Lo strano ritorno del reduce di Natale

1960-Letto_a_tre_piazze

Dopo soltanto un mese di matrimonio, sedici lunghi anni di penosa attesa. Nicola Silvestro, tornato dalla prigionia in Russia dopo sedici anni, quando ormai tutti lo ritenevano morto, non ha voluto riabbracciare la moglie che ha continuato ad attenderlo fedelmente : gli avevano fatto credere che la donna avesse avuto cinque figli da un altro marito.

Napoli, gennaio

Vent'anni fa Nicola Silvestro era un ragazzo allegro, spensierato, vivace, con molti sogni e mille progetti per l'avvenire. Aveva vent'anni, abitava a Secondigliano, una popolare frazione del comune di Napoli, era figlio di commercianti ed era considerato dalle ragazze «'nu bello guaglione» oltre che un discreto partito. Ma Nicola Silvestro non si interessava dei progetti matrimoniali dei genitori : era innamorato di una povera ragazza di due anni più giovane di lui e non voleva sentir ragioni. «Se nun me sposi, io m’accido» minacciava. «E io ti sposo» diceva lei. «Jamme, va.» Così scherzavano, per dimenticare la ferrea opposizione dei familiari di lui. Nicola mordeva il freno e Anna attendeva soltanto un cenno per correre a cercare il prete.

Poi lui partì soldato: fu mandato in Alta Italia ed il grado di istruzione che aveva avuto (la seconda avviamento professionale) gli servì a far carriera: divenne sergente. Ma non dimenticò la ragazza del paese; non se ne dimenticò nemmeno quando, finito il periodo di leva, fu inviato in Grecia. Quella lontananza da casa gli diede anzi coraggio, lo fece uscire definitivamente dal guscio dell’infanzia, lo mise di fronte alle prime alternative da uomo. Perciò scrisse alla fidanzata di preparar le carte. Si sposarono per procura nel febbraio del 1942, nonostante l'opposizione della famiglia di lui. Poi, nel maggio, Nicola Silvestro ebbe un mese di licenza: corse a Napoli, indossò l’abito da sposo che aveva preparato da tempo, si fece fotografare al braccio della moglie e si accinse a cominciare la sua nuova vita.

Tutto durò quattro settimane: poi salutò la sposa e tornò ad Atene, dove rimase fino al settembre 1943 e fu promosso sergente maggiore. Dopo quella data Anna Silvestro non seppe più nulla. Le dissero che il marito era stato fatto prigioniero, che era stato tradotto in Germania, in località dal nome sempre più difficile e lontano. Attese inutilmente il suo ritorno sulle banchine della stazione o del molo. Finché, finita la guerra, le dissero che il marito era da considerare disperso e le assegnarono una pensione come vedova di guerra: poche migliaia di lire per lei e Assuntina, la bimba che le era nata nel frattempo. Dopo nove anni di fidanzamento e un mese di matrimonio si concludeva cosi l’avventura sentimentale della povera ragazza napoletana che aveva voluto sposarsi contro tutti. Di lui ora non le restava più nulla, nemmeno la certezza che fosse morto. Aveva invece l’odio della suocera che non le aveva perdonato il suo atto di forza e non mostrava di impietosirsi nemmeno di fronte alla nipotina.

Orgogliosa, decisa, pratica, Anna Silvestro ingoiò le sue lacrime e si diede a cercare un posto: come vedova di guerra ne trovò uno alla Manifattura dei tabacchi di Napoli e poiché abitare a Secondigliano le riusciva scomodo, approfittò di quell’occasione per allontanarsi definitivamente dalla famiglia di lui - con la quale del resto aveva sempre meno dimestichezza - per stabilirsi a Napoli. Era giovane, graziosa, con un disperato bisogno d’aiuto e avrebbe potuto ricominciare tranquillamente la sua vita, scegliersi un altro uomo, sposarlo e vivere con lui in serenità. Ma se è vero che molti amori non finiscono con la morte, è difficile pretendere che ciò avvenga quando la morte non ha un volto ed è considerata piuttosto una convenzione degli uomini. Cosi Anna Silvestro preferì tirare avanti da sola, facendo la sarta, la camiciaia, la donna di servizio, la lavandaia nelle ore che la Manifattura le lasciava libere. Un paio di volte la chiesero in sposa ma la vedova scuoteva sempre il capo con aria rassegnata. Non poteva giurare che il marito sarebbe tornato, ma nemmeno che fosse veramente morto: e nell’incertezza preferiva attendere.

Attese sedici anni, ma certamente ormai ne avrebbe attesi anche venti o trenta o quaranta La figlia ormai quindicenne e, come lei alla stessa età, già fidanzata, il lavoro alla Manifattura, la piccola pensione, l’appoggio di qualche buona amica e la stima dei vicini avevano ormai dato nuovo sapore e nuova tranquillità alla sua esistenza. Eppure, ogni volta che tornava a casa, ogni volta che saliva la ripida e angusta scaletta che porta al suo appartamentino del rione Mercato, il cuore le dava sempre un balzo nel petto. «E se fosse a casa ad attendermi? E se fosse tornato?» Faceva gli ultimi scalini di corsa, spalancava la porta con il fiato mozzo, poi cadeva seduta, con una nuova delusione nel petto. Se le avessero detto che un giorno suo marito sarebbe davvero tornato forse non ci avrebbe più nemmeno creduto, ma è certo che se le avessero detto che sarebbe tornato senza farsi vedere da lei, la cosa le sarebbe sembrata anche più inverosimile.

Il «ritorno dalla tomba» di Nicola Silvestro è avvenuto ufficialmente alla vigilia di Natale Si è saputo che il sergente maggiore del genio era rimasto vittima dell'ingranaggio della guerra: dopo qualche anno di prigionia in Turingia, egli era stato liberato dalle armate sovietiche. Ma in seguito ad alcune mancanze disciplinari era stato condannato ad un periodo di carcere, poi commutato in lavori forzati, e assegnato al campo di Mulkhausen presso Erfurt. Scontata la sua pena ebbe il permesso di scrivere a casa e la promessa della libertà: il sergente fece un moderato uso dell’uno e dell’altra, convinto che qualcosa avrebbe certamente interrotto anche questo sogno. Ma questa volta tutto sembrava deporre a suo favore, finché, pochi giorni prima di Natale, gli fu permesso di andarsene, di varcare la cortina di ferro e di puntare diritto verso Napoli.

Ecco, qui finisce l’opera del Caso: un piccolo uomo perduto nel naufragio della guerra ha trovato una provvidenziale gomena per guadagnare la via di casa. È un po’ la storia di Ulisse e Penelope che si ripete e non è nemmeno una storia molto originale, ma tutto sembra disposto per farla felicemente concludere in occasione del Natale e allora la vicenda assume improvvisamente un aspetto più umano, più patetico, più commovente. In giro c’è aria di festa, gli scugnizzi accendono i petardi, la gente si affanna nelle ultime compere, i vicoli risuonano delle nenie delle cornamuse, ciascuno si mette una mano sulla coscienza e, un po’ ingenuamente, guarda al futuro come un bimbo innocente. In un mondo di buoni, veri o falsi, il ritorno del reduce disperso ha un effetto energetico e galvanizzante: per qualcuno è come veder passare la fanfara dei bersaglieri. Si muove la radio, si muovono i giornalisti, i fotografi, il cinema, la televisione. Tutto per raccontare al mondo la più bella favola di Natale.

Ma sono passati gli anni, il mondo è cambiato, il progresso ha fatto passi da gigante e tutti sembrano aver dimenticato anche troppo presto i giorni difficili del tempo di guerra: tutti meno Assunta Silvestro, la madre ottuagenaria del sergente redivivo. È ancora decisa e severa, inflessibile nelle sue decisioni e nei suoi giudizi. Rimasta vedova, si è risposata senza esitazione, quasi raddoppiando il numero dei propri figli e nipoti. E lei che tiene ancora le redini della famiglia, che decide come condurre gli affari o come organizzare i matrimoni. A vederla si direbbe che sia lei anche a stabilire quando un figlio o una figlia debbano procurarle un nuovo nipotino. È sospettosa, chiusa, altera: è la suocera che nessuno vorrebbe avere. E in questi sedici anni, è inutile dirlo, non sono scemati la sua gelosia per il figlio né il suo odio per la nuora. A tal punto che, dopo averlo riabbracciato, già riesce a far trapelare il sospetto, a mettergli dei dubbi, a trattenerlo accanto a sé quasi nascondendolo. Prima che qualcuno possa smentire, i giornali pubblicano vistosi titoli per annunciare che il reduce dalla prigionia ha trovato la moglie sposata con cinque figli.

1958 01 01 Epoca Reduce Russia f1La scena dell'incontro del reduce con la moglie e la figlia. Egli è rimasto impassibile, non ha neppure rivolto la parola alle due donne

Ci apparve subito una tipica casa da vedova

Quella di Assunta Silvestro è una sciocca menzogna, ma tanto basta per creare nel reduce uno stato d’animo particolare, per costringerlo a cercare ormai soltanto il suo affetto e la sua comprensione. La vicinanza del Natale, d’altra parte, la favorisce in questo: perfino i giornalisti, una volta tanto, si lasciano trascinare dalle esigenze della festa e perdono un'ottima occasione di controllare una informazione. Gli impegni con gli amici, con i parenti, con la moglie o lo stesso appuntamento con il fatidico « cenone » fanno prendere sottogamba il fatto del reduce. (La verità è die in queste ricorrenze cerchiamo soltanto di sembrare angioletti ma siamo pranti a maledire il reduce redivivo dell’ultima ora che diventa notizia e può gettare all’aria ogni nostro piano.)

Con questo stato d’animo, il pomeriggio del 24 dicembre, presi il treno per Napoli e cercai, alla Manifattura dei tabacchi ormai chiusa e silenziosa, l’indirizzo di Anna Silvestro: mi sembrava più interessante la storia della donna. I napoletani guardano con sospetto gii e-stranei che chiedono l'indirizzo di qualcuno perché paisano subito alla polizia: cosi si comportò anche una infermiera della Manifattura, Cira Madonna, ma fu affare di poco convincerla che si trattava di tutt’altra cosa, «È tornato il marito di Anna?» mi chiedeva con monotona
insistenza mentre la macchina ci portatva verso l'indirizzo che aveva detto.

Salimmo in fretta le quattro rampe che portavano al secondo piano: l’infermiera si infilò in casa come una furia, saltò al collo di una signora grassa con un golf azzurro e la permanente fresca che era venuta ad aprire e le aveva sorriso amichevolmente. Dietro di lei c’era una ragazza molto giovane, anche lei con un golfino azzurro. Alle prime parole dell'a mica le due donne rimasero come di sasso. Sembravano non aver capito bene. Sbiancarono in volto, tacquero ancora qualche secondo guardando ora lei ora me ora il fotografo, balbet tarono qualche parola di dubbio poi divennerr paonazze e scoppiarono a piangere. La ragazza tentò di scappare, a testa bassa come un ani male. Era evidente che non avevano letto i giornali dd mattino e nessuno aveva pensato ad informarle prima di noi.

Cominciai a pensare di aver sbagliato porta: non c'era traccia dei cinque figli di cui par lavano i quotidiani, non dell’uomo che doveva aver sposato quella donna. Eravamo piombati in una tipica casa da vedova: la presenza di un uomo in una casa si avverte a volte anche dalla disposizione di un soprammobile. I discorsi che si fecero, passato l'impeto della prima emozione, chiarirono del resto molte cose. Le due donne avevano gli occhi umidi ma felici, si scambiavano di tanto in tanto lunghe occhiate affettuose, andavano e venivano dalla cucina alla camera da pranzo preoccupate di essere gentili.

Tutto sembrava predisporre una magnifica notte di Natale, finché qualcuno non chiese «Ma dov'è questo marito?». Ecco, il dito era arrivato sulla piaga. Allora saltò fuori che la famiglia di lui non andava d'accordo con la nuora e che la madre era gelosa. Allora cadde definitivamente l'ipotesi dell’altra famiglia e dei cinque figli. « Me lo tengono nascosto», disse Anna Silvestro. «Chissà cosa gli hanno raccontato. Perché non è ancora venuto da me. Non è questa la sua famiglia, la sua casa?» Fu come una nenia, come un pianto sommesso senza lacrime, come una preghiera piena di risentimento che avrei risentito più e più volte ancora.

Anna Silvestro la ripetè con tono accorato al dottor Alberto De Luca del commissariato Mercato, la ripetè al maresciallo Esposito del commissariato di Secondigliano, la ripetè ai brigadiere della caserma di Arzano e a quello di Frattamaggiore, nonché ad un maresciallo del distretto di Napoli. Entrammo nell'ufficio del commissario De Luca alle nove di quella stessa sera. Erano le undici quando ci fecero accomodare in uno squallido stanzone del commissariato di Secondigliano.

Fu soltanto la mattina di Natale che riuscimmo a conoscere il probabile rifugio del reduce: a Frattamaggiore, in casa di una sorellastra sposata ad un commerciante. E fu là che piombammo, all’ora di pranzo, con madre e figlia pronte se non a dar battaglia per lo meno a difendere i propri sacrosanti diritti. A tre giorni dal momento dd suo arrivo. Il sergente maggiore Nicola Silvestro ebbe cosi modo di incontrare la moglie die non vedeva da sedici anni e di conoscere la figlia ormai in procinto di sposarsi. Ma francamente perse un’ottima occasione di concludere degnamente tutta quella penosa storia.

Anna e Assunta Silvestro furono bloccate sulla porta dal padrone di casa: non era possibile entrare, andava dicendo, Nicola era ancora frastornato, non voleva vedere nessuno, e poi stava mangiando. Le due donne la spinsero di lato ed entrarono a testa bassa. chiamando a gran voce l’uomo che ormai andavano cercando disperatamente da troppe ore o da troppi anni. La famiglia era riunita aI completo in sala da pranzo, attorno alla e stava finendo il primo piatto. Con l'arrivo delle due donne, del fotografo e di qualche vicino curioso che evidentemente non aveva a casa sua un buon Natale, quasi tutti si alzarono. Rimasero seduti al loro posto soltanto il reduce e la vecchia madre: l'uno a occhi bassi, l’altra con uno sguardo acceso, jtelia foga di avvicinare il marito, Anna Sivestro rovesciò una seggiola e del brodo sulla tavola. L’uomo rimase seduto, mentre lei gli accarezzava il volto umilmente con una mano, qualche frase gentile. Poi si alzò e guardò la figlia, ma sempre con aria assente, distaccata, disinteressata. La ragazza aveva gli occhi rossi, le guance coperte di lacrime e gridava quasi istericamente: «Papà, papà ti voglio bene». L’uomo rimase imperterrito, tanto che per un attimo ebbi la sensazione che avesse perso l’uso della ragione. Poi allungò una mano e le accarezzò il volto, ma senza entusiasmo, meccanicamente.

Ha quasi dimenticato anche la sua lingua

Cera un po' di trambusto e ognuno diceva la sua: sulle voci di tutti dominava la voce della moglie delusa e abbandonata. Era conciliante, comprensiva, forse anche un po’ noiosa di fronte all’uomo imperterrito e freddo. Diceva: «Nicò, abbiamo sofferto tutti e due, gettiamo tutto dietro le spalle e non parliamone». Anche a lei doveva essere balenato il dubbio che in tutti questi anni ci fosse stata un‘altra donna, ma era già pronta a perdonare, a dimenticare. Ma Nicola la guardava senza sorridere, senza concedere nulla, come un estraneo. La donna rimase un attimo atterrita prima di ricominciare la sua affettuosa cantilena mi disse: «Mamma mia, sembra proprio tedesco». Non aveva finito la frase che il reduce disse alcune frettolose frasi proprio in tedesco. «Gesù», fece la donna, «ha dimenticato la sua lingua.» Ma poi l’uomo prese un di carta, una penna e scrisse un biglietto consegnò alla moglie. C'era scritto: «Adesso non è il momento di sprechen, prego noi c’incontriamo così ti scrivo».

L'incontro prendeva ormai l'aspetto di una farsa, le due donne rimasero in silenzio a guardare quell’uomo che non capiva il napoletano, parlava in tedesco e scriveva in uno strano italiano. Piansero e gridarono ancora, ma non ci era verso di sapere di più: anche il reduce si chiuso nuovamente in un caparbio mutismo e presto tornò a sedersi a tavola. A questo punto la vecchia madre disse che non bisognava più turbarlo, che tutti dovevano uscire, che il pranzo doveva riprendere. Anna e Assunta Silvestro tentarono di resistere: lentamente ma inesorabilmente , furono spinte fuori di ia casa.

Nel piccolo, angusto, nudo appartamento di Vico Cangiani 66, dove abita, la signora Silvestro rimase in silenzio fino all’indomani mattina: parlò poco e dormì meno. C’era un mistero che non riusciva ad afferrare. E non riusciva a credere che la famiglia di lui avesse saputo da sei mesi che Nicola si trovava prigioniero nella Germania orientale e tuttavia glielo avesse sempre tenuto nascosto. Si assopì solo con rie prime luci dell’alba, vinta dalla stanchezza e dall’avvilimento. Ma quando si alzò l’indomani mattina, era già tornata risoluta e tranquilla: se non si era scoraggiata in quei sedici anni, non lo avrebbe fatto certo all'ultimo momento. Si vestì con calma e mi chiese di accompagnarla alla Tenenza dei carabinieri. Avrebbe chiesto alla legge il marito e il padre che né il caso, né la clemenza degli uomini né la festività del Natale erano riusciti a restituirle.

Giorgio Salvioni, «Epoca», anno IX, n.379, 5 gennaio 1958


Epoca
Giorgio Salvioni, «Epoca», anno IX, n.379, 5 gennaio 1958