Liliana de Curtis: «mio padre, Totò, per me tentò il suicidio»

Totò Liliana

Parla Liliana de Curtis, la figlia del grande comico. «Quando avevo sei anni», racconta Liliana, che sta scrivendo una biografia del celebre attore scomparso nel 1967 «papà mi regalò un cestino di ciliegie, lo le mangiai con tanta avidità che feci indigestione» - «Per il rimorso di essere stato lui la causa del mio malessere voleva uccidersi» - «Era un uomo terribilmente emotivo: si agitava tantissimo anche per i motivi più banali»

Roma, febbraio

«Mio padre era un uomo straordinario del quale non è mai stata svelata la vera personalità. Era un grande artista, un bambino, un folletto, un poeta, un tiranno: tutto contemporaneamente. Vivere con lui, quindi, comportava una continua tensione emotiva spesso snervante. Però, ogni sua scelta e anche ogni errore, nasceva da un impulso del cuore ed era, comunque, una manifestazione d’amore».

Chi parla è Liliana de Curtis, 54 anni, l'unica figlia di Totò, che è giunta a Roma da Johannesburg, in Sudafrica, dove, insieme con il secondo marito Sergio Anticoli, possiede due ristoranti. Accanto a lei è la madre, Diana Rogliani, che a 76 anni conserva i segni della bellezza che la rese famosa in gioventù. Liliana rimarrà in Italia parecchio tempo, perché sta scrivendo un libro sul padre e deve quindi affrontare un minuzioso lavoro di ricerca, aiutata dalla mamma.

1987 04 Gente F01«ERA RIMASTO UN BAMBINO» Capri (Napoli), 1954. Un’immagine rara di Totò, il grande attore scomparso nel 1967, a 69 anni, qui ritratto in un momento di "relax”: il comico, all’apice della popolarità, esibisce i muscoli prima di fare un bagno. «Papà era un grande artista», dice la figlia Liliana de Curtis (nel riquadro con il padre quando era piccola) «ma in fondo al cuore era sempre rimasto un bambino e gli piaceva giocare. Al tempo stesso però sapeva essere intransigente: io ne soffrivo e a volte cercavo di ribellarmi. Ma quello era il suo modo di volermi bene».

«Abbiamo ritrovato delle bellissime poesie inedite di papà», dice Liliana. «Fotografie mai pubblicate, lettere, appunti e altri documenti interessanti. Mi serviranno per il libro e anche per una mostra che si sta allestendo a New York, in onore di Totò, insieme con una retrospettiva dei suoi film, gli stessi che tanti anni fa venivano snobbati dai critici boriosi, quelli con "la puzza sotto al naso", come diciamo a Napoli».

Liliana è una donna intelligente, sensibilissima, che nello sguardo e nella mimica ricorda molto il padre. Di lui parla con affetto ed orgoglio, mentre la madre l’aiuta a rivangare i ricordi. Sono tanti e si intrecciano con quelli della sua vita, che è stata piuttosto burrascosa.

«Mi sono sposata due volte», racconta Liliana. «La prima, a diciotto anni, contro la volontà di mio padre, con Gianni Buffardi dal quale ho avuto due figli, Antonello e Diana. Mio marito era un uomo attraente, ma certamente negato per la vita familiare. Ci lasciammo e, dopo un periodo di solitudine, conobbi Sergio Anticoli, il mio attuale marito. All’epoca eravamo entrambi sposati, almeno anagraficamente, e per rifarci una vita, in attesa dei rispettivi divorzi, ci trasferimmo in Sudafrica. Al momento di partire, i miei due figli decisero di restare con il padre e quindi pagai duramente la mia felicità. A Johannesburg, nel 1970, ebbi un’altra figlia, Elena, e, insieme con mio marito, aprii due ristoranti Rugantino e Meo Patacca. Fu un successo, anche grazie al fatto che io sono la figlia di Totò e il nome di papà è ancora famoso in tutto il mondo. Ma il nome che porto mi ha condizionato anche in senso negativo. Per esempio, da ragazza a volte sognavo di fare l’attrice, ma poi riflettevo che non avrei mai potuto reggere il confronto con mio padre Totò e allora lasciavo perdere. Anche in altri campi, in fondo, non riuscivo ad emergere quando era vivo lui. Non seppi nemmeno conquistare l'indipendenza economica, perché al mio mantenimento pensava sempre mio padre, anche quando ero la moglie di Buffanti. A volte il troppo amore può soffocare la personalità di un figlio».

«Voleva punirsi»

«E’ il suo caso?».

«In un ceno senso sì», confessa Liliana. «Adoravo papà, al punto che ancora oggi me lo sento vicino spiritualmente e mi rivolgo a lui ogni volta che devo prendere una decisione importante. Tuttavia devo ammettere che tra le pareti domestiche era un uomo difficile. Mi amava in un modo viscerale, possessivo, esagerato. Una volta quando avevo sei anni, mi regalò un cestino di ciliegie che mangiai con tanta avidità da fare indigestione. Lui ne fece un dramma e si senti a tal punto colpevole del mio malessere che si gettò dalla finestra. SI, proprio cosi, la sua non fu una recita. Voleva punirsi. Per fortuna abitavamo al primo piano rialzato e se la cavò con qualche escoriazione, ma poteva finire in tragedia. Totò, mio padre, era un uomo eccessivo in tutto e vedeva pericoli ovunque. Per tenermene al riparo mi proibì perfino di andare a scuola. Studiavo a casa, con un'insegnante privata, e naturalmente non ebbi la cultura che avrei desiderato. Quando crebbi, mi fu proibito di frequentare i miei coetanei e sono convinta che il mio matrimonio con Buffarci! a soli diciotto anni, sia stato proprio un modo per sfuggire all'affetto fin troppo possessivo di papà. Lui non volle partecipare alle nozze e la mattina in cui uscii di casa, sola, per andarmi a sposare, pianse.

«In seguito, quando papà morì, ho sentito un gran vuoto. Il suo affetto, possessivo ed esagerato mi è mancato terribilmente e credo che mia madre abbia provato la stessa sensazione».

Un filo sottile

Liliana guarda la mamma Diana che annuisce e cede a un attimo di commozione. Diana Rogliani si separò da Totò e poi si risposò, ma evidentemente una traccia del sentimento che la uni al grande attore vive ancora dentro di lei. Capisco che ha voglia di parlare e le domando: «Signora, ci racconta la vostra storia d'amore?».

«Lei vuole sapere la verità?», esclama Diana illuminandosi in volto. «Ebbene, io le assicuro che anche se il nostro matrimonio fini male, Totò e io siamo sempre rimasti uniti da un filo sottile. Quando lo conobbi non avevo ancora compiuto sedici anni ed ero appena uscita di collegio. Me lo presentò il marito di mia sorella una sera a teatro, dove lui si esibiva. Era la prima volta che uscivo di sera e per l'occasione ebbi il permesso di sciogliere le mie trecce e legai i capelli sulla nuca con un grosso fiocco bianco. Ero bellissima, e quando Totò mi vide rimase incantato. Aveva vent'anni più di me ed evidentemente aveva intenzione di farsi una famiglia. Infatti, disse subito a mio cognato: "Io questa ragazza me la sposo, perché incarna perfettamente il mio ideale femminile: è la creatura che ho sempre sognato".

«Ricambiai subito il suo amore, perché Totò era un uomo molto bello. Il pubblico che lo giudica attraverso la sua immagine teatrale e cinematografica non si rende conto che la sua fisionomia era deformata dalla finzione scenica. In realtà, essendo un mimo straordinario, in palcoscenico riusciva a cambiare aspetto. Nella vita di tutti i giorni aveva un viso singolare, ma mai ridicolo come in palcoscenico. Mi piaceva molto osservarlo mentre dormiva, perché nell’abbandono del sonno, i suoi lineamenti acquistavano la loro vera dimensione ed io in quel momento lo sentivo più mio. Con me, come lo fu poi con Liliana, era estremamente possessivo.

«"Se avessi una bacchetta magica d farei diventare piccola piccola", mi diceva "cosi potrei nasconderti in una scatolina e portarti sempre con me nella tasca della giacca”.

«Non voleva lasciarmi nemmeno per un'ora e infatti pretendeva che lo seguissi sempre in teatro. Nostra figlia, fin da quando era in fasce, fu affidata alle cure di una governante che me la portava in teatro perché potessi allattarla. L'ultima poppata avveniva a tarda notte dietro le quinte. Ero preoccupata per la bambina, ma non potevo contrastare la volontà di mio marito e così ubbidivo. A volte mi pesava, ma poi bastava un suo bacio, una delle sue lettere d’amore, perché dimenticassi i lati negativi della nostra unione che era ricca di emozioni stupende».

«Per esempio?».

«Il momento magico del nostro matrimonio fu la nascita di Liliana», racconta Diana. «Il lieto evento, naturalmente, avvenne con la bizzarra regia di Totò. Odiava i medici e le cliniche e decise che avrei partorito nella stanza dell'albergo dove abitavamo in quel periodo. Quando nacque Liliana, mio marito stava recitando e seppe la bella notizia tra un atto e l'altro. Allora si presentò in palcoscenico e, raggiante di felicità fece l'annuncio al pubblico: "Signori e signore, scusate se interrompo la recita per un quarto d’ora, ma sono diventato padre e vorrei conoscere mia figlia". Poi, seguito da un applauso fragoroso, lasciò il teatro e corse da me. Non dimenticherò mai il suo
volto stravolto dalla gioia quando vide Liliana per la prima volta. Dopo averla osservata, però, dette qualche segno di delusione perché era scura di capelli e di carnagione e aveva il naso leggermente storto.

«"Mamma mia, quanto è brutta!", esclamò.

«"Ma che vai dicendo Totò?", lo rimbeccai io. "Guardala bene: la bambina è bellissima".

«Lui allora ritrovò il sorriso e osservò: "Si, è vero, è tale e quale a me". In seguito ricadde in uno stato ansioso perché nostra figlia, come molti neonati, aveva gli occhi azzurri e questo particolare gli fece dubitare della sua paternità. Naturalmente riuscii a dissipare ogni suo assurdo sospetto, un po’ con l’amore, un po' con i fatti, visto che le pupille di Liliana ben presto diventarono nere come quelle del papà. Rivivendo questi episodi mi rendo conto ancora una volta che Totò era sì un marito difficile, ma anche un uomo unico».

«Perché vi separaste?».

«Come ho spiegato, vivere con Totò era complicato e a un certo punto il nostro matrimonio entrò in crisi. Io ero stanca di uno stile di vita che alla fine poteva essere anche logorante e lui non sopportava più le mie lamentele. Insomma i rapporti tra noi si raffreddarono. Forse avremmo potuto ritrovare l’accordo se lui non avesse incontrato Silvana Pampanini. La conobbe nel 1948, girando un film famoso, Quarantasette morto che parla, e cominciò a corteggiarla. Le voci della sua passione per Silvana mi ferirono profondamente anche se il nostro legame si era già allentato parecchio.

Colpo tremendo

«Ad esasperarmi contribuirono i pettegolezzi maligni. Ogni tanto mi arrivava la telefonata della solita "cara amica" che mi raccontava: "Tuo marito è pazzo della Pampanini”, oppure: "Le ha mandato un fascio di rosse rosse, con in mezzo un anello di brillanti". Magari erano soltanto chiacchiere, ma io, che ero già in crisi, non ressi la tensione e lasciai mio marito. Per lui fu un colpo tremendo. Aveva il culto della famiglia perché non ne aveva mai avuta una. Infatti era nato fuori dal matrimonio, una cosa per quei tempi vergognosa, e soltanto da grande fu riconosciuto dal padre. Ricordo che il primo Natale che passammo insieme si commosse vedendomi fare il presepe perché da bambino non aveva mai goduto di questa gioia. Il mio abbandono lo fece soffrire e, per sfogare il suo dolore, scrisse per me la sua canzone più nota, Malafemmena».

«Ma non gliela ispirò la Pampanini?», domando.

«No, proprio durante il lavoro di ricerca che sto facendo con Liliana, abbiamo trovato la dedica autografa di mio marito: la sua musa sono stata io, senza ombra di dubbio. L’equivoco nacque perché la canzone fu scritta nel periodo in cui lui corteggiava Silvana. Però la "malafemmena", cioè la donna colpevole di aver spezzato il cuore di Totò non era lei, ma la sua legittima consorte.

«In seguito mi risposai ed ebbi una vita più tranquilla, ma, certo, meno intensa. Adesso che sono rimasta sola mi dedico a mia figlia e ai miei nipoti. Se qualche volta mi sento malinconica, poi mi basta chiudere gli occhi e abbandonarmi ai ricordi».

Liliana ascolta le parole della mamma e aggiunge altri particolari alla vita amorosa del padre, visto che fu amica di Franca Faldini, la sua ultima compagna.

«Papà rimase colpito dalla sua bellezza vedendola in un ristorante», racconta. «La loro unione si rivelò riuscita perché, pur essendo molto più giovane di lui, Franca era una ragazza calma, portata alla famiglia. Forse Totò non l'amò come aveva amato mia madre, ma certo stava bene con lei. Sperava soprattutto di avere finalmente un figlio maschio, ma rimase deluso. La Faldini diede alla luce un bambino che mori poche ore dopo la nascita. Ricordo che papà mi telefonò di notte per avvertirmi e con una voce desolata disse: "Liliana, è andata male, ma bisogna farsene una ragione".

La sua bombetta

«Tra le sue tante doti mio padre aveva una grande forza d’animo che gli permise di affrontare con serenità la cecità che lo colpì in vecchiaia. All'inizio era disperato, ma poi riuscì a sopportare la sua disgrazia, anche con un pizzico di ironia.

«"Quando uno cade per le scale, la gente si sbellica dalle risate", osservava. "Ebbene dobbiamo imparare a ridere anche dei nostri guai, oltre che di quelli altrui”».

Liliana si interrompe per mostrarmi le fotografie dei genitori di Totò che il grande attore amava con l’intensità che gli era propria. Ricorda che il film preferito dal padre era Guardie e ladri e che l’unico vero amico che avesse nell’ambiente dello spettacolo era Aldo Fabrizi. Puntualizza che Totò non le ha lasciato un ingente patrimonio e che la sua eredità più preziosa è un cappello: la bombetta che il comico indossò durante le sue più famose macchiette. Liliana me la mostra come se fosse una reliquia.

«Mio padre aveva la gioia di dare, alle persone amate e anche ai tanti sconosciuti che gli chiedevano aiuto», conclude. «Con il suo carattere non poteva certo morire ricco. Non mi separo mai dalla sua bombetta perché sono convinta che mi porti fortuna. Ogni volta che la metto, quando mi diverto a fare l’imitazione di Totò, provo un'emozione dolcissima, come se papà fosse ancora accanto a me».

Matilde Amorosi, «Gente», anno XXXI, n.13, 13 aprile 1987


Il Piccolo
Matilde Amorosi, «Gente», anno XXXI, n.13, 13 aprile 1987