Pasticcio di Maria Antonietta con "recchietelle" alla Totò
Ogni domenica, da George's, il primo vero circolo dei buongustai d'Italia, una ventina di "eletti" degustano squisiti e inediti manicaretti. Maccheroni ai quattro formaggi per Vittorio De Sica, costolette al cartoccio per Ava Gardner. L'estro della Lollo e le trote affumicate di Lex Barker
La gastronomia educata di un duca
Dieta ascetica che gli è stata imposta dal dottore, ma ogni tanto uno strappo è concesso per la « gastronomia educata » di un duca. Trionfo di uno di questi intervalli, a somma gioia dei commensali, è un certo pasticcio, non compreso nel suo libro di cucina, detto di Maria Antonietta, poiché fu proprio la sventurata regina di Francia a portarne, assieme a molte speranze, la ricetta a Parigi quando vi giunse sposa. Quella della dieta sembra, però, a un certo punto prerogativa dei buongustai.
Anche un altro eminente membro del club, Totò, il quale, trasposto nel suo stemmato appartamento, diventa il principe Antonio de Curtis erede al trono Bisanzio, allarga le pallide mani ed esclama « Ma io mangio pochissimo. Mi creda: mangio vera mente poco... ». Al dunque però si scopre che quel poco deve essere eccellente. La gastronomia, in ogni modo, rappresenta per lui una specie di riferimento sentimentale. Gli ricorda la madre morta che era bravissima in cucina, come nessuno, a suo dire, dopo di lei. Perciò, idealizzazione o realtà, malgrado la esperta conoscenza delle più prodigate raffinatezze, egli continua a preferire i basilari sani piatti della cucina napoletana. Non tanto i maccheroni quanto la pasta e fagioli « quagliata », i peperoni, la parmigiana di melanzane. E, al disopra di tutto, pone l’importanza del caffè. « Qua ormai il caffè è diventato bastardo — sospira — mentre invece dovrebbe essere un rito, con speciale miscelatore, tostato a casa, macinato immediatamente e fatto subito, nella macchinetta di stagno che, non appena si rivolta... ». « Il coppettino di carta sul beccuccio come in "Questi fantasmi", la commedia di Eduardo De Filippo? ». No: non arriviamo fin lì. Ma c’è da chiedersi se, possedendolo, il principe de Curtis darebbe per un buon caffè il regno di Bisanzio come faceva Riccardo III per un cavallo. In mancanza della cucina materna e del caffè archetipo sopravvengono, a buon conto, due valide risorse: il circolo dei buongustai con l’inventiva delle sue ricette, e l’intervento della moglie, con una ricetta sola ma sicura. « Antonio è un uomo semplice e fedele anche alla cucina » sorride l’ex miss Franca Faldini con quei suoi occhi verdi che stendono a terra tre Soraya in un colpo solo. Si tratta della ricetta di una particolare pasta a conchiglia, condita con un particolare sugo, che un marinaio di Santa Margherita Ligure dette loro al tempo in cui avevano là un motoscafo. E loro, per riconoscenza, l’hanno battezzata con il suo nome: « Pasta alla Giacchi ».
Pasta alla Giacchi
Prendere quattro spicchi d’aglio, un gran ciuffo di prezzemolo, un ciuffo di basilico, tre o quattro carote e tritare il tutto minutissimamente. Soffriggere quindi il tritato in mezzo etto di burro e altrettanta quantità d’olio, aggiungendovi un etto a testa di macinato di carne magrissima (questa ricetta è per due o tre persone). Tenere il fuoco basso, girando sempre per circa mezza ora. Quindi alzare la fiamma e versare nella pentola un mezzo bicchiere di vino bianco secco facendo bene amalgamare il tutto. Versare quindi questa specie di densissima salsa dalla consistenza quasi di salsiccia sulla pasta già lessata (deve essere pasta a conchigliette — quella che i napoletani chiamano le « recchietelle ») e condire con abbondantissimo parmigiano.
Clara Falcone, «Settimana Incom» n.6, 7 febbraio 1965
Clara Falcone, «Settimana Incom» n.6, 7 febbraio 1965 |