Ben Gazzara supera la Magnani nel crudo linguaggio romanesco
L’eloquio volgare va di moda nei circoli mondani romani - Ma l'attore italo-americano e la grande attrice romana non hanno bisogno di espedienti alla moda per imporre la loro forte personalità
E' noto che Moravia e Pasolini hanno fatto scuola principalmente in quella folla di comparse, di generici, di controfigure, di aspiranti-dive, di agenti, di attori, di registi noti ed ignoti, che costituisce gran parte del cosiddetto mondo del cinema. E’ questo un mondo dagli approdi misteriosi. in cui si incontrano individui di ogni fatta e misura, che si esercitano come clowns di un circo per richiamare l’attenzione del volgo intorno alle loro preziose esistenze. E’ un mondo che fa pensare ad un mercato di paese, chiassoso, imprevisto, multicolore, in cui ciascuno espone, con e senza intermediari, le proprie mercanzie personali. Ma il tratto che accomuna gran parte di questi personaggi, più che l'ostentazione. più che messinscena intorno alle loro strutture fisiche, è il linguaggio. Un linguaggio volutamente volgare, tra Moravia e Pasolini, mirante visibilmente ad épater les bourgeois. Non solo ragazze in blue-jeans e maglioni dall’aria ostentatamente intellettuale. o bellimbusti fioriti in sene nelle serre specializzate della capitale, o sguattere travestite da pin-up-girls, o nobildonne settantenni dai visi incrostati come dorsi di tartarughe; ma anche adolescenti che sembrano uscite da collegi delle Figlie di Maria, nonché signore amanti della famiglia e timorate di Dio. esplodono senza ragione alcuna in un eloquio sconcio e scurrile, oltremodo provinciale e irritante. Sembra sia il solo mezzo a loro disposizione per destare l'interesse dei predenti e dei passanti.
Ma forse non è tutta colpa loro. E' questo il linguaggio da tempo in voga nei salotti mondani, nei ritrovi alla moda, nella café society, nelle barocche dimore patrizie. La haute e l'alta borghesia hanno ormai spalancato le porte delle loro ex fastose magioni agli aspiranti al demi-monde pseudoaristocratico, e la fauna che annaspa intorno ai riflettori degli operatori cinematografici vi ha fatto irruzione senza esitazioni e senza riguardi. Gli scambi avvengono al vertice, in un’atmosfera falsamente artistica e letteraria, gravida di ignoranza e di snobismi, nonostante la presenza di collages spaziali e di tele elettroniche, dei romanzi di Nabokov, di Moravia e di Pasolini.
Eppure è doveroso ammettere che non si può fare di ogni erba un fascio. Vi sono personaggi cui il linguaggio tra di Moravia e Pasolini non solo si addice, ma conferisce una maggiore efficacia espressiva. E’ gente che non ha bisogno di espedienti alla moda per imporre la propria personalità; sono artisti di talento, che disdegnano le convenzioni sociali, che credono nella forza d'un eloquio crudo e popolaresco, privo di leziosismi letterari e stilistici. Intendiamo parlare di Anna Magnani, di Ben Gazzara e di Totò, che stanno lavorando insieme in «Risate di gioia», il film tratto appunto da un racconto dell’autore de «Gli indifferenti» e diretto da Mario Monicelli. Si direbbe che i tre attori gareggino nel dir parolacce; la Magnani si rifà al romanesco di Moravia. Ben Gazzara al calabro-siculo-romanesco di Pasolini. Totò ad un misto di romanesco e di partenopeo. L’attore italo-americano e il comico napoletano si azzuffano conntinuamente lanciandosi reciproche accuse di plagio.
In verità Ben Gazzara non ha bisogno delle lezioni di Totò. Dispone di un repertorio ricco e variato, rude, colorito, violento, che gli deriva dalla sua origine sicula e dalla lunga frequenza dei quartieri più malfamati di New York. Ben Gazzara è la negazione del divo, l’antitesi del play boy, la controfigura dell’uomo dalle belle maniere; mangia con le mani, beve vino a rotta di collo, abborda le ragazze per strada, detesta i raffinati e odia Via Veneto. La sua apparizione nei ritrovi eleganti della capitale ha suscitato grida di sdegno e di orrore da parte degli intellettuali che accompagnano il fluire delle loro geniali sentenze con gesticolazione ampia e ispirata alla Cocteau. Ma Ben Gazzara non ha nulla della voluta insolenza di Marion Brando; è simpatico, umano, autentico, come la gente dalla quale proviene. I suoi genitori sono di Canicattì; suo padre, in quarantasette anni di permanenza a New York, aveva imparato soltanto tre parole d’inglese.
Da bambino l'attore aiutava il padre a spremere il vino nel frantoio; poi, quando divenne grandicello, fu iscritto alla scuola parrocchiale di Nostra Signora dello Scapolare, dove lo incitarono a dedicarsi al teatro e prese parte a numerose commedie allestite da compagnie di dilettanti. Successivamente si iscrisse al ginnasio «Stuyvesant» e al liceo di «St. Simon Stock School» Conseguito il diploma, si trovò nella necessità di trovarsi un lavoro, ma il suo spirito irrequieto gli impediva di rimanere per lungo tempo nello stesso posto; sulle orme del personaggi di Jack Kerouac, il patriarca dei beatniks, intraprese un’avventurosa peregrinazione in auto-stop lungo le strade del mondo, accumulando esperienze ed amarezze e sobbarcandosi ai mestieri più umili. Rientrato a New York si iscrisse alla Scuola di Arti Liberali del CCNY: di notte studiava e di giorno lavorava presso la bottega di un cromatore. Ma la passione per il teatro covava in lui prepotente; si presentò allora per l’audizione al «Dramatic Workshop» dove ottenne una borsa di studio; venne quindi ammesso nell’«Actors Studio» e conquistò in breve tempo la stima dei pontefici di Broadway.
Il film di Monicelli segna peraltro il ritorno della Magnani sui teatri di posa italiani, dopo le grandi interpretazioni d’oltreoceano in «La rosa tatuata» e l' «Orfeo» di Tennessee Williams, che le hanno valso un posto di primo piano nel cinema mondiale, La Magnani vi interpreterà il ruolo di una generica che si adopera come meglio può per arrampicarsi sull'albero della cuccagna della notorietà cinematografica ma, che alla fine si ritrova in carcere. E' un personaggio squallido, carico di sogni e di illusioni, abbagliato da un mondo ammantato di orpelli e di false pellicce, che a lungo andare la travolge. Esso ci ripresenta una Magnani umana e collerica, popolaresca e drammatica.
Dopo «Risate di gioia», l’attrice interpreterà un altro dramma di Tennessee Williams, con Marion Brando. La Magnani si è impegnata a non parlare del film; ma se non andiamo errati, si tratta del dramma che reca li titola «La poesia dei due». La vicenda si svolge in una casa dove vengono corretti i difetti di pronuncia. I protagonisti sono un giovane biondo, alto bello, e una tardona brutta, grassa e cascante. L'unico legame che li unisce è la balbuzie. Essi riescono a parlare ed a capirsi soltanto quando sono soli; la presenza di estranei li blocca. Decidono pertanto di andare a vivere in una casa solitaria, in campagna. La casa ha un secondo piano, che nessuno vuole prendere in affitto, perchè significherebbe isolarsi dal mondo; senonchè un giorno passa nei pressi una turista in cerca di evasioni. scorge il bel giovane biondo che taglia l’erba nel prato, ne è conquistata Immediatamente, decide di stabilirsi al secondo piano. Sottoposto alle insidie della intrusa, il giovane non ha più pace; la sua compagna, presa dal panico per questa presenza estranea, non riesce più a parlare, come unico sfogo, mangia dalla mattina alla sera, ingigantendo la sua pinguedine e diventando mostruosa. Preso dallo sconforto, l'uomo cede alle lusinghe della sua ammiratrice; e mentre si intrattiene il secondo piano con lei, la grassona raccoglie le sue robe e si porta sulla strada per prendere l'autobus e partire. Ma quando l'autobus sta per giungere, inquadrando la enorme figura della donna che attende immobile e stravolta, il giovane scende a precipizio le scale, afferra la sua amica per le ginocchia e la riporta con sé.
Tennessee Williams è convinto che la Magnani interpreterebbe li ruolo della grassona in maniera superba; e non ha torto. La Magnani è ormai un’attrice così consumata che a volte crede di essere sul set anche quando attende a ben altre occupazioni. L'altro giorno ci ha offerto la opportunità di assistere, gratis, ad una delle sue prove più impegnate e drammatiche. E' stato quando abbiamo evocato, senza alcuna intenzione particolare, la parola «fisco». L’attrice è esplosa in una requisitoria violenta, implacabile. Non abbiamo avuto più il coraggio e la forza di fiatare; ci sarebbe stato impossibile
Quanto a Totò, il comico napoletano si mostra felice di aver ritrovato e la Magnani, con la quale formò un tempo la coppia principe del teatro di rivista, e la salute. Egli è anche entusiasta di Ben Gazzara, con il quale scherza tutto il giorno, «Principe — gli chiede l’attore italo-americano —. quanti film avete interpretato finora?» «Settantacinque», risponde Totò. «Ma allora vi piace lavorare ?», incalza Ben Gazzara. «Che lavorare! A me piacciono i soldi, non il lavoro». E Ben Gazzara ride di tutto cuore, da uomo semplice.
Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 5 giugno 1960
Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 5 giugno 1960 |