Daniele D'Anza: ho diretto Totò fino agli ultimi giorni

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Il regista Daniele D’Anza, che ha realizzato le nove puntate della trasmissione tv dedicata a Totò e messa in onda proprio in questi giorni, racconta con quanta passione l'attore abbia lavorato fino alla vigilia della morte.

Roma, maggio

Daniele D'Anza, che ha diretto Totò in televisione, teme un equivoco. «Leggo su qualche giornale», spiega il regista, «che il celebre attore avrebbe affidato al video il suo ultimo messaggio; una specie di testamento spirituali a puntate. Non è vero niente, devo smentire in difesa di Totò e anche mia. Telefilm e show del ciclo Tutto Totò, in programma da giovedì 4 maggio, sono semplicemente l'antologia di una carriera; sia pure la carriera del più grande comico italiano dei nostri tempi. Quando abbiamo realizzato questo ciclo, nessuno pensava a una morte improvvisa dell'attore, tanto meno lui; era pieno di energia e di entusiasmo».

È vero che all'ultimo momento è stato ridotto il numero delle puntate! Si tratta forse di una decisione stranamente polemica?

Spiega ancora D'Anza: «Andranno in onda nove puntati anziché dieci. L’ultima, Totò a Natale, è rimasta incompiuta; ci è impossibile collegare gli spezzoni girati. Disponiamo di sei telefilm e tre show; quelli sono testi dialogati che rielaborano le più tipiche maschere dell'attore, questi sono pretesti comici che innestano Totò in un mondo musicale. Il primo a comparire sul video è un telefilm, Il latitante, storia di un personaggio aggressivo e spregiudicato, tipico di Totò: entra ed esce dalla galera, campa con incredibili accorgimenti sfruttando la pietà degli ex-compagni di scuola, finché incappa addirittura nel commissario Maigret, naturalmente impersonato da Gino Cervi, che dà una brusca sterzata all'avventura. Gli altri episodi si susseguono in un ordine non ancora definito; di alcuni stiamo ultimando il montaggio».

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Fra i telefilm, La scommessa racconta l'evasione romantica di un fallito, pavido e bigotto, che d'un tratto s’illude di conquistare la bella moglie (Luisella Boni) del principale; l'epilogo è disastroso. Premio Nobel porta Totò ai fasti della gloria con una buffa consacrazione; la corona d'alloro sulla classica bombetta. (La bombetta compare in tutto il ciclo, come simbolo emblematico del comico). Don Giovannino scatena la pazzia per amore. Il tuttofare traccia un arguto bozzetto dell'accorta adattabilità partenopea; Il grande maestro dà lievito a una «pochade» francese e nel finale lancia Totò, per l'ultima volta, alla testa della sua strepitosa marcia dei bersaglieri. Il paradossale carosello è stato girato con l'aiuto dell'elicottero nel paesino laziale di Faleria, sulla via Flaminia. La banda locale e tutta la popolazione partecipano alla travolgente sequenza. I tre show sono ambientati fra i capelloni (Totò yé-yé), nel mondo del cinema (Totò ciak), infine Totò a Napoli; qui il comico dà una lezione su «come sbarcare il lunario improvvisandosi guida per i turisti», naturalmente non autorizzata. Una girandola di cantanti, attrici e attori ruota intorno a Totò negli show: Mina e Gianni Morandi, Didi Perego, Marisa Merlini e Ubaldo Lay, Miranda Martino, Bobby Solo, Nunzio Gallo, Peppino di Capri e via dicendo. Nei telefilm si nota la presenza costante, voluta dal comico, di Mario Castellani, sua «spalla» tradizionale.

Domandiamo a D'Anza: «Crede che Totò fosse davvero soddisfatto dell'esperienza televisiva? Per anni si era rifiutato di comparire sul video, che diceva di non amare. Quando si è lasciato convincere, non gli sono mancati motivi per pentirsene. Spesso si lagnava, in famiglia, dei limiti imposti dalla censura televisiva».

«Totò era piuttosto scettico nei confronti della televisione», risponde il regista, « tuttavia ne seguiva abitualmente i programmi, sforzando gli occhi malati. Sa com'è, nella vita si finisce con l'amare anche l'orrido. Dopo lunghe incertezze, si arrese di buon grado alle nostre pressioni. All'inizio del lavoro mal sopportava i vincoli inevitabili della televisione. "Non si può dir niente nel teleschermo", protestava, "il gesto più innocente è temuto come uno scandalo” Non erano tutti, si sa, gesti innocenti. Poi Totò si rese conto delle profonde differenze esistenti fra la TV, che va in tutte le case, e il cinema o l'avanspettacolo; la polemica si esaurì. Devo anche dire che la censura era orientata a largheggiare con lui, considerando la sua statura. Abbiamo perfino potuto includere lo spogliarello, o quasi, di Sandra Milo nello sketch del vagone-letto. S'è dovuto rifare un solo episodio, quello del parrucchiere effeminato, in cui però la parte incriminata non era di Totò ma della sua "spalla"».

«Ci sono stati alcuni rinvìi nella programmazione», continua D'Anza, ma soprattutto in conseguenza di altri impegni miei o dell'attore. Quando gli fu comunicato che Tutto Totò sarebbe andato in onda dal giugno in poi, provò una grossa delusione. "Non posso assolutamente accettare", disse irritato, "che la TV mi releghi nella stagione morta". Era una protesta sincera, ma da uomo di teatro, di cinema; per la TV anche l’estate è una stagione importante. Comunque, la data è stata anticipata di un mese; sia pure con la rinuncia all'ultima puntata, del resto ormai irrealizzabile ».

Chiediamo a D'Anza: «É stato difficile dirigere Totò?».

«Fammi ridere, non farmi pensare, questo era il luogo comune che lo stesso Totò sembrava aver accettato, per docilità verso il suo pubblico. Ma lavorando con lui ho sperimentato che Totò era una splendida pietra grezza di ben altre dimensioni, in parte inconsapevoli. Nel trasferire i suoi sketch di successo sul video, ho sentito il dovere di servire (è la parola giusta) l'attore famoso, ritirandomi dietro la macchina da presa. Ma la nostra collaborazione è diventata attiva e stimolante nelle parti scritte ex novo per la televisione, alcune delle quali drammatiche. In queste occasioni Totò non faceva più leva sulla routine di mestiere; era duttile, imprevedibile, sollecitava addirittura i suggerimenti, con modestia commovente, e li traduceva con ammirevole intuito. Ho però un grosso rammarico; non aver potuto realizzare con lui, a causa della sua morte improvvisa, due storie che avrebbero dato l'immagine più sorprendente di Totò. Si era persuaso a interpretarle e le aveva fatte sue. Sono racconti stranamente analoghi, tratti da opere di Di Giacomo e dell'americano O. Henry e imperniati su due figure di vagabondi: uno romantico e drammatico, l'altro amaramente umoristico, sembravano inventati per il Totò più autentico. Non so se troveranno mai un interprete tanto efficace come alerebbe potuto essere lui».

Ezio Saini, «Oggi», anno XXIII, n.19, 11 maggio 1967


Il Piccolo
Ezio Saini, «Oggi», anno XXIII, n.19, 11 maggio 1967