Vi raccontiamo «Il giudizio universale»
Fra un mese il primo giro di manovella di questa nuova favola realistica cui parteciperanno alcuni fra i più famosi attori italiani. Ve ne raccontiamo la trama, fino ad oggi sconosciuta a tutti
Bergamo o Mantova? Lungo le vecchie strade e l’acciottolato delle piazzette di una di queste due città De Sica e Zavat-tini racconteranno la favola grottesca del Giudizio Universale: è il loro nuovo film, studiato e ristudiato da almeno due anni e che si avvale del bizzarro titolo a Alle ore 18 comincia il Giudizio Universale».
Torna così alla ribalta la più famosa coppia del cinema italiano: copione di Cesare Zavattini, regia di Vittorio De Sica. Sarà il film-principe della stagione, non soltanto per il prestigio artistico che circonda la celebre coppia ma anche per i nomi degli interpreti. De Sica, infatti, ha saccheggiato l’almanacco di Gotha di Cinecittà: Gina Lollobrigida, Silvana Pampanini, l’intramontabile Totò. il comico numero uno Alberto Sordi, Aldo Fabrizi, il «piccoletto» Rascel, Eduardo De Filippo, Vittorio Caprioli e perfino la «diva» parigina Martine Carol.
La presenza di attori così popolari assicura in partenza un grosso successo commerciale al «Giudizio Universale»: per una volta tanto i coraggiosi autori di opere rigorosamente artistiche, come «Umberto D.» e «Il tetto», non sacrificano le finanze alla gloria. «La nostra preoccupazione prima — dicono all’unisono Zavattini e De Sica — è di divertire il pubblico: faremo un film comico satirico, di ambientazione ” neorealista ” ma con campo libero alla fantasia». Il riferimento a «Miracolo a Milano» è inevitabile: in quello stile, tra il surrealista ed il grottesco, sarà girato il «Giudizio Universale». De Sica così precisa il suo progetto : «Si tratta di un film neorealista ma poggiato sul piano dell’irrealtà: la difficoltà maggiore sarà nella ricerca di uno stile adatto».
La trama? E’ segreta. Ma, si sa, i segreti cinematografici restano tali solo nelle intenzioni. C’è sempre il bene informato che vi spiattella tutto: dunque ascoltiamolo, di nascosto a De Sica e Zavattini. Siamo in una città di provincia qualsiasi, in un giorno non qualsiasi: infatti si attende l’arrivo del ministro e tutte le autorità, in deferente o-maggio, sono alla stazione. Per la sera, poi, è in programma il gran ballo pro-disoccupati, che radunerà l’alta società attorno al ministro.
La gente, indaffarata, non fa caso ad una voce che si ripercuote dappertutto, come provenisse da un altoparlante pubblicitario. La misteriosa voce proclama: «Alle ore diciotto comincia il Giudizio Universale». Chi pensa trattarsi della pubblicità di un film, chi della rèclame di una ditta. Ciascuno è incuriosito ma poi scuote le spalle. Anche il ministro, che arriva in treno speciale ed è accolto con untuosa cerimoniosità, non bada al bizzarro, rimbombante annuncio.
Man mano che passano le ore, facciamo conoscenza con una serie di personaggi, impegnati in disavventure comiche: un ambasciatore che si intrattiene in un grand hotel con una signora equivoca, un tapino che incontra un amico arricchito, un truffatore che è processato dal Tribunale per aver venduto commende false, un accalappiacani alle prese con un cagnaccio randagio, un marito che sorprende la moglie tra le braccia dell’amico, un ricco costruttore che dà un cocktail nel suo lussuoso appartamento. due ragazzini che vogliono ad ogni costo andare al gran ballo, e così via. Sempre, nei momenti culminanti di ogni singolo episodio, tuona la strana voce: «Comincia il Giudizio Universale».
Prima un vago senso di allarme, poi la paura, l’angoscia, il panico. La medesima psicosi collettiva. come testimoniano le scene di terrore trasmesse dalla televisione, si è impadronita di tutto il mondo. L’annuncio rimbomba ora in tutte le lingue attraverso la radio e tutti i mezzi di comunicazione : l’ora del Giudizio Universale è venuta, i peccatori arderanno nelle fiamme del l’inferno.
La gente non si dà pace. Ritorniamo ai nostri personaggi, ormai apertamente sconvolti al punto di battersi il petto pubblicamente e di invocare il perdono. Al cocktail la moglie del costruttore denuncia, davanti agli invitati, le malefatte del marito e regala i suoi abiti ad un mendicante; la signora equivoca decide di suicidarsi cinque minuti prima delle fatidiche ore 18 e intanto prende la cocaina con l’ambasciatore; costui fa riassumere in servizio un cameriere con il quale aveva litigato; il ministro chiama telefonicamente Roma ma gli rispondono che al Ministero non c’è nessuno, nemmeno un usciere; il povero chiede perdono al suo amico arricchito per averlo invidiato; il marito tradito abbraccia gli adulteri colti in flagrante; il truffatore viene assolto dal giudice ma si grida colpevole; l’accalappiacani lascia libero il cagnaccio; e molti confessano pubblicamente i loro peccati ma invocano pietà accampando come scusante per le loro basse a-zioni la necessità di dover «mantenere la mamma».
Di colpo, mentre l’altoparlante soprannaturale annuncia che il Giudizio Universale è imminente, scoppia un furioso diluvio: sferzata dalla gran pioggia, la gente fugge alla impazzata verso le colline, il panico è indescrivibile, il caos regna incontrastato. Ma ecco che la voce tace, il maltempo si placa, le nubi si allontanano e torna a splendere il sole. L’incubo è finito: la gente si scambia abbracci gioiosi e torna a sorridere; ciascuno dei nostri personaggi si ricompone e riacquista la sua iniziale personalità.
Tutti vanno al gran ballo pro disoccupati; il ministro, raggiante, è corteggiatissimo; la festa è in pieno svolgimento. Nella piazza illuminata a giorno compare l'accalappiacani che nuovamente dà la caccia all’infelice cagnaccio randagio. Tutto è tornato come prima.
Su questo singolare canovaccio, che si chiude volutamente con il punto interrogativo dell'inspiegabile annuncio del Giudizio Universale (la voce, improvvisamente, tace: sparisce, così com’è comparsa, nel mistero. La voce, semplicemente. ha fornito il pretesto per mettere a nudo le debolezze dell’animo umano, per mostrare quel che esiste di ingiusto, di condannabile nei rapporti tra la gente), Vittorio De Sica e Cesare Zavattini mettono in gioco una grossa pesta: un film in bilico tra favola e realtà, un film che attacca l’ingordigia e l’egoismo con un linguaggio allusive e spezzettato. rischioso.
«Ho disseminato nel copione almeno duecento gags», dichiara Zavattini: De Sica le dovrà tradurre in un frizzante stile cinematografico, al ritmo scoppiettante e irresistibile dei film di Chaplin. E’ un impegno pesante: ma De Sica ha già mostrato a sufficienza di avere spalle larghe, quanto basta per sostenere il peso di una pellicola dichiaratamente comico ma allo stesso tempo profonda di contenuto e nobile di intenzioni: dovrà scuotere le spettatore, indurlo ad un brusco esame di coscienza. Riso amaro, insomma».
De Sica e Zavattini in questi giorni hanno compiuto lunghi e minuziosi sopraluoghi per le vie di Bergamo e di Mantova: l’una o la altra città può dare l’ambientazione ideale al film. Dove cadrà la scelta di De Sica? Il regista ha riempito di appunti il suo quadernetto: sta a lui. che cura anche la parte tecnica della realizzazione cinematografica. fissare i luoghi dove avverranno le riprese in «esterni». Zavattini si rimette alle decisioni di Vittorio De Sica.
Tra un mese, ultimato il lavoro preparatorio. De Sica comincerà a «girare»: si prevede che la pellicola sarà pronta in febbraio e che potrà apparire sugli schermi verso Pasqua, a meno che non venga riservata al Festival di Cannes o di Venezia: in questo caso il pubblico vedrà il «Giudizio Universale» non prima di un anno. Intanto Zavattini e De Sica, ternati a lavorare insieme dopo due anni, hanno già in progetto un altre film: s’intitolerà «Italia mia» e sarà qualcosa di simile a una grande inchiesta giornalistica sugli italiani e sul nostro modo di vivere.
«Noi due andiamo molto bene insieme», dice Zavattini rivolto a De Sica. E’ un fatto: metà del prestigio del nostro cinema è costruito sulla collaborazione di questi due uomini di talento, che sanno insieme «fare spettacolo» e agitare idee.
Giorgio Bontempi, «Noi donne», 28 settembre 1958
Giorgio Bontempi, «Noi donne», 28 settembre 1958 |