Totò compone canzoni e Walter Pidgeon canta
Due attori di razza per il medesimo film - Lodi reciproche - Comunicano fra loro con il linguaggio dei muti - Il comico italiano sia scrivendo «Malvagità»
«Caro Colonnello», «My dear Cotone!», il saluto rispettoso e cordiale insieme si rinnova spesso fra i due ufficiali nello stanzone di una locanda, in un paesino della Grecia. La locanda si è trasferita nel teatro di posa di uno stabilimento romano, dove assistiamo ad un momento della curiosa storia di questi due colonnelli. destinati dalle alterne sorti della guerra a diventare, di volta in volta, uno prigioniero dell’altro. Ed e interessantissimo osservarli. quei due ufficiali superiori, perchè non si capiscono affatto, ma s’intendano a meraviglia, basta un gesto, un sorriso, un aggrottar delle ciglia perché l’uno sappia che cosa ha detto o sta per fare l’altro. Ed è facile comprendere questa perfetto fusione se si pensa che il colonnello inglese, in uniforme del reggimento «Royal Hampshire» è Walter Pidgeon; il colonnello italiano é il principe Antonio De Curtis, in arte, come tutti sanno, Totò. Due attori di razza che si frenteggiano : uno parla soltanto americano, l’altro soltanto italiano (o forse, potremmo dire, napoletano). Eppure, ecco, non una battuta va persa, non un gesto inutile è compiuto, non un vuoto di tempo si verifica.
Il film, diretto da Steno, narra una vicenda di guerra, ma non è la guerra dalle spettacolari battaglie che altre pellicole ci hanno presentato: é la guerra vista dal lato umano, attraverso la situazione personale di questi due ufficiali, sbalzati proprio dagli eventi bellici a fronteggiarsi in terra di Grecia. In fondo, si apprezzano scambievolmente e si affezionano l'uno all'altro, sia quando l’inglese è prigioniero dell'italiano, sia nel momento in cui le sorti si rovesciano.
E' appunto il momento in cui siamo capitati nella locanda. Totò stava discendendo dal piano superiore nel tinello, perentoriamente invitando Pidgeon a seguirlo, senza fare ostruzionismo. «Volente o nolente, dovete seguirmi, colonnello Anderson — fieramente esclamava — a costo di portarvi io giù, in braccio». Tanto più comiche risuonavano quelle parole vedendo spuntare dalla scala le misurate gambe di Pidgeon e poi, via via, apparire intera la sua altissima e prestante figura. «Preferirei, se mai, esser portato a cavalluccio», rispondeva placidamente Pidgeon dando fuoco alla sua britannicissima pipa. «Non faccia dello spirito: questo è un momento storico», era la risposta di Totò che, pur ergendosi in tutta la sua altezza, nella divisa di colonnello italiano, non riusciva con la sommità della bustina che gli copriva il capo se non a sfigurare la spalla del nemico inglese. Pesanti passi risuonavano proprio allora dall’ingresso: un sergente inglese portava al suo colonnello la notizia che le truppe britanniche avevano riconquistato il paesino. Sorridendo. flemmatico e imperturbabile come sempre. Il colonnello Anderson si volgeva al collega italiano, comunicandogli che vedi caso, ora era lui suo prigioniero. E Totò dignitosamente, allargando le braccio, attribuiva la fatalità ai «corsi e ricorsi storici».
Walter Pidgeon, nel momento stesso in cui mise piede sul «set» per questo film — la cui lavorazione gli consente un'accurata esplorazione del ristoranti romani, di cui si dice entusiasta — fu avvertito dal regista, Steno, che nel nostro cinema la sceneggiatura non é sempre rigorosamente e ferreamente osservata come in quello americano: spesso s'introducono delle battute e delle trovate nuove, il che — tutti sanno — avviene specialmente, quando interprete del fllm è quel comico di immediata spontaneità — fantasia che si chiama Totò. Pidgeon apprezzò tanto l'idea che, dal primo momento, prese a contribuire personalmente a questo «arricchimento» della sceneggiatura.
«Perché non potrei fare anche una cantatina? — disse — Voi sapete che ho una voce da baritono niente male, e che un tempo studiai canto, sia pure per breve tempo, a Milano e a Roma». Detto, fatta in una scena in cui i due colonnelli libano nel tristi calici, accorgendosi che la bella locandiera li ha presi in giro entrambi sentimentalmente. Pidgeon sfoggerà la sua voce, accompagnato col gesto e con l’applauso dal colonnello italiano. Pidgeon dice di Totò che ha una maschera inimitabile e straordinaria: Totò dice di Pidgeon che è un grande attore e un gran signore. L'intesa è piena, ma quei complimenti li sappiamo soltanto noi, avendoli raccolti dal due attori. Fra loro, non potranno mai scambiarsi quei cordiali e amichevoli apprezzamenti perché s’intendono, come abbiamo detto, soltanto a gesti.
Pidgeon, intanto, trae nuvolette azzurre di fumo dalla sua pipa. Totò, invece, assorto, va sussurrando misteriose parole a fior di labbra. Ma non ha difficoltà a spiegarci ii mistero. Dopo il successo di una sua canzone, che ha vinto il Festival di Zurigo, egli ne ha composta un’altra dal titolo «Baciami», e ora sta forgiando, fra sé e sé, le parole di un’altra canzone ancora, che avrà per titolo «Malvagità». Lo lasciamo mentre, in attesa di tornare nel raggio delle lampade, sussurra i versi che gli son venuti in mente proprio ora: «Ho bevuto alla fonte del tuo amore — un filtro amaro, una bevanda impura — e un tossico sottile nel mio cuore — mi ha reso come te... Malvagità ».
Guido Berti, «Il Messaggero», 19 novembre 1962
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Guido Berti, «Il Messaggero», 19 novembre 1962 |