ragione: «Paone è un signore e mi sta bene». Anche Totò è davvero un singolare personaggio, nella vita. Gentilissimo, compitissimo, dà l’idea di un gentiluomo di stampo antico, un esponente della belle époque. Se si impunta su certe cose,
però, non lo smuovono né le buone né le cattive. Ha inserito certe battute, nello spettacolo, un po’ pesantucce. Ora, alla prima romana, dovevano venire almeno una mezza dozzina di ministri, oltre vari esponenti politici. Paone è ricorso a varie tattiche per convincere Totò ad alleggerire il suo dialogo. Sembrava quasi esserci riuscito. Ma ha dovuto ricredersi ben presto. Sulla passerella, il grande comico non ne risparmiava una. Un altro episodio. Proprio la sera della prima a Perugia, Yvonne Ménard, la stella delle Folies Bergère, ha subito un furto piuttosto ingente nel suo stesso camerino. Non trovandosi nel proprio paese e nella propria città, il danno veniva ad essere veramente grave. Appena saputolo, durante la cena che ha seguito lo spettacolo, Totò ha firmato un assegno per la stessa cifra e lo ha consegnato alla Ménard dicendole sottovoce in un personalissimo francese: «In Italia ci sono dei ladri, purtroppo, come ovunque, ma ci sono anche delle persone oneste». Anche questo è Totò.

Quanto ai due autori Nelli e Mangini, la loro caratteristica principale è quella di avere l’aspetto di chiunque meno che di due autori di rivista. Sono due distinti signori di mezza età, napoletani, naturalmente, quieti, svagati, che in mezzo alle turbe scatenate della compagnia sembravano essere entrati in teatro per sbaglio.

Una coreografa geniale

Chi invece è un personaggio fondamentale della équipe è Gisa Geert, la coreografa, che qualche tempo fa avemmo occasione di definire «la scotennatrice delle soubrettes». Gisa è la più geniale coreografa che viva in Italia ed anche il carattere più impossibile. Ha più di cinquanta anni ma è dotata di una resistenza fìsica assolutamente incredibile. Quando sta montando un quadro entra in uno stato di trance che le impedisce di avvertire la stanchezza. Dopo aver provato per due ore una sfrenata «makumba» e aver litigato con la Ménard a proposito di un certo passo, poteva decidere di riprendere alcuni movimenti del quadro siciliano per un altro paio di ore fino a sfinire i ballerini e far loro iniziare complotti a scopo omicida: questo è il momento che poteva giudicare adatto per cominciare le prove del rock and roll.

Studiava pittura

Le due esponenti femminili della compagnia sono Franca May e Yvonne Ménard. Non fanno che scambiarsi sorrisi e complimenti ma forse non arriveranno proprio alla coltellata.

La May è romana, con uno spiritaccio pronto ed un buonumore costante. E’ arrivata molto rapidamente al successo e questo le crea fatalmente invidie e diffidenze ma ha una grande volontà, come ha dimostrato per esempio studiando danza per tutta l’estate onde presentarsi dignitosamente nei quadri coreografici. Quanto alla Ménard ha uno dei visi più interessanti e personali. Non solo il viso, come forse saprete. Ma gli occhi sempre aperti e spiritati le dànno una fisionomia singolare. Il bello è che si tratta di una donna molto intelligente e colta. Prima di fare la femme nue a Parigi, studiava pittura all’Accademia francese di Belle Arti. «In fondo», dice sorridendo con gli occhi, «si tratta di due forme di espressione molto vicine».

Delicatissima la posizione di Mario Del Giglio (Di Gilio, n.d.r.), il giovane imitatore la cui voce ha prestigiose capacità mimetiche. Le sue prestazioni sono forse richieste ancora di più in privato che in pubblico. Le sue caricature mimico-vocali di tutti i componenti della troupe suscitano una sempre rinnovata ilarità e anche qualche malcelata preoccupazione.

Lacrime agli occhi

Un personaggio sconosciuto al pubblico ma assolutamente caratteristico è quello del direttore di scena Rudy Bauer, il Rudy più importante nella storia dello spettacolo, dopo Valentino. E' calato in Italia con le compagnie degli Schwarz, più di venti anni fa, e ancora non ha perso il suo accento austriaco. Certe sue discussioni insieme a Paone, alla Ménard, alle ragazze inglesi meriterebbero di essere registrate e trasmesse senza modifiche. Costituirebbero fra l’altro un contributo ad una lingua universale.

La «première» romana ha raccolto un pubblico immenso. Totò era emozionato come mai nella sua vita e non ha reso forse tutto il possibile. Al suo primo apparire è stato accolto da un applauso che sembrava non finire mai. Ha avuto a lungo le lacrime agli occhi. Anche Franca Faldini, nelle quinte. E’ la prima volta che assiste ai suoi spettacoli da quando gli è vicina. A Perugia, in un palco, era scoppiata a piangere come una bambina.

Sergio Sollima, «La Settimana Incom Illustrata», anno IX, n.49, 8 dicembre 1956


Grazia
Sergio Sollima, «La Settimana Incom Illustrata», anno IX, n.49, 8 dicembre 1956