Totò, il Principe della gelosia

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Totò e l’amore. Era ossessionato dal tradimento. I ricordi di Diana Rogliani, moglie del grande comico napoletano. Il colpo di fulmine, il matrimonio, il divorzio imposto come «prova»

«Conobbi Totò il 30 agosto del 1931, a Firenze. Il grande comico si esibiva alle "Follie estive", un teatro che sorgeva sul Lungarno, e che esiste ancora. Non avevo ancora sedici anni, e non ero mai stata a teatro. Facevo il secondo liceo al collegio Demidov. Abitavamo in via Lambertesca 16, una stradina che conduceva agli Uffizi. Vivevano con noi anche mia sorella Elena e il marito, Raniero De Cenzo, che era un attore di prosa. Fu lui che, contro il parere di mia madre, mi portò a teatro, insieme ad Elena. Non appena lì, mandò un biglietto a Totò, il quale venne nel foyer per salutarlo c per chiedergli di quanti posti aveva bisogno. Non appena mi vide, mi strinse la mano e restò come impalato, gli occhi fissi su di me. Per vincere il disagio, io guardavo le foto delle ballerine sui manifesti, ma lui non cessava di fissarmi. Fu un colpo di fulmine, come suol dirsi».

 

Un colpo di fulmine soltanto per lui o per entrambi?

«lo restai colpita dalla sua eleganza, dalla sua signorilità. Indossava un principe di Galles a righine rosse su una camicia di seta color crema con una righina di raso rosso e una cravatta rosso bordò a strisce beige con una spilla d’oro, ai polsi dei gemelli d'oro con le sigle. Ci accompagnò lui stesso ai posti, in uno dei palchi centrali. Poi si cambiò per andare in scena».

Il colpo di fulmine che seguito ebbe?

«Un seguito frenetico. Dopo circa dieci minuti dall’inizio dello spettacolo, arrivò nel nostro palco una maschera con un grande plateau di cioccolatini e caramelle. Dopo altri cinque minuti, la maschera tornò e disse a mio cognato: "Totò le vuole parlare". "Ti ho trovato un marito, Totò vuole sposarti", disse mio cognato al ritorno. "Ma è matto?", gli risposi. Al termine dello spettacolo, andammo nel suo camerino per salutarlo. "Ora andremo tutti a cena", disse mentre si struccava. Poi mi chiese: "Ma lei non ha mai pensato a sposarsi?". "Macché! Io debbo studiare", gli risposi. "Ci pensi, ci pensi", mi disse. Andammo a cena alla Buca di San Ruffilo. Durante il pranzo, non mi tolse mai gli occhi di dosso. La mattina successiva giunse a casa nostra una enorme corbeille di rose rosse, un piccolo roseto, con una grande scatola di cioccolatini. "E’ un omaggio di Totò ad Elena", disse Raniero a mia madre, alludendo al fatto che Elena aspettava un bambino. Ma mia madre non ne sembrava molto convinta. Allora Raniero le rivelò che Totò voleva sposarmi. "Ma è una follia!", disse mia madre. Totò lei lo vedeva come un gran donnaiolo sempre circondato da ballerine con le lunghe cosce in fuori. Inoltre aveva diciassette anni più di me. Ma dopo due giorni Totò venne da noi per parlarne a mia madre».

Il racconto è lungo. Il racconto d’una storia d’amore singolare, lunga e tormentata, dai risvolti oscuri e febbrili, al limite dell’ossessione e del delirio, per molti aspetti così sconcertante che si stenta a crederla possibile. Ma l'autrice del racconto è più che attendibile, e affascinante: Diana Rogliani, nata a Bengasi il 26 agosto del 1915, riportata per le vicende belliche ancora bambina in Italia, rimasta ben presto priva del padre, un colonnello dei bersaglieri morto a Milano nel 1917 per ferite di guerra, vissuta tra il Friuli, Milano e Firenze, finché non incontra Antonio De Curtis, in arte Totò, uno dei maggiori attori comici italiani del secolo.

«Mia madre - continua Diana Rogliani - prese tempo. Gli disse: "Signor De Curtis, ci penseremo, vedremo. Mia figlia è ancora cosi giovane". Io invece non persi tempo. Dopo una ventina di giorni, andai alla stazione, salii sul treno e lo raggiunsi a Roma, all'Hotel Ginevra, in via della Vite. Il 10 maggio del 1933 nacque Liliana e allora andammo a vivere in un appartamento nostro, in Prati, via Tibullo 16. Il 6 aprile del 1935 ci sposammo, nella chiesa di San Lorenzo in Lucina».

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E’ vero che Totò era gelosissimo?

«Follemente, morbosamente geloso. Una gelosia mostruosa. Non mi lasciava mai sola. Dovevo stare sempre con lui. Mi considerava una cosa di sua proprietà. Liliana dovevo allattarla nel suo camerino. La portava in teatro la ragazza tedesca che le faceva da baby sitter. L’ultima poppata gliela davo alle 11 di sera. Aveva paura di tutti e di tutto. Il solo pensiero che un altro uomo potesse desiderarmi lo turbava profondamente».

E’ vero che la indusse a divorziare ed a continuare a vivere insieme da divorziati con la stramba idea che, se lei lo avesse mai tradito, non si sarebbe sentito un cornuto perché non eravate più marito e moglie?

«Verissimo. Diceva: "Le coma dell’amante si svitano, quelle della moglie no". Una sera mi chiese: "Tu stai con me perché sei la signora De Curtis o perché sei innamorata di me?". Gli risposi: "Io sto con te perché sono innamorata di te, perché sono felice con te, perché tu sei il padre di Liliana, non perché sono la signora De Curtis". "Allora accetteresti di divorziare?", mi chiese. "Sì, purché non lo sappia mia madre", gli risposi. Avviò allora le pratiche per il divorzio, in Ungheria. La notifica dell’avvenuto divorzio ci raggiunse l’anno dopo in Africa orientale, dove la "Compagnia Totò" dava degli spettacoli».

Dopo il divorzio, cessò di essere geloso?

«Divenne ancora più geloso di prima, ammesso che fosse possibile. Non solo non permetteva che uscissi da sola io, ma neppure Liliana. Liliana non è mai andata a scuola, ha fatto tutti gli studi in casa. Nel 1939 andò in tournée per due anni. Poiché, per via di Liliana, non poteva portarmi con sé, fece venire i suoi genitori da Napoli. Costrinse sua madre a giurargli che non mi avrebbe mai permesso di uscire da sola. Per due anni, dal 1940 al 1942, non sono mai uscita di casa».

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Ne era innamorata a tal punto da accettare questa condizione da «schiava d’amore»?

«Sì. Mi piaceva, mi affascinava. Tutti dicevano che era brutto, ma io non lo vedevo brutto. Lo vedevo se mai strano. Aveva come tre facce diverse: una di prospetto, una seconda dal lato destro e una terza dal lato sinistro. A forza di mimica, la mascella sinistra gli era scesa, mentre la destra era rimasta intatta. Quando entrava in scena, faceva una mossa con la parte sinistra del viso, che diventava così lunghissimo. Ma non aveva mai voluto fare la plastica. Diceva che ciò rendeva il suo viso più particolare. Era snodato: si allungava e si accorciava come se fosse di gomma. Aveva dei begli occhi, un bel sorriso, una bella bocca, un bel tipo di testa».

Secondo lei, si innamorò davvero della Pampanini, voleva sposarla davvero?

«Non credo. Voleva forse dimostrare a se stesso, a me ed agli altri che era ancora giovane, ancora in forma. Non avrebbe mai sposato una donna che avesse un passato, anche minimo. Sposò me perché ero così giovane, così intatta. Nel 1951 io lo lasciai, ma sono rimasta sempre legata sentimentalmente a lui».

Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 11 marzo 1989


Il Messaggero
Costanzo Costantini, «Il Messaggero», 11 marzo 1989