Liliana Castagnola, il segreto di Totò
Oggi il principe Antonio de Curtis, in arte Totò, è conosciuto da tutte le generazioni e celebrato come la più grande maschera italiana. Eppure la sua vita è stata segnata da segreti e da grandi dolori. Primo fra tutti quello della soubrette Liliana Castagnola che, nel 1930, si suicidò perchè abbandonata dal grande comico napoletano. Negli anni della giovinezza si può dire che Totò lavorasse per le donne. Durante l’inverno riponeva in una valigetta i biglietti da cento lire guadagnati negli spettacoli di «varieté» in cui era richiestissimo e pagatissimo e, quando la valigetta era piena, spariva dalla circolazione per mesi, con una bella donna, per riapparire soltanto quando la valigetta si era ormai svuotata. Finche non incontrò Liliana Castagnola.
La Castagnola — come veniva chiamata nell'ambiente del «variété» — era una sciantosa, una donna fatale come venivano definite all'epoca quelle donne capaci di tanti amori ma tutti eterni, tragici e distruttori; duelli, uomini in rovina, famiglie distrutte, patrimoni dissipati, ufficiali e professionisti irreprensibili ridotti a mendicare un suo bacio, suicidi, pallottole che l'avevano sfiorata o che l'avevano ridotta in fin di vita
Quando la conobbe Totò, alla fine del 1929, aveva superato abbondantemente la trentina e si avviava verso il declino della carriera artistica, ma conservava una bellezza marcata e prepotente: i capelli tagliati alla «garsonne», con le «basette» a punta e la frangetta che le nascondeva la cicatrice che la pallottola di un innamorato le aveva lasciato sulla fronte; gli occhi neri, intensi, marcali dall'ombretto fin sulle palpebre; la bocca pronunciata e sensuale. Veniva da un’esperienza drammatica, un amante abbandonato le aveva sparato due colpi di pistola mentre si trovava in bagno e poi si era suicidato. Un colpo le aveva lasciato quella cicatrice sulla fronte che nascondeva con la frangetta dei capelli, l'altro le era penetrato nel cranio, Liliana era stata per molti giorni tra la vita e la morte, quindi» una volta ristabilita, aveva ripreso la stessa vita di prima, una creatura votata al tragico e segnata da un destino inesorabile.
Viveva, come quasi tutte le artiste dell'epoca, in pensioni ambigue i cui proprietari, in cambio di rette salatissime, la servivano in tutto e per tutto, trasformandosi ora in agenti, ora in amministratori, ora in confidenti, talvolta anche in ruffiani.
Anche la storia con la Castagnola, come con le altre donne, sarebbe potuta durare soltanto pochi giorni ma, per la personalità avvincente della protagonista, andò avanti almeno tre mesi, in maniera sempre più intensa e più impegnativa, soprattutto per Totò, il quale aveva intuito i pericoli della relazione ma era certamente lusingato dall'amore e dalle attenzioni che gli riservava una donna importante e piena di fascino come Liliana Castagnola.
Provò a rompere, si attaccò a vari pretesti ma, al momento della rottura, arrivava sempre la lettera «riconciliatrice».
Ad un certo punto della storia, come nei romanzi, entrano in ballo i genitori di Totò. Il marchese de Curtis si reca alla Pensione degli Artisti per avere notizie del figlio che non si fa più vivo da diverso tempo e lascia detto che a casa Totò è atteso da una certa signora che «lo reclama».
Lilia cade nella disperazione più nera, si rifugia nella solita lettera e passa subito al voi, come accade quando era in collera con l'amante:
Mandatemi subito una lettera o telefonatemi subitissimo perché possa regolarmi. Spero che si sia trattato di uno sbaglio, ma se, mio malgrado, fosse vero, capirete che io non posso assoggettarmi a questo.
Ma il legame con la Castagnola comincia a pesare anche dal punto di vista professionale. Lui vuole sentirsi libero, anche mentalmente. È stanco di tutte quelle lettere, quelle telefonate, quei biglietti che gli arrivano a getto continuo, in ogni ora della giornata e della notte, e in cui Liliana riversa tutti i suoi continui sbalzi d’umore: ora tenera e innamorata, ora gelosa e minacciosa. Totò sente di essere nel momento magico della sua carriera e vuole dedicarsi esclusivamente al lavoro e al pubblico senza tenere occupata la mente con pensieri tristi e impegnativi. Lei sente che Totò le sta sfuggendo, che la sua mente è altrove, verso nuove esperienze Sente che Totò vuole lasciare Napoli per misurarsi con un pubblico più vasto e più impegnativo. Allora tenta la sua ultima carta:
Lavoriamo insieme. Tu sarai il mio maestro e direttore del nostro lavoro. A te il "montare il numero". A te il diritto di vedetta. Io non ti lascerò mai, perché ti voglio bene, perché tu sei un uomo di ardimento, pieno di entusiasmo per il bello e per il lavoro.
Totò è frastornato. A fare compagnia con Liliana non pensa minimamente, anche perché sa benissimo che la sua comicità modernissima, «di avanguardia», non potrebbe minimamente conciliarsi con una sciantosa fuori tempo che sta perdendo il suo fascino. Ma non ha il coraggio di dirglielo. Scarica la responsabilità sugli impresari, dice che questi conoscono il passato di lei e che non vogliono rischiare, non sono disposti a compromettere il successo di una compagnia per i suoi capricci e, soprattutto, non vogliono finire... sulla cronaca nera.
Totò finalmente prende una decisione: firma il contratto con una grande compagnia che fa capo alla soubrette Cabiria, in cui sarà il comico principale e che girerà l'ltalia.
Quando Liliana lo sa cerca di far recedere Totò dai suoi propositi, ma questi è irremovibile. «Parto domani», dice, «ti scriverò, sarai sempre la mia Lilia. Di tanto in tanto, ci incontreremo, quando il nostro lavoro ce lo permetterà...».
Al mattino presto Totò fu svegliato da una telefonata. Si vestì in fretta e si gettò a precipizio per le strade di Napoli ancora addormentate e semideserte. Al portone trovò un capannello di persone tenute a bada da una guardia, che commentava «'o fatto».
Nella camera, insieme alla padrona della pensione che singhiozzava per la perdita irreparabile e che esponeva a tutti il forte debito che Liliana le aveva lasciato, c'era il maresciallo che faceva i rilievi di legge. Liliana giaceva sul letto, pietosamente coperta da un lenzuolo. Sul comodino due flaconi di un potente sonnifero, vuoti. Sullo scrittoio un foglio con l'inventario minuzioso di lutti gli oggetti, i vestiti e le scarpe di sua proprietà indirizzato alla sorella Gina perché li reclami, soprattutto i gioielli, presso il proprietario della pensione cui li ha affidati (nell’elenco c'è anche una polizza di pegno di alcune perle orientali a nome di tal Roberto Rossellini di Roma «al quale prestai le mie perle perché bisognoso di ottomila lire...». Chissà... ma il discorso ci porterebbe troppo lontano!).
C'era, ovviamente, anche una lettera indirizzata a Totò:
Antonio, potrai servire a mia sorella Gina per tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda Gina, anziché chi mai m'ha voluto bene. Perché non sei voluto venire a salutarmi per l'ultima volta? Scortese, omaccio! Mi hai fatta felice o infelice? Non so. In questo momento mi trema la mano... Ah se mi fossi vicino! Mi salveresti; è vero?.
Lilia tua.
Napoli, notte fra 2 e 3 marzo 1930.
Ma la lettera, nonostante il suggello della firma e della data, continuava. Forse l’attesa della morte si era fatta lunga...
Antonio, sono calma come non mai. Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno... Te l’avevo giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinnanzi. E ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù nella strada, miagola in continuazione. Che stupida coincidenza, è vero?....
A Totò rimase impressa nella mente quella frase: «Mi hai fatta felice o infelice? Non so». Un dubbio tremendo che lo tormenterà per tutta la vita e che contribuirà a formargli quel carattere malinconico e riservato, quasi misantropo, che lo contrassegnerà nella vita privata, in profondo contrasto con la figura gaia ed estroversa del grande comico che tutti conosciamo.
Il ricordo di Lilia lo porterà sempre con sé e in parte finirà per condizionare la sua vita sentimentale. Quando nacque la sua unica figlia, tre anni dopo, Totò volle chiamarla Liliana e pretese che la donna che si era uccisa per lui riposasse per sempre nella tomba di famiglia dei de Curtis, che aveva appena comprato con i suoi guadagni e dove ora riposa dal 15 aprile del 1967.
Giancarlo Governi, «Radiocorriere TV», anno LXVII, n. 29, 8-14 luglio 1990
Giancarlo Governi, «Radiocorriere TV», anno LXVII, n. 29, 8-14 luglio 1990 |