Totò sparava solo con la risata, è difficile fargli un monumento
La statua di bronzo, alta 220 cm è stata realizzata grazie al contributo di 240 artisti (su proposta di Emilio Notte, offrirono una loro opera) e del popolo napoletano. Costo dell’ opera: 45 milioni di lire. L’autore prof. Vincenzo Giggiano Borrelli ha inteso rappresentare tre aspetti della poliedrica personalità di Totò: la testa seria e compassata con bombetta elegante, rappresenta il “Principe Antonio De Curtis”, il busto, col gesto classico di Totò, rappresenta “ Totò attore ”, la parte inferiore con i calzoni saltafossi, rappresenta il Totò comico, guitto e Clown. Questo trittico può piacere o meno, ma è originale: è stato prescelto da una commissione di esperti e da una votazione televisiva.
Vero è che fra le tante statue e monumenti di Totò, esposti nelle varie città, questa particolare statua di bronzo, oltre ad essere la più suggestiva, come dichiarò Liliana de Curtis, ha un ineguagliabile valore simbolico: rappresenta il profondo sentimento ed un tributo di simpatia, di ammirazione e di affetto verso Totò del popolo e degli artisti napoletani, mentre le istituzioni locali per 50 anni lo hanno ignorato ed umiliato intestandogli semplicemente un piccolo vicolo, una modesta traversa di via Foria. [...] Con una manifestazione estemporanea, alla quale presero parte migliaia di cittadini, l’assessore Gennaro D’Ambrosio, in rappresentanza della Regione Campania, e gli assessori Picardi e Rusciano, in rappresentanza del Comune, la statua venne offerta al Comune di Napoli, dal delegato Gigi Petra, il 9 luglio 1986, con atto del notaio Carlo Iaccarino.
Pietrangelo Gregorio
Totò in piazza a Napoli?
La città divisa per la proposta d'un monumento
Totò torna a Napoli. Torna nello stupefacente montaggio di smorfie e di sarcasmi napoletani che accompagna ogni sera dallo schermo lo spettacolo su Totò della compagnia del San Carluccio. Torna nell'animo degli studiosi, che, dopo la riscoperta troppo unanimistica e provocatoria del comico nel resto d'Italia e in Francia, fanno i conti con un artista che oggi più che mai sembra legato alla città e alla sua storia sofferente. Totò torna nelle polemiche pubbliche.
Bisogna fargli il monumento o no? Totò maschera popolare, portavoce sottoproletario di Napoli, deve essere ricordato nel marmo o bastano i libri che ormai costituiscono una piccola biblioteca?
Nella Napoli del dopoterremoto, che non ha perso la voglia di mordersi, di rappresentarsi, di celebrarsi, i pareri sono divisi. Il popolo dice: «Facciamo il monumento. Ha bisogno di qualcosa che si veda. Un Totò, collocato magari nei giardini della Villa Comunale, che rivolga ai camorristi e ai profittatori di oggi lo storico interrogativo: "Siamo uomini o caporali?"».
Gli studiosi, gli intellettuali, che pure hanno alimentato il mito postumo di Totò, la sua perdurante forza simbolica, dicono: «No, un monumento sarebbe un'operazione ambigua, una trovata retorica, un modo per privilegiare l'apparenza secondo i peggiori luoghi comuni napoletani».
Una tv privata ha iniziato una raccolta di fondi per il monumento, sono cifre piccolissime, offerte di poveri. Qualcuno si vergogna, dicono che al monumento dovrebbe pensarci il Comune. Il Comune tace. Uno scrittore napoletano, Luigi Compagnone, ha suggerito un compromesso: «Almeno fatelo seduto». Un monumento di Totò seduto sarebbe il contrario della retorica.
Al convegno di studi su Totò, che s'è chiuso domenica, affollatissimo e riuscitissimo, un vecchio compagno dell'attore, Pietro De Vico, ha cercato di rompere l'imbarazzo dei critici: «Per favore, fate una campagna per il monumento a Totò. Lui se lo merita. Ne sarebbe contento». E Franca Faldini, che è stata accanto a Totò negli ultimi anni: «Se lui ci vedesse, come si divertirebbe. Riderebbe delle parole diffìcili, del dibattito sofisticato».
Delle parole forse si, ma del monumento? Cosi cresce la schiera dei seguaci di De Vico e degli altri monumentisti. Perché non accontentarli? Perché non regalargli il monumento? Se Totò è stato davvero la grande maschera sottoproletaria, l'interprete della ribellione e della pazienza individuali, è giusto che siano i suoi compagni ideali, quelli che ne condividono ancora umorismo e sofferenza, a scegliere il modo per celebrarlo. Gli slanci dei crìtici passano, i monumenti restano. Come resta Napoli, ancora più ferita oggi, ancora più sconvolta, irriducibilmente esposta al sopruso dei caporali, quando vorrebbe essere fatta solo di uomini.
Stefano Reggiani, «La Stampa», 10 febbraio 1981
Totò sparava solo con la risata. E' difficile fargli un monumento
Diodoro Siculo, nelle sue storte sugli antichi greci, racconta che «i padri di tutti gli Elleni», volutamente, erigevano monumenti lignei ai generali vincitori. Il legno veniva preferito al bronzo e al marmo perché dava una maggiore garanzia di autodistruggersi col tempo. In altre parole, i nostri antenati non volevano infierire sui popoli vicini, e pensavano che non era giusto ricordare loro, in eterno, di essere stati sconfitti.
Non tutti la pensano cosi: nell'Irlanda del Nord un gruppo di cristiani protestanti, non molto cristiani in verità, continua a fare, il 30 giugno di ogni anno, una sfilata in costume per celebrare la vittoria di Guglielmo d'Orange sui cattolici di Giacomo II, avvenuta tre secoli fa, e ogni volta, a causa di questa mascherata ci sono morti e feriti tra i religiosi delle opposte fazioni.
In Italia, da un mese a questa parte, si sta discutendo, con 86 anni di ritardo, se sia più giusto erigere un monumento a Gaetano Bresci, l'anarchico che sparò a Re Umberto I, o ai milanesi che furono presi a cannonate nel '98 dal generale Bava Bcccaris per ordine dello stesso Re. A nessuno viene in mente che, Dio sia lodato, è passato tanto tempo e che la monarchia non c'è più da quarant'anni.
Per quanto mi riguarda, più che il monumento a Bresci, ho a cuore il monumento a Totò, e vorrei cogliere l'occasione per sollecitare il Comune di Napoli a erigere una statua al principe De Curtis. Totò, è vero, non ha mai ammazzato nessuno, e questo è un handicap per un'aspirante statua. In genere i monumenti vengono dedicali agli Eroi, ai Re e ai condottieri, tutta gente che, seppure per nobili motivi, ha quasi sempre provocato un po' di spargimento di sangue: Garibaldi, Cesare e Napoleone ne sanno qualcosa. Totò, invece, era incensurato, e se qualche volta ha tentato di uccidere gli spettatori, lo ha fatto solo con l'arma della risata.
C'è ancora un'altra cosa molto importante da sapere: Totò nel '64 scrisse una celebre poesia intitolata «'A livella», nella quale racconta di un litigio avvenuto in un cimitero, a mezzanotte, tra due defunti appena sepolti. I litiganti sono un marchese e un netturbino. Il marchese è molto arrabbiato perché i parenti del netturbino hanno osato seppellire il loro congiunto proprio accanto alla sua cappella gentilizia. Il nobiluomo chiede perentoriamente allo scheletro del poveretto di allontanarsi di qualche metro e di nascondere i suoi miseri resti a debita distanza. Il netturbino, mortificato, chiede scusa, anche a nome dei parenti, finché a un certo punto perde la pazienza ed esclama: «Marchese, queste pagliacciate lasciamole fare ai vivi, noi adesso siamo gente seria: siamo morti!»».Ebbene, dovete sapere che l'idea del monumento a Totò è stata già approvata dal Comune di Napoli e realizzata dallo scultore Vincenzo Giggiano Borriello. Il bozzetto dell'opera, a suo tempo, ha vinto una gara, e i fondi sono stati reperiti grazie a una colletta popolare. Non c'è che da chiamare gli addetti alla posa e preparare una bella e commovente cerimonia di scoprimento. Ma allora, perché si ritarda? Leggo dal «Mattino»» di Napoli che la Commissione Edilizia ha bloccato l'iniziativa perchè «l'opera costituirebbe una turbativa a un paesaggio consolidato storicamente»». In altre parole, Totò «stonerebbe»» accanto ai gruppi marmorei di Laocoonte e di altri celebri personaggi. Dal comunicato non si capisce se ce l'hanno con lo scultore, perché ha realizzato un monumento brutto, o con il soggetto dell'opera, che, in quanto comico, non sarebbe in sintonia con le statue vicine. In tutto questo, mentre le autorità comunali dibattono la questione, il monumento a Totò è rinchiuso in una segreta del Maschio Angioino. Immagino i suoi commenti se fosse ancora vivo!
E questo vale anche per i sostenitori di Bresci, per quelli di Umberto I e per gli Irlandesi che partecipano al corteo di Guglielmo d’Orange.
Luciano De Crescenzo, «Corriere della Sera», 14 settembre 1986
Una statua di Totò nella "sua" Napoli
Alta due metri e 20 centimetri
NAPOLI (Ansa)
A quasi vent’anni dalla scomparsa di Totò (1898-1967) i napoletani hanno voluto ricordare il celebre artista con uno statua in bronzo che raffigura l'indimenticabile maschera comica di Antonio de Curtis. La statua, che è alta due metri e venti centimetri, fusa in bronzo in una «bottega» delle Fontanelle, il quartiere dove visse l’artista, è stata consegnata ufficialmente ieri mattina all'assessore comunale alla cultura Rosario Rusciano nel corso di una breve cerimonia svoltasi al Maschio Angioino. E' questa la prima testimonianza della città ad uno dei suoi figli più illustri e si è concretizzata esclusivamente per iniziativa di semplici cittadini che si sono tassati pur di offrire a tutti un ricordo perenne dell’arte di Totò.
L’idea di erigere la statua fu raccolta alcuni mesi fa dai responsabili dell’emittente televisiva napoletana «Canale 21» che spinta dall’entusiasmo dei propri telespettatori organizzò una vera e propria asta, riuscendo a coinvolgere vari esponenti del mondo della cultura, dell'arte e dello spettacolo. Il ricavato è stato poi destinato allo scultore Vincenzo Giggiano Borriello di Torre del Greco, che, a giudizio di una speciale giuria, aveva presentato il miglior bozzetto per la realizzazione del monumento.
Ora la statua di Totò rimarrà al Maschio Angioino fino a settembre, allorché nel corso di una solenne cerimonia sarà messa a dimora in una delle aiuole della Villa Comunale presso il Circolo della Stampa.
«Corriere della Sera», 10 luglio 1986
Riferimenti e bibliografie:
- Pietrangelo Gregorio, lifeinnaples.it
Sintesi delle notizie estrapolate dagli archivi storici dei seguenti quotidiani e periodici:
- Stefano Reggiani, «La Stampa», 10 febbraio 1981
- «Corriere della Sera», 10 luglio 1986
- Luciano De Crescenzo, «Corriere della Sera», 14 settembre 1986