Totò e la vera storia della commedia all'italiana
Il cinema del riso aveva un re
L'attore napoletano era considerato inadatto allo schermo - Ma nell'immediato dopoguerra, dopo «I due orfanelli» e «Fifa e arena», trionfò in una valanga di film comici popolarissimi - Divenne maestro della parodia, anche di celebri pellicole -I critici parlavano di sottocinema e attaccavano le «totoate» - Perché ebbe successo? Ecco gli autori che Io indirizzarono e i segreti del suo mestiere
Sta per uscire da Mondadori un libro di Masolino d'Amico intitolato «La commedia all'italiana (Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975)», ispirato da una serie di lezioni tenute dall'autore in varie, università americane sulla cultura dell'Italia moderna. Di questa «rassegna da non specialista» pubblichiamo un primo capitolo dedicato a Totò, il re del cinema comico dell'immediato dopoguerra».
Mario Mattoli ha rivendicato il merito di avere compreso e messo in mostra per primo le qualità cinematografiche di Totò, con I due orfanelli (1947); è certo che a questo film seguì la valanga. Nel 1948 escono due film di Totò: Fifa e arena (campione di incasso) e Totò al Giro d'Italia, entrambi diretti da Mattoli; nel 1949 ne escono quattro, in uno dei quali, I pompieri di Viggiù, Totò ha solo una partecipatone, ma negli altri è protagonista assoluto: Yvonne la Nuit, Totò cerca casa, Totò le Mokò. Nel 1950 usciranno ben sette film «di» più uno «con» Totò, tre nel '51, quattro nel '52, cinque nel '53, sette nel '54, e via dicendo, per un totale di novantun titoli fra il 1947 e il '68 (Totò muore nell'aprile del 1967). Cifre simili bastano da sole, è ovvio, non solo a smentire le previsioni di chi aveva considerato Totò inadatto allo schermo, ma an-i che a rendere inadeguata una giustificazione del suo successo con la sola spiegazione della curiosità, che la gente certamente aveva, di vedere almeno in celluloide i famosi protagonisti del teatro di varietà.
Il fatto ovvio è che Totò era, naturalmente, «anche» un animale cinematografico. E' vero che per tutta la carriera di Totò ineritici continuarono a deplorare la (per loro) insufficiente qualità dei prodotti smerciati sotto l'attrattiva del suo nome, a parlare di sottocinema, e à delegare i vice alle recensioni. Questo fa parte di un atteggiamento mantenuto durante un lungo perìodo. (...)
C'era un'espressione ricorrente, oggi in disuso, con cui il critico esprimeva indulgenza a proposito di un regista che dopo aver dato prove "serie" si fosse cimentato in un lavoro brillante: si diceva che costui (Comencini, mettiamo, o Germi) aveva voluto «prendersi una vacanza», far ridere era considerata ufficialmente una attività lucrosa, ma un pochino ignobile, di popolarissimi film di Totò; non certo difendibili d'altro canto dal punto di vista della «qualità» — la confezione di solito era affrettata fino al cinismo — venivano considerati come l'ultimo gradino dell'abiezione. Anche per loro esisteva un termine dispregiativo oggi dimenticato: le «totoate». (...)
Ma non anticipiamo i tempi e diamo un'occhiata a quel primo gruppo di film con cui la fama di Totò esplose, a partire dal ricordato I due orfanelli, in cui Mattoli diede a Totò come spalla Carlo Campanini. Questo film è di costume, ambientato, beninteso approssimativamente, nella Parigi del 1865 (nacque infatti come film «di recupero», per sfruttare ancora le scenografie di un altro film, di Mattoli, Il fiacre numero 13 inoltre si premura, di riscattare l'illogicità della vicenda col venerabile espediente del sogno (tutta la storia non è che un sogno di Gasparre-Totò).
Sono due tratti atipici riguardo alle «totoate» successive, di cui qui si trovano peraltro molte anticipazioni. Gli autori innanzitutto diventeranno del fedelissimi: accanto a Mattoli appare come soggettista Steno, e con loro è sceneggiatore (insieme a un francese per esigenze di coproduzione, tale Jean-Jacques Rastler) il debuttante Agenore Incrocci, in arte Age, proveniente dai periodici umoristici come lo stesso Steno (e come Fellini, Furio Scarpelli, Continenza).
Lo spunto di partenza — Totò e Campanini impiegati in un orfanotrofio che ha come ospite fra l'altro Isa Barzizza, corteggiata dal dragone Galeazzo Benti, e dove tutti hanno il problema di scoprire di chi sono figli — inaugura poi un vero e proprio filone, su cui si farà un discorso a parte. Lasciamo qui la parola allo stesso Age: «Pensammo di fare la parodia de Le due orfanelle... Probabilmente non ci eravamo neppure accorti di aver centrato così l'idea della parodia un aspetto tipico della comicità di Totò».(...)
Vedremo presto l'importanza della parodia nel cinema comico italiano, negli anni che seguiranno; parodia di classici, ma spesso anche semplicemente parodia di film di successo, in genere americani. (...).
I due orfanelli, comunque, oltre che fare la parodia al romanzo d'appendice contengono una goliardica girandola di spunti non sempre bene assortiti; si va dall'escursione nel comico «nero» (cadaveri, club dei suicidi) all'omaggio all'incongruenza «folle» tipo Hellzappoppln (...) con Totò che diventa improvvisamente condottiero napoleonico per una battaglia assurda; e pur nelle pastoie per la verità molto lente del suo personaggio (un giardiniere ex barbiere che ha la mania di tagliuzzare tutto), Totò ha modo di infilare dei suol slogan. C'è un «a prescindere» e c'è un brindisi con caratteristici non-sequitur (Totò è stato riconosciuto come l'erede della fortuna del duca di Latour-Lafitte): «Ma perché dici che il denaro non fa la felicità? Possibile che oltre a essere antipatico sei pure fesso? Il denaro fa la guerra; la guerra fa il dopoguerra; il dopoguerra fa la borsa nera; la borsa nera rifà il denaro; il denaro rifà la guerra... Guerra era un corridore ciclista; perciò noi gridiamo in coro: "Viva Girardengo"».
Fifa e arena e Totò al Giro d'Italia, entrambi di Mattoli, scritti il primo con Steno con Marcello Marchesi, il secondo anche con Vittorio Metz, completano il processo di determinazione-consacrazione dell'immagine cinematografica di Totò. (...) In Fifa e arena lo spunto è la parodia di un successo americano, in Totò al Giro d'Italia, quella di un mito italiano, entrambi estremamente attuali (anche in Totò al Giro d'Italia c'è comunque almeno una disinvolta citazione da un film americano corrente, La vita è una cosa meravigliosa, dove compaiono angeli di seconda classe; qui c'è un diavolo di seconda classe); si scopre insomma e, si valorizza la componente «contemporanea» di Totò. Accanto a questi e agli altri film ricordati sopra bisogna segnalare Totò le Mokò di C. L. Bragaglia, dalla realizzazione e soprattutto dal copione superiori alla media (...)
In tutti i film elencati il comico continuava a riproporre imperturbabile i suoi numeri di teatro, ma al test del cinema, e di un cinema passabilmente realistico, vedi per esempio il film dove Bartali, Coppi, Magni e altri assi del pedale recitano la parte di sè stessi, si scoprì che quella comunione misteriosa già collaudata dal palcoscenico non cessava, che il pubblico seguiva Totò anche attraverso il filtro dell'obbiettivo. Nessuno invocò, a quest'epoca, il precedente di Chaplin, altra creatura del teatro, anzi del music-hall fosse, Io abbiamo detto, del tipo di teatro plit legato al contatto vivo col pubblico) che trasferisce tutti i suoi numeri, adattandoli, al nuovo medium.
Recitando per lo schermo, Totò contiene la sua mimica, limitando soprattutto la componente acrobatica; pur inizialmente importante, questa con gli anni finirà per scomparire del tutto. Ma anche senza l'indefessa e geniale applicazione di un Chaplin, Totò arriva in qualche modo (più che di un dono divino di fotogenia si dovrà parlare di una carica di intensità strepitosa) a «passare lo schermo», stabilendo con i suoi spettatori un rapporto di connivenza. Malgrado la maschera cosi caratterizzata, la gente si identifica in lui, particolarmente la gente del dopoguerra, che sente nelle vene di Totò la lunga trafila meridionale della fame, della miseria, dell'arte di arrangiarsi, e di quella di convivere con tali inconvenienti a forza di umorismo (...).
Totò continuò a lavorare nel cinema come a teatro (...). Dal teatro importò anche un suo caratteristico tipo di lazzo verbale, la derisione di un modo di parlare ricercato, espressa mediante l'accanimento contro certe parole o espressioni singole, che nella sua parodia diventarono proverbiali: «a prescindere», «ma mi faccia il piacere!», «lei m'insegna», «sono un uomo di mondo (ho fatto tre anni di militare a Cuneo)» (L'imperatore di Capri, poi altrove, diversamente da Chaplin, Totò si ripeteva spesso), e andando sempre più verso l'assurdo (ma assurda è la piccola borghesia nelle sue pretese di dignità qui ferocemente sbeffeggiate), «opina?», «scevero», «a josa», «nicchio».
Non c'è bisogno di riassumere le trame dei film di Totò di questo periodo; una volta concordato un pretesto, o un tema di fondo (Totò scambiato per un pericoloso delinquente e quindi per un intrepido torero; Totò innamorato che vende l'anima al diavolo per vincere il Giro d'Italia), il compito degli autori era moltiplicare le occasioni per le esibizioni del comico, quello del regista creare le condizioni opportune al loro manifestarsi eliminando ogni occasione di intralcio; spesso si girava durante le pause dell'attività teatrale di Totò (cessata dopo il '49), che quindi bisognava inseguire nelle varie città d'Italia.
Masolino d'Amico, «La Stampa», 12 novembre 1985
Da Totò a Sordi la satira del cinema sui nostri vizi
La commedia all'italiana, sottotitolo «il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975» di Masolino d'Amico (appena pubblicato nella mondadoriana collana «Studio») è un testo prezioso per capire non solo la storia del nostro cinema, ma la nostra storia nazionale. E che lo abbia scritto un ordinarlo di lingua inglese, dopo un corso di lezioni tenuto sull'argomento al Barnard College di New York, suona un poco come un'accusa alla nostra critica cinematografica specializzata. Basta provare a leggere, nell'introduzione, la genesi di questo libro.
Masolino d'Amico racconta, infatti, che nell'autunno del 1977, invitato dalla professoressa Maristella Lorch, direttrice del Dipartimento di italianistica appunto del Bamard College, a tenere un corso di «cultura dell'Italia moderna» al Barnard College, decise di dedicare una parte del corso al nostro cinema del dopoguerra e, dopo aver constatato che gli studenti (molti dei quali frequentavano anche la Film Scliool della vicina e gemellata Columbia University) sapevano già tutto dei Visconti, dei Rossellini, dei De Sica, dei Fellini e degli Antonioni, provò a parlare della cosiddetta «commedia all'italiana», alcuni dei cui prodotti come il Divorzio di Germi e i Compagni di Monicelli erano ben noti negli atenei americani e disponibili in copie sottotitolate.
Cosi Masolino d'Amico si trovò a fare due scoperte. La prima che i film comici italiani (anche quelli che lui avrebbe considerato meno esportabili) piacevano enormemente al suo giovane pubblico americano. E la seconda che in Italia non esistevano studi monografici né manuali-repertorio di notizie sulla commedia all'italiana né su quel cinema comico italiano in generale da cui occorreva pur prendere le mosse per un discorso minimamente coerente. Dunque, Masolino d'Amico dovette cominciare a mettere insieme, tutto da solo, appunti e materiali per i suol studenti americani, i suoi ascoltatori di «docente in visila«.
Non c'era la TV
Da allora, certo, sono uscite da noi monografie con informazioni precise ed esaurienti sulla carriera di molti tra i principali attori e registi del cinema comico italiano del dopoguerra. Continua, tuttavia, a mancare un libro in cui si tracci il bilancio complessivo sia della commedia all'italiana sia del contesto più ampio in cui questa fiorì.
«Ho pertanto pensato di contribuire a colmare questa lacuna offrendo la presente rassegna da non specialista quale sono come punto di riferimento per eventuali studi futuri, che mi auguro più esaurienti del mio: d'altro canto, come si vedrà, il campo è vastissimo...», dice con modestia Masolino D'Amico che, fortunatamente, non ha tentato di togliere alle sue pagine la caratteristica di discorso indirizzato soprattutto a stranieri quasi completamente digiuni di fatti di casa nostra. Del resto anche per un trentenne italiano d'oggi l'epoca in cui la televisione non esisteva appartiene al mondo delle favole. Dunque, come cominciò?
Il cinema comico italiano, per cosi dire, moderno si era già fatto vedere sotto il. fascismo nel 1930, anno in cui su quattro film sonori prodotti uno era comico, s'intitolava Nerone, era diretto da Blasetti, ma era nel bene e nel male uno spettacolo teatrale dello straordinario comico Petrolini. Poi nel 193S il regista Mattali (che nel 1931 aveva fondato la compagnia Zabum, riformando il teatro di rivista) lanciò sullo sdiermo in Imputato, alzatevi! il comico Macario, con battute, gags e bizzarrie suggerite dal giornalisti del Marc'Aurelio e del Bertoldo, i due fogli umoristici prosperanti sotto il regime fascista.
Fellini umorista
Il nome del regista non contava molto allora, e si parlò di quel primo film e del successivi della serie come dei film di Macario. E si parlò del film di Fabrlzl, altro comico di varietà, per la serie che ebbe inizio nel 1943 con Avanti, c'è posto!, regia di Bonnard, soggetto e sceneggiatura dello stesso comico e di Fellini, anche lui proveniente dalla fucina del giornali umoristici. Naturalmente, c'era già in pista Totò, ma i suoi film (come, del resto, il Nerone di Petrolinl) sapevano più di teatro filmato che di cinema, godevano una celebrità di riflesso, e, quando non eran teatro filmato, come Fermo con le mani! (1937) o Animali pazzi (1939) non avevano gran successo. L'era d'oro cinematografica di Totò si sarebbe celebrata nel dopoguerra.
Il regista fu ancora una volta Mattoli ne I due orfanelli (1947) a cui seguirono, dall'anno della rinascita cinematografica di Totò al primo anno dopo la morte fisica di Totò e della definitiva uscita degli ultimi due suol sketch in Capriccio all'italiana (1968), altri 90 (novanta) film quasi tutti di gran successo di cassetta e di scarso successo di critica (che, anche quando elogiava, sospirava differenti film per il popolarissimo attore napoletano). La commedia all'italiana nacque nel segno di un altro straordinario comico, Sordi, che non fu capito al suo esordio cinematografico come protagonista in Mamma mia che impressione (1951) ma fu poi imposto all'attenzione da Fellini in I vitelloni (1953), e, soprattutto, si impose lui grazie al suo talento, oltre che di attore, di osservatore, anzi studioso, analista degli usi e costumi del nuovo italiano uscente dal dopoguerra nella pace con tutti i vizi e i vezzi possibili e impossibili.
Da qui comincia la storia della commedia all'italiana a cui Masolino d'Amico ha dedicato questo succinto (meno di 250 pagine), ma ricchissimo (di dati, di puntiglio e di affetto per la materia) libretto, che vi consiglio di tutto cuore. Sordi, per così dire, contro Totò. Il prevalere, nel film fatto per divertire, di un sagace strumento di critica della società italiana. Il vero impegno, insomma, è stato quello della commedia all'italiana più , che quello del neorealismo? E' una domanda che il lettore di Masolino d'Amico finisce salutarmente per porsi.
Oreste Del Buono, «La Stampa», 7 dicembre 1985
Riferimenti e bibliografie:
«La commedia all'italiana (Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975)», Masolino D'Amico, La nave di Teseo, 2021
Torna con una nuova introduzione un testo classico della storia e critica del cinema.
Nel primo dopoguerra l’Italia inizia una massiccia importazione di film americani: per fronteggiare il fenomeno il cinema nostrano decise di recuperare risorse che durante il regime fascista erano state scoraggiate o represse, favorendo così la nascita di una tradizione comica popolare che restò a lungo un efficace strumento di critica sociale. Il libro copre un vastissimo panorama: non solo di mostri sacri come Sordi, Gassman, Totò, Tognazzi, Monicelli, Risi o Comencini, ma anche le riviste degli anni Quaranta e Cinquanta, i film-parodia, la saga sicula di Franchi e Ingrassia. Un panorama ormai parte della memoria storica, che Masolino d’Amico ripercorre senza dimenticare gli aspetti materiali come finanziamenti, distribuzione e censura.
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Masolino d'Amico, «La Stampa», 12 novembre 1985
- Oreste Del Buono, «La Stampa», 7 dicembre 1985